Radical Optimism peccherà di originalità e spigliatezza, ma Dua Lipa dimostra ancora di voler continuare a ballare con noi
Sulla copertina di Radical Optimism, Dua Lipa sembra approssimare la pinna di uno squalo. Per quanto nel nostro immaginario possa sembrare minacciosa, l’immagine restituisce una certa serenità. La popstar sembra aver compreso come gestire gli affetti e la vita in generale, non facendosi più trasportare dalle turbolenze del cuore – New Rules, Break My Heart – ma acquisendo un intelligenza emotiva tale da poter affrontare ogni imprevedibile difficoltà.
Un ottimismo raggiunto grazie all’ascolto interiore, di cui i suoi testi sono la prova. Radical Optimism ripete i lavori del passato, in veste minimalista, senza il lustro di glitter e viaggi interstellari di Future Nostalgia ma condividendone il repertorio pop-dance. L’impatto creativo di questo nuovo album però sembra essersi fermato un pelino dietro alla linea che avrebbe potuto superare.
End of an Era è fresca ed estiva, perfetta apertura alle danze. A seguire le due hit tanto ascoltate: Houdini e Training Season, quintessenza del pop mainstream, ripropongono il tema dell’illusione e dell’immagine effimera. È Dua Lipa stessa che usa la sua presenza per spiegarlo, prostrandosi a dea infallibile. These Walls e Whatcha Doing si compongono di basi disco anni Ottanta rielaborate per essere ri-ballate, senza troppa invettiva, ma rimanendo comunque produttivamente un buon lavoro. D’altronde la produzione è nelle mani di Kevin Parker, mente del progetto Tame Impala, nonché conoscitore delle possibilità di sperimentazione attorno al genere pop. French Exit è una delle tracce più sbarazzine e diverse del solito repertorio; Maria equivale alla Jolene di Dolly Parton, anche se monotona e priva di climax musicali. Quest’ultima track condivide con tutta la seconda parte del disco i chorus catchy e le chitarre classiche adatte a basi dance. Protagonista indiscusso di tutti brani è lo slap del basso elettrico che, insieme alle tastiere, compone la maggior parte dei ritornelli dell’album.
Arrivata alla fine con Happy For You, non ho alcun dubbio: Dua è una popstar impeccabile: potrebbe andare avanti così per altri cento anni, nessuno la fermerebbe. Ma perché cantare di «una nuova era» quando la tiritera è sempre quella? Doja Cat dopo Planet Her, con cui si è aggiudicata premi e posizioni invidiabili, ha prodotto Scarlet, un progetto totalmente crudo nelle tematiche ma musicalmente nuovo e incline alle sue intenzioni, giocandosi metà fiducia della sua fanbase. Dua Lipa di intenzioni ne ha , ma sembra spesso mitigata dalla sua stessa immagine di popstar: quanto vale la pena azzardare qualcosa di nuovo, pur di giocarsi le prime posizioni, gli ascolti e un posto sul palco dei Grammy?
Dua, al contrario di quanto crediamo, è consapevole di queste scelte, il successo mondiale parla da sé: è la creazione del mito pop, di un’immagine confortevole a cui abituarsi, un rifugio comune dalla triste realtà. Dua Lipa d’altra parte sa anche essere immagine illusoria e inafferrabile: nel video musicale dell’ultima track uscita, Illusion – per l’appunto –, una schiera di ballerini si scontrano tra di loro sulle altezze vertiginose di una piscina pubblica, per aggiudicarsi l’attenzione della popstar. Dua Lipa è la diva algida degli anni Quaranta, irraggiungibile e snob, dallo spettro di emozioni limitato, che non ci fa percepire altre profondità.
Radical Optimism non brillerà musicalmente, ma l’immaginario creato negli anni porterà l’artista a sovrastare ancora per un bel po’ le vette delle classifiche. Fino al punto in cui questa ripetitività non produrrà in noi un totale senso di indifferenza.