Con il nuovo album Hard times furious dancing, la band inglese vira verso l’industrial per spingerci alla danza collettiva come forma di ribellione alle problematiche sociali, economiche e culturali che stiamo vivendo
State soffrendo più del dovuto questi tempi duri e questi venti minacciosi? Nessun problema, ci pensano gli Snapped Ankles. La band inglese, grande protagonista della scena alternativa britannica con già tre album all’attivo, è tornata con un disco che – già dal titolo – non ha alcuna intenzione di passare inosservato. Hard times furious dancing, pubblicato il 28 marzo per l’etichetta indipendente The Leaf Label, è liberamente ispirato a una (quasi) omonima raccolta di opere della poetessa e attivista Alice Walker.
«We can still hold the line of beauty, form, and bet. No small accomplishment in a world as challenging as this one… hard times require furious dancing. Each of us is proof», scrive l’autrice del celeberrimo romanzo Il colore viola (sì, quello del film con Whoopi Goldberg) e gli Snapped Ankles l’hanno presa alla lettera, con nove pezzi che ci spingono alla danza collettiva come forma di ribellione alle problematiche sociali, economiche e culturali del presente.

Una danza furiosa e tribale, a tratti sull’orlo dell’isterico, plasmata da un sound metallico che si sposa alla perfezione tanto con i synth ossessivi quanto con le percussioni africane. Con tutti questi succosi ingredienti, Hard times furious dancing riprende i suoni dance punk già battuti con il precedente Forest of your problems portandoli su derive industrial. Il tutto condito dalla tanto amata tendenza alla critica sociale, ampiamente dimostrata dai travestimenti da alberi dei loro live e dalla scelta della fonte di ispirazione per l’ultimo lavoro.
Quanto sin qui illustrato risulta chiaro dai tre singoli estratti dal nuovo album: il brano d’apertura Pay the rent è infatti un crescendo che in meno di un minuto ti risucchia in un vortice sonoro che affronta il tema del costo della vita e delle sue implicazioni nel mondo della musica («Soft RIP funk was playing / In the over-priced grocery store / This band exists to sell beverage / While the venue tries to make a dent»).
Con Raoul, le atmosfere si fanno addirittura claustrofobiche e inquietanti grazie agli effetti usati per la voce con l’obiettivo di parlare di geopolitica. Decisamente più pop e dalle sonorità molto più orecchiabili, Smart world ci porta invece ad affrontare il tema dell’intelligenza artificiale nella musica attraverso un surreale dialogo immaginario tra i produttori cult Brian Eno e Conny Plank («Smart world let me be / It’s not that smart as I can see / Smart world gets me down / What happened to humanity?»).
I sensi vengono spinti poi all’estremo con Dancing in transit, interessante anche grazie adun testo più che rappresentativo di Hard times furious dancing: narrando un episodio realmente accaduto alla band durante un viaggio, infatti, il brano parla di una danza collettiva partita dal nulla nella sala d’attesa di un terminal traghetti («Who’s gonna start this dance? / On a ferry or terminal romance / Who’s gonna start this dance? / Lead a bolero in the baggage lounge»). Non manca, infine, un tocco orientale con Bai Lan: il termine, che in cinese significa lasciar marcire, è diventato nel corso del tempo una modalità per categorizzare i giovani che attuano una resistenza passiva alle difficoltà della vita e alle pressioni sociali.
Con Hard times furious dancing, gli Snapped Ankles hanno spostato l’asticella della propria sperimentazione sonora e testuale ancora in più in là, dimostrandosi autori e musicisti a cui di certo non mancano idee e spirito di iniziativa. Se proprio volessimo trovargli un difetto, possiamo dire che alla lunga è un po’ ripetitivo, ma in ogni caso restiamo molto curiosi di sentirli dal vivo il 18 aprile all’Arci Bellezza di Milano e il giorno successivo al Covo di Bologna.

