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Un lavoro da donne. Saggi sulla musica, a cura di Sinéad Gleeson e Kim Gordon

Lavorare nella musica è stata un’attività comunemente più maschile che femminile. Questa antologia vuole dimostrare che la musica è, e deve essere sempre più, un terreno per tutti. Le sedici autrici del testo sono giornaliste, scrittrici, musiciste, cantanti, produttrici, discografiche: donne che hanno ribaltato uno scomodo canone sociale per poter vivere di musica. Questo libro è rivoluzionario, senza dichiarare mai di esserlo. Nei loro saggi le autrici non cercano colpi di scena che facciano compiacere il lettore, né tentano di dimostrare le loro conoscenze in ambito musicale. Desiderano piuttosto raccontare storie, creando così una vera e propria «polifonia di voci femminili»


Un lavoro da donne: sicuramente un titolo provocatorio, ma che proprio per questo fa riflettere. Quante volte abbiamo sentito dire, più o meno esplicitamente: “questo è un mestiere da uomini e tu, in quanto donna, non puoi farlo“. Il vero auspicio è che si possa giungere a una situazione in cui non sia necessario specificare che un mestiere è per uomini, o per donne: il lavoro è di chiunque voglia occuparsene, indipendentemente dal genere. Dare questo titolo a un’antologia di racconti e saggi scritti da donne è una trovata originale poiché implica che parlare di musica – così come comporla e suonarla – non sempre è stata un’attività accessibile per per il genere femminile.

Quando Kim Gordon – storica componente degli Sonic Youth – e la scrittrice irlandese Sinéad Gleeson hanno deciso di curare un’antologia dedicata al rapporto intimo tra donne e musica, non hanno voluto puntare i riflettori su specifiche icone del passato, famose pioniere o figure di culto contemporanee e non. Piuttosto, hanno pensato a delle lavoratrici. Come spiega bene Claudia Durastanti nella sua prefazione al testo, «l’antologia parla della conquista di uno spazio di autonomia e di riconoscibilità nel mondo della musica non solo attraverso il proprio talento o la propria sregolatezza romantica, ma anche tramite il riconoscimento di una pratica, di una tecnica: qualcosa che si è imparato e trasmesso nel tempo, magari senza saperlo, e senza definirsi profetesse».

Megan Jasper, autrice del capitolo Perdenti, racconta il suo stage alla Sub Pop Records – etichetta discografica dei Nirvana, per intenderci – cominciato con l’incarico di “rispondere al telefono”, seduta a una scrivania sulla cui superfice scrisse: «ho il grunge nelle mutande». Poi, racconta delle giornate trascorse sul pavimento del magazzino a infilare dischi nelle buste insieme alle band; o di quelle passate ad assistere alle prove dei Nirvana per poi fermarsi ai loro barbecue; fino al turbamento per la morte di Kurt Cobain, allo smarrimento, alla perdita del lavoro. Dallo sconforto di quegli anni alle infinite opportunità che le si presentarono, al suo ritorno alla Sub Pop Records negli anni successivi: ognuno di questi passaggi ci porta a definire oggi Megan Jasper come una delle figure più importanti nel settore della distribuzione musicale. Pur essendo giunta all’apice della sua carriera, Megan Jasper ancora serba nel cuore i primi passi compiuti nell’ambiente discografico, del quale non può dimenticare le persone e le conoscenze fatte, in particolar modo quelle incontrate alla Sub Pop Records: «la nostra combriccola era il gruppo di spostati più meraviglioso e bizzarro del mondo. Eravamo i perdenti della Sub Pop, che vincevano anche quando perdevano».

Kim Gordon, nel capitolo La musica è senza contesto, coglie l’occasione per intervistare la sua amica e compagna di avventure Yoshimi P-We – batterista dei Boredoms –, che con Kim formò le Free Kitten. Un capitolo nel quale due donne, due amiche in verità, si confrontano sul passato come non hanno mai fatto prima. Il capitolo è ricco di aneddoti, di ricordi, ma anche di considerazioni significative sulla musica. Kim e Yoshimi hanno desiderato prima di tutto sentirsi libere di esprimersi attraverso la musica, anche quando piaceva a loro e a nessun altro.  Yoshimi dice: «il mio lavoro consiste nel mostrare le sonorità che sono dentro di me in un modo che mi sembra giusto, ed essere me stessa meglio che posso».

Zakia Sewellspeaker radiofonica, giornalista e dj di Londra – chiude il libro soffermandosi sull’importanza di saper ascoltare. In lei è vivo il ricordo della voce della madre che canta, prima che a questa venisse diagnosticata la schizofrenia paranoide: un suono, quello della voce materna, che l’ha accompagnata per tutta la vita. Zakia sa che non potrà riavere indietro la madre spensierata di un tempo, ma sa anche di poter «entrare in comunicazione con lei grazie alla musica che le ha lasciato».

Margo Jefferson – scrittrice e giornalista statunitense – dedica il suo capitolo a Ella Fitzgerard, sottolineando che la fatica fatta dalle musiciste bianche è imparagonabile a quella patita dalle artiste di colore, o non occidentali.

Impossibile per me non pensare a cosa sto facendo in questo preciso istante: sto scrivendo di musica. Questo mi procura piacere, questo sazia quella fame di conoscenza musicale che desidero rimanga eternamente insaziabile. Il desiderio di scoprire, il desiderio di ascoltare e di esprimersi: ecco cosa muove le sedici autrici di questa antologia. Il music writing è uno spazio dinamico e aperto al cambiamento, ma non va dimenticato che è un ambito che le donne hanno conquistato con fatica, per poi metterci radici.

In questo libro troverete uno sguardo originale sulle donne e sulla musica. La rivoluzione di questi sedici capitoli sta proprio nel fatto che lavorare nel mondo della musica, per una donna, non appare più come un atto sbalorditivo: le autrici di questa antologia scrivono di musica con estrema libertà e consapevolezza di loro stesse.

Nella prefazione al libro, Claudia Durastanti parla della sua reazione da bambina alla vista del film sui The Doors e conclude il suo discorso dicendo: «una bambina che guarda un film sui Doors a dieci anni […] continuerebbe a pensare che il ragazzo sul palco poteva pure cantare, ma le cose migliori sarebbero state le donne che un giorno ne avrebbero scritto».

Lasciate che le autrici vi raccontino le loro storie, fate vostri i loro personali punti di vista e ascoltate con cura le loro voci, che emergono dalle righe di questo libro.

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