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Per gli Squid, la vera audacia è la codardia

svg24 February 2025AlbumRecensioniLuca Parri

Con Cowards, il loro terzo album, gli Squid dipingono un affresco del post-capitale terrificante nel suo realismo. Un catastrofico paesaggio dove l’unica salvezza è la complicità tra esseri umani e il coraggio di essere codardi


Il post tutto – a volte chiamato crank wave o post-Brexit new wave – che ha investito l’orizzonte musicale rock a partire da metà anni ’10 è senza ombra di dubbio il fenomeno che ricorderemo di più quando riguarderemo tra qualche anno alle nostre spalle. Perché è una scena che più che su un concetto musicale si ritrova su un contesto, su una compresenza e una convergenza di intenti piuttosto che su un’effettiva somiglianza. In questo panorama già ampiamente fluido e dai confini di genere parecchio labili, la cosiddetta Windmill Scene diffusa tra Londra, Brighton e Cambridge ha scompigliato le carte ancora di più. Band composte da persone giovanissime, che pescano dal post rock e gli associano un cantato/parlato compassato e rabbioso, con una consapevolezza artistica fuori dal comune e che forse proprio su questo territorio riescono a trovare un’intesa, una comunione e, di conseguenza, formano una comunità. Sta proprio qui la forza di questa scena: nella sua coesione senza fronzoli e pose. Amicizia, collaborazione e collettività al primo posto, concetti che hanno pagato perché tutte queste band oggi hanno un ruolo di primo piano nel panorama internazionale.

In questo contesto, gli Squid rappresentano l’ambito più cupo, quella parte che segue i discorsi fatti dalle altre ma gli aggiunge un sottotesto ancora più distopico, inquietante e minaccioso. La loro carriera è composta da un post rock imbevuto di attitudine punk cervellotico e complesso, in bilico tra un collasso nervoso imminente e un preciso controllo tecnico. I loro brani suonano come un residuo metallico in una soluzione chimica, che la inquina mentre l’intorno procede nella sua composizione meticolosa e precisa. Cowards, ultimo album della band, non fa eccezione in questo senso, sebbene rappresenti una svolta verso un lavoro più coeso, dove il controllo prende il sopravvento sull’imprevedibilità, che rimane tuttavia presente sullo sfondo come componente narrativa. Quasi come se la tragedia fosse già avvenuta, il crollo ormai non è più evitabile e ciò che resta è solo la possibilità di ragionare sulle sue conseguenze. Non più solo lo spettro di una società occidentale che si sta autodistruggendo, ma una certezza che le cose siano totalmente irrecuperabili.

Per esprimere questo concetto, nell’album, la band racconta di una società che è stata mangiata totalmente dall’etica tardo-capitalista. Divorando il mondo – e quindi se stessa –, la nostra specie è giunta al punto di non ritorno. Cowards racconta le situazioni personali dei suoi protagonisti, il loro percorso faticoso di sopravvivenza e le incoerenze che fanno parte delle loro vite, conseguenze dirette di quelle scelte che oggi caratterizzano la nostra epoca. Gli Squid tracciano una storia a grandi linee, secondo una logica più concettuale che veramente narrativa, ma che risulta comunque congrua e coerente con se stessa. Il collasso del sistema viene descritto non come vittoria dell’alternativa ma come sconfitta assoluta di una specie che si è convinta di non poter pensare ad altri scenari fuorché quello in cui si trova, che ha continuato a perpetrare le diseguaglianze per esplicita volontà, convinta che fosse insito nella propria natura, fino ad annullarsi totalmente. Il tutto, qui, non viene mai raccontato come un monito di come le cose potrebbero andare, ma piuttosto testimonia l’assente volontà di trovare una via alternativa, che conduca a uno scenario differente. La codardia del titolo non è un’accusa, ma un dato di fatto: una presa di posizione sul fatto che tirarsi indietro, rinunciando all’inevitabile, sia forse l’atto più coraggioso e rivoluzionario – ma contemporaneamente pigro e comodo – che possa esistere. Guardare il collasso da dentro l’occhio del ciclone con la consapevolezza di esserne responsabili, perché è proprio il non aver fatto niente la causa di tutto.

A livello musicale, il lavoro svolto dagli Squid in Cowards si lega a doppio filo con quanto descritto sopra, creando un’atmosfera ancora più spaventosa e paranoica ma che ha la volontà di incanalare la rabbia piuttosto che sfogarla. La componente più punk del loro suono viene quindi usata come supporto a tutto il resto: una struttura decisamente più post rock e dilatata. Il risultato è incredibilmente vicino a uno dei riferimenti più lapalissiani non solo della band ma dell’intera scena Windmill: la cupa nostalgia degli Slint, senza però mai essere derivativi o didascalici nel riferimento ma anzi aggiungendoci una componente quasi krautrock alla Neu!, con partiture per sintetizzatori secche e scheletriche. I brani suonano quindi come crisi di nervi all’orlo, pronte a esplodere ma che rimangono sempre sul baratro, forzandone costantemente il limite. Gli arrangiamenti, ancora una volta, dimostrano quanto il gruppo sia formato da persone che hanno grande studio e consapevolezza, che il loro essere dei gran secchioni sia un bene o un male è una cosa che sta in mano a chi ascolta. Forse, però, l’abbandono della rabbia e della sua manifestazione – specialmente a livello canoro – è un po’ meno efficace dei lavori precedenti e sorprende meno. Questo comunque non ne inficia la qualità, che rimane altissima e che rende l’album un ascolto coerente e valido.

Per concludere, Cowards è un racconto inquietante del capitale e del nostro rapporto con esso, che spaventa anche e soprattutto perché non arriva mai a tramutarsi in un rifiuto rabbioso. Come se gli Squid fossero consapevoli di quanto la nostra specie sia codarda e, invece di condannarla, provassero a domandarsi: e se l’unico modo per essere coraggiosi fosse non esserlo affatto?

 

Luca Parri

33 anni tra design, giochi, fumetti, cinema e musica con sempre le stesse prerogative: amore per l'underground, approccio geek, morale punk e gusti snob.

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