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Are We All Angels: rabbia punk e melodia convivono nell’anima degli Scowl

Come molte altre band punk contemporanee, gli Scowl non hanno paura di sperimentare. Perché alla fine ciò che conta è esprimersi. In quest’opera seconda i brani si fanno più melodici, ma l’anima punk – seppur mescolata con numerose influenze affini al genere di partenza – resta e pulsa in tutta la sua velocità, distorsione e rabbia


Direttamente da Santa Cruz, California, gli Scowl nascono nel 2019. Fin da subito mettono in chiaro le cose e con due EP veloci e incazzati, che bruciano velocemente, com’è giusto che sia quando si parla di hardcore punk. Kat Moss, la frontwoman, sputa con violenza una rabbia corrosiva, capace di fondersi con le distorsioni infuriate di chitarra e basso e coi potenti ritmi di batteria. Il discorso non cambia quando nel 2021 esce l’album d’esordio, How Flowers Grow, che consuma le ossa e le viscere in 10 tracce per un totale di 15 minuti.

Ma nel 2023 un nuovo EP, Psychic Dance Routine, inizia a mostrare sprazzi di orecchiabilità. L’anima punk dialoga col grunge e l’alt-rock anni ’90; l’abrasione vocale degli inizi si mescola con la melodia. L’unione spontanea tra due mondi che per natura non sono così distanti portano la band a una maggiore notorietà. E dopo qualche singolo, ecco arrivare Are We All Angels. Con questo secondo album, gli Scowl sembrano portare avanti un discorso simile a quello che fecero i Turnstile con il loro ultimo disco Glow On.

È un periodo in cui le giovani band punk americane mutano la propria identità nel giro di pochissimo tempo, con maggiore libertà, non sentendo la necessità di rifugiarsi obbligatoriamente negli stilemi del genere. Per fortuna, aggiungerei.

Da una parte sembrano uscire dalla solita “zona di comfort”, dall’altra sembrano applicare un incredibile processo di maturazione volto a farli arrivare alla piena consapevolezza del proprio sound: quello a cui forse la band sembrava destinata fin dal principio. Ascoltando Are We All Angels, infatti, ci sembra che gli Scowl siano perfettamente a loro agio nei panni della band melodic hardcore punk. E la contemporaneità apprezza, mentre 30 anni fa forse i fan della prim’ora – insomma, quegli individui chiamati puristi – li avrebbero accusati di alto tradimento.

Con Are We All Angels, la band californiana fa il salto di qualità. Kat Moss padroneggia le clean vocals senza dimenticarsi di sprigionare la sua carismatica energia. La traccia d’apertura, Special, si presenta come lo spartiacque perfetto: il ponte tra l’aggressività degli esordi e gli inserti pop del presente. Così come B.A.B.E. e Fleshed Out, che alternano melodia e graffiato come se nulla fosse. Nelle liriche c’è sempre qualcosa da dire. La superficialità è bandita. Not Hell, Not Heaven è una dichiarazione di resistenza alle avversità, così come Fantasy, che affronta il tema dell’alienazione cercando una sorta di connessione collettiva nella title track.

Non sarebbe appropriato ridurre il tutto nell’etichetta di pop punk, nonostante la presenza di un brano come Let You Down. Perché anche l’attitudine emo e le leggere inflessioni showgaze giocano un ruolo fondamentale, capace di rendere l’album un irruente concentrato di velocità. Are We All Angels è esaltante, sa il fatto suo sul piano strumentale, non ha paura di sfuggire dalle definizioni e offre un’ottima mezz’ora di euforia, con vibes da festival punk estivo, sudato, all’aperto, sotto il sole di una California che brucia.

Marco Nassisi

Per me scrivere di musica vuol dire trovare una scusa per ascoltarne tanta, scoprirne di nuova e fare un po' d'ordine nella testa.

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