La musica popolare emilio-romagnola incontra, inaspettatamente, il punk: dalla campagna bolognese il connubio tra tradizione e contemporaneità
Tra la nebbia della bassa bolognese e la desolazione della provincia emiliana, nascono i Rude Cinno, duo folk-punk che propone una miscela, autentica quanto improbabile, della musica tradizionale del loro territorio con le più decise sonorità punk. Già il nome ci dice molto: Francesco Quaiotto, alla voce, si interessa alle sottoculture della scena undeground inglese degli anni ’60, tra mods, skineheads, rude boys e via discorrendo. Da qua nasce l’idea di dare al nome della band una connotazione punk, che però ricordasse le loro origini: così “boys” viene tradotto in “cinno“, quello che in dialetto bolognese significa ragazzino.
Bassa Qualità è il primo album dei Rude Cinno, un lavoro ancora un po’ acerbo ma che si distingue per la sua identità; proprio il nome, infatti, ci rimanda fin da subito all’immaginario della bassa, la pianura a nord di Bologna con la sua noia che – in qualche modo – vuole essere placata. Sovvertivo e innovativo, il duo mette in dialogo due mondi estremamente lontani tra loro: da un lato la bassa, tanto rurale quanto aggressivamente industriale, una terra ricca ma anche permeata di desolazione; dall’altro la voglia di esplorare e di superare i cliché, musicali oltre che sociali, che fanno parte di questa realtà cristallizzata, legata al progresso dal punto di vista tecnico ma anche fortemente conservatrice. Questo mix di generi e voleri avviene, concretamente, sovrapponendo sample della musica tradizionale emilio-romagnola a sonorità della nuova scena post-punk.
Tra i dieci brani che compongono l’album, Róssc n Roll – a cui tocca aprire il lavoro – mette d’accordo tutti già dal primo ascolto: campioni di violini nervosi, batteria incalzante, chitarre incazzate e giri di basso new wave abilmente eseguiti da Olmo Frabetti sono seguiti dalla voce decisa di Francesco con testi tra il politico e il demenziale, a ricordare un po’ gli Skiantos ma con l’aggiunta di versi in dialetto: la botta di adrenalina perfetta per proseguire con l’ascolto. Poco più avanti, Titolo Mancante ci parla di disuguaglianze sociali e non può che ricordarci una narrazione alla Max Collini degli Offlaga Disco Pax, sia per il cantato-parlato sia per le tematiche affrontate; il tutto intervallato da improvvisi sample di fisarmonica che, ai live, vengono riprodotti da Miriana Vicino. Dopo una Black Ming che raggiunge picchi quasi emo-hardcore, Moti Relativi e Miglior Tempolinea parlano di protesta, di diritti e dell’ipocrisia della politica nostrana. In chiusura, Randagio – interamente in dialetto bolognese – ricorda gli iconici Üstmamò, vicini di casa reggiani, ed è arricchita da un’energia paragonabile al combat-folk dei Modena City Ramblers: le chitarre violente si alternano al fischiettio di un’ocarina – strumento a fiato di metà ottocento tipico della zona – e il risultato genera la situazione più azzeccata per un pogo irruento.
Bassa Qualità ci mostra sotto una nuova luce una realtà che si sta perdendo: dal punto di vista linguistico, con il dialetto; da quello sonoro, con la musica tradizionale bolognese. In una scena musicale contemporanea – sempre più satura di prodotti discografici fatti su misura – la musica dei Rude Cinno ha tutte le caratteristiche per consolidare una sua fedelissima nicchia di ascoltatori.