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Cosa succede al nostro cervello quando ascoltiamo musica? Analisi dei processi emotivi e neurologici

La musica agisce sul nostro cervello in tanti modi: influenza il nostro umore e concorre – tra ricordi ed emozioni – a determinare le nostre percezioni quotidiane


Immaginatevi a una festa: siete lì, con i vostri più cari amici. È estate, fa caldo. Il sole è appena tramontato, avete uno spritz in mano e nessun pensiero per la testa. State ballando ed è appena partita Don’t stop me now dei Queen. Beh, con questa canzone in sottofondo, probabilmente vi sentirete ancora più felici: secondo uno studio, è il brano più felice e gioioso di sempre.

Il dottor Jacob Jolij – dell’Università di Groningen in Olanda – ha ideato, qualche anno fa, una formula matematica che testa il livello di festosità delle canzoni e ha individuato la canzone dei Queen nel livello più alto.

Secondo questo studio, si misurerebbe il grado di felicità delle canzoni in base alla velocità e alla tonalità degli accordi. I due fattori predominanti che caratterizzano una canzone “felice” sono infatti un tempo medio superiore ai 140 bpm e una predominanza di scale maggiori. Oltre a questi due, c’è una terza importante variabile: il contenuto del testo, che deve riguardare eventi positivi e piacevoli.

Ovviamente, i risultati di questo studio sono da prendere con le pinze. L’algoritmo che è stato creato per identificare le canzoni più felici non ha una vera e propria validità scientifica, ma comunque identifica dei fattori importanti nell’individuazione di canzoni che alzano il morale.

Ma, lasciando da parte le considerazioni del buon Jacob, sappiamo che il regno delle emozioni è molto più ampio e personale. Ognuno di noi dà interpretazioni diverse alle canzoni: per certe persone, alcuni pezzi possono sembrare molto felici, per altre, estremamente malinconici. In psicologia si è soliti dire che l’uomo è un “economizzatore di energie” e, per semplificarsi la vita, ognuno di noi etichetta quello che vede e che vive. Questo è anche uno dei meccanismi che sta alla base del pregiudizio. Funzioniamo per euristiche, ci semplifichiamo la vita raggruppando ciò che viviamo in piccoli sottogruppi più facilmente riconoscibili e distinguibili da altri. Così succede anche con le canzoni che ci piacciono e non, ma la categorizzazione e classificazione delle stesse è influenzata da tantissimi altri fattori: per esempio il contesto in cui viviamo, il nostro gruppo di amici, la nostra famiglia, la scuola ecc. Determinate sonorità possono inoltre scaturire alcuni ricordi collegati alla nostra infanzia e il nostro “giudizio” – positivo o negativo – sarà allora influenzato da quei medesimi ricordi; così, inevitabilmente, collegheremo una determinata canzone ad alcune sensazioni.

Oltre a questi fattori psico-sociologici, c’è anche una componente neuroscientifica. Quando un soggetto ascolta delle canzoni commoventi, i brividi scaturiti dalla melodia sono il risultato del rilascio di dopamina nel cervello, che è un neurotrasmettitore chimico naturalmente presente nel sistema nervoso centrale e che di solito viene rilasciato in seguito all’attivazione del sistema di ricompensa del cervello, portando a sensazioni di piacere e di benessere. Così, ci sentiamo felici, in pace con noi stessi e con il mondo, totalmente appagati.

Inoltre, si è visto come il sistema limbico, che è coinvolto nel processare le emozioni e nel controllo della memoria, si “accenda” durante le risonanze magnetiche funzionali nel momento in cui le nostre orecchie percepiscono la musica.

La musica ha inoltre diverse funzioni tra cui la riduzione dello stress e dei sintomi della depressione, il miglioramento delle capacità cognitive e motorie, l’apprendimento spazio-temporale e la neurogenesi, che è l’abilità cerebrale nel produrre neuroni. È stato dimostrato, inoltre, come le persone affette da malattie neurodegenerative – tra cui Alzheimer e Parkinson – rispondano anch’esse positivamente alla musica.

Tutti questi effetti possono essere visti sulle risonanze magnetiche funzionali, dove molte aree del cervello si “attivano”, a dimostrazione che sono coinvolte nel processo di ascolto della musica.

Sembra che la materia grigia, tessuto di neuroni che costituisce l’organo cerebrale, non sia in grado di distinguere tra i generi musicali, ma preferisca la stessa musica che piace a noi. Cioè, l’effetto sul cervello dipende dai nostri gusti e dal nostro background personale.

Per un certo periodo di tempo, i ricercatori hanno parlato di “effetto Mozart”, riferito all’effetto positivo della musica classica sugli ascoltatori. Sembrava infatti che questo genere musicale aumentasse l’attività cerebrale e facesse diventare gli ascoltatori più ‘intelligenti’. Ora questa teoria non è più così accreditata, poiché sembra non avere solide basi scientifiche.

In studi più recenti, si è visto come le persone affette da demenza rispondano meglio alla musica che hanno ascoltato nel corso della loro vita e, soprattutto, quella che li ha accompagnati nella crescita. Molte parti del cervello si attivano nell’ascoltare la musica che colleghiamo al nostro passato; questo accade perché i ricordi associati a quelle canzoni sono memorie emotive, che hanno un peso diverso rispetto alle reminiscenze che non sono collegate alle emozioni e che, anche in casi di demenza, non vengono mai cancellate. È scientificamente studiato, infatti, che le memorie collegate alle emozioni sono più forti e rimangono impresse più a lungo.

Diverse aree del cervello o circuiti cerebrali si attivano nel momento in cui una persona ascolta musica. Per esempio, viene attivato il circuito dell’empatia poiché questa capacità è coinvolta nelle risposte affettive alla musica. In più, si ha un’importante diminuzione di cortisolo, che è l’ormone dello stress. Infine, come già accennato, si ha un grande rilascio di dopamina, che porta all’attivazione di tutto il sistema dopaminergico di ricompensa e gratificazione.

Per finire, impossibile non citare la musicoterapia, disciplina terapeutica recente che usa la musica come strumento di cura e di promozione del benessere. La musicoterapia, infatti, si basa sull’idea che la musica abbia un potente impatto sull’aspetto emotivo, cognitivo, fisico e sociale delle persone e che, quindi, possa influenzare molti aspetti della vita di un individuo.

Dopo tutte queste informazioni psicologiche sul cervello, possiamo quindi affermare che ascoltare musica fa bene. Ma in realtà, forse, non ci serviva nessuna prova scientifica che lo confermasse: sotto sotto, lo sapevamo già.

Emanuela Ghignone

Molto introspettiva, a volte troppo, ho 22 anni e studio psicologia. Mi piace parlare ma sono chiaramente più brava ad ascoltare. Nella vita leggo, ascolto musica, guardo film e faccio foto.

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