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Pista Nera: cercando la pace nella frenesia coi Post Nebbia

svg26 November 2024AlbumRecensioniMarco Nassisi

Il quarto album dei Post Nebbia è un’ulteriore conferma non solo dell’ineccepibile qualità della band veneta, ma soprattutto di come anche in Italia sia possibile prendere quella psichedelia che negli anni ’70 ci vedeva tra i maggiori esponenti, mescolarla con la moderna scuola australiana e tirare fuori della grande musica: frenetica e sognante, ma anche critica e politica


L’inverno si avvicina. È fine novembre e ogni tanto tira quel vento tagliente che sembra sfregarti la faccia. La stagione più fredda la si affronta fondamentalmente in due modi: stando chiusi in casa, al caldo, protetti; oppure affrontando quel vento gelido, magari cavalcandolo su una pista da sci, come hanno scelto di fare i Post Nebbia con la loro ultima fatica – la quarta della loro discografia –, un concept album ambientato in montagna. Perché la loro musica è sì da sempre energica, ma quest’ultimo Pista Nera è senza ombra di dubbio il più veloce, il più spericolato, il più aggressivo e al tempo stesso tempo il più infantile album che abbiano mai prodotto. In fondo Leonardo, che dà il titolo all’omonima traccia d’apertura, è un bambino che si è perso nella neve, mentre una voce all’altoparlante invita i genitori a recarsi al rifugio in cima alla seggiovia per recuperarlo, prima che il gioco psichedelico di Carlo Corbellini e soci si perda tra chitarre riverberate e Moog a manetta.

Le ispirazioni sono molteplici. La seconda traccia, Io non lo so, riprende certi ritmi dei Talking Heads; un basso e una chitarra acustica dialogano e crescono fino a esplodere in un tripudio elettronico di synth impazziti che avvolgono l’ascolto come una valanga, esattamente come in Pastafrolla, che è un continuo crescere di intensità. Il testo è pessimista, come fosse stato scritto da un esploratore delle altitudini più belle, che le osserva consapevole che la fine è vicina. In fondo, cosa c’è di più ecologista che dare la giusta importanza a quelle parti di mondo che rischiano di scomparire?

Siamo tra le montagne, ma il sound ricorda quell’effervescenza tipica di una certa psych/prog music tipica della wave australiana degli ultimi quindici anni. Le melodie sognanti di Piramide fanno l’occhiolino a certe sonorità tanto care ai Tame Impala, mentre la frenesia da luna park di Stratonatura sembra uscita da uno dei caleidoscopici dischi dei King Gizzard & The Lizard Wizard e dei Pond.

Pessimismo a parte, i testi di Corbellini sono un mix magistrale di surrealismo e limpida chiarezza nel rendere fruibile i messaggi dei vari brani, abbastanza espliciti nelle liriche politiche, ironicamente critiche e per certi versi satiriche, dalla decadente Super sconto alla claustrofobica Giallo. È interessante il contrasto tra la ricerca della pace lassù, in cima alla montagna dove l’aria è pulita, e la follia adrenalinica dello sci sulle piste più pericolose, simbolo forse della stessa follia che attanaglia la vita laggiù, tra i palazzi di una città sporca e inquinata.

È come se Pista Nera cercasse di essere una medicina. Una specie di catalizzatore di emozioni contrastanti, che possono trovare un ordine solo nel caos catartico della musica. L’album è veloce, certo, come uno slalom sulla neve, ma è anche sognante come una camminata in mezzo ai boschi, dove regna il silenzio e la pace dei sensi. Lo capiamo percependo le vibes di Kent Brockman che, tornando alle numerose inflessioni musicali, ricorda quel side project di Sean Ono Lennon – sì, il figlio di John Lennon e Yoko Ono – e Les Claypool, bassista dei Primus: altro esempio di come la psichedelia, negli anni 2000, sia più viva che mai.

Non mancano inserti tendenti al punk – sempre in chiave fuzz/punk alla KG&LW –, emblema della dinamicità che contraddistingue le ritmiche dell’album, nella title track Pista Nera. E nei suoi quasi 5 minuti di durata, la conclusiva Notte limpida funge da summa della poetica dei Post Nebbia in questo loro quarto capitolo di storia. Un disco che sa essere moderno e retrò allo stesso tempo, che nel riprendere quelle atmosfere tipiche anche del rock progressivo italiano anni ’70 – su tutte le band, Le Orme – lo rende appetibile alla contemporaneità, divertente e fresco.

Marco Nassisi

Per me scrivere di musica vuol dire trovare una scusa per ascoltarne tanta, scoprirne di nuova e fare un po' d'ordine nella testa.

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