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I mille volti dei Gaznevada, dalle case occupate di Bologna alle discoteche

La storia dei Gaznevada coincide inevitabilmente con la storia di Bologna e delle forze esplosive che coinvolsero la città alla fine degli anni 70. Tra i documentari presentati all’undicesima edizione del Seeyousound, l’unico italiano è Going Underground di Lisa Bosi, che ci offre lo spaccato di un’epoca attraverso la biografia di una band che ha vissuto intensamente ogni attimo della sua esistenza


Nel ’77 Bologna è la città che più di tutte incarna il fermento culturale e politico figlio della rabbia e della voglia di cambiare rotta anche a costo di sanguinare, ma senza sapere esattamente come. È la Bologna delle case occupate, del DAMS di Umberto Eco, dei fumettisti Filippo Scozzari e Andrea Pazienza, degli scontri tra studenti e forze dell’ordine, a suon di Molotov e carrarmati, dell’eroina che miete una generazione che manifesta intenta a far sentire la propria voce, che sia con un megafono, con le radio libere, con l’arte o con la musica. I Gaznevada, nati nel bel mezzo di questo fiume in piena, hanno scelto quest’ultima opzione.

Going Underground di Lisa Bosi, presentato all’undicesima edizione del Seeyousound di Torino, racconta la storia di una delle band capostipiti del punk in Italia; una delle realtà che più di tutte ha incarnato lo spirito crudo, caciarone e trasgressivo di un periodo storico esplosivo. Inizialmente conosciuti come Centro d’Urlo Metropolitano, influenzati dalla velocità e dall’ironia dei Ramones, acquisiscono una certa notorietà grazie all’irriverente Mamma dammi la benza, che diventerà un involontario inno del neonato rock demenziale che vedrà predominare gli Skiantos negli anni successivi.

La particolarità del film risiede nella spiccata vena autoriale della regista. Lisa Bosi infatti, dopo aver raccolto ore di testimonianze orali dei membri della band e delle persone che hanno gravitato attorno alla loro storia, sceglie di alternare con una certa costanza immagini di repertorio a riprese dei Gaznevada di oggi, immortalati in sequenze audaci dall’estetica videoartistica, con voice over di Alessandro Raffini e compagnia intenti a leggere/recitare un testo scritto in precedenza e concordato con la regista. Siamo dunque lontani dalla classica impostazione documentaristica in cui le interviste riprese in camera la fanno da padrone.

Going Underground vuole essere un viaggio nell’anima di una band che in un decennio ha vissuto diverse vite. Perché dopo l’omonimo album d’esordio – prodotto dalla Harpo’s di Oderso Rubini –, l’occupazione dello spazio che sarebbe diventato lo sgangherato centro d’aggregazione culturale Traumfabrik, il rapporto con la persona e con l’arte di Andrea Pazienza e il Bologna Rock del ’79, il serpente Gaznevada cambierà pelle, prima con la new wave e successivamente con la nascente italo disco, che vedrà in I.C. Love Affair la hit che catapulterà la band nei club e nelle televisioni simbolo dell’edonismo anni 80.

La svolta pop, dance e house viene ricordata dai Gaznevada del presente con consapevolezza: volevano diventare ricchi e famosi con la musica e, dopo le bombe e gli aghi di una rivoluzione che aveva fatto più vittime tra i rivoluzionari, ci stavano riuscendo. Il docufilm è certamente una biografia, ma è anche e soprattutto un insieme di riflessioni che vanno dalla vita all’arte, dalla fama ai soldi, ponendo in contrasto passato e presente. È interessante inquadrare le origini della band nel contesto culturale dell’epoca, così vivo e autodistruttivo, il conseguente balzo nelle classifiche e l’effetto del successo sulle loro personalità.

I Gaznevada sanno che ruolo hanno avuto per la musica italiana. Non nascondono il loro ritenersi pionieri di diverse fasi della storia della musica italiana, ed è impossibile dargli torto. Perché, tra alti e bassi, hanno vissuto intensamente ogni anno della loro carriera, fino allo scioglimento nel 1988, stesso anno della morte di Pazienza per overdose. Il loro intimo ritratto mette in luce ricordi che vengono raccontati senza il germe della nostalgia. Questo Lisa Bosi lo racconta libera da ogni tipo di censura, mostrando la droga e la violenza sia per mezzo di testimonianze, sia attraverso le immagini dirette. Il risultato è un’opera che brucia velocemente e che in poco più di un’ora offre uno spaccato sociologico, musicale e culturale dinamico e immersivo. Un pezzo di vita.

Marco Nassisi

Per me scrivere di musica vuol dire trovare una scusa per ascoltarne tanta, scoprirne di nuova e fare un po' d'ordine nella testa.

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