Abbiamo fatto due chiacchiere con il Collettivo Medusa, una nuova realtà all’interno della scena punk e underground nazionale. Questa rete ha deciso di affrontare in modo diretto i molti problemi legati agli abusi e alle violenze di genere all’interno di una scena che, purtroppo, ha mostrato più volte le sue contraddizioni
Facciamo una piccola presentazione di Medusa. Cos’è, quando nasce e perché avete sentito la necessità di costruire una rete del genere?
Il progetto di Medusa nasce a settembre del 2024. Dopo le tante esperienze viste e vissute all’interno della scena punk e underground legate ad abusi e violenze di genere, molte persone hanno sentito la necessità di creare uno spazio di condivisione, di autocoscienza, di cura, che potesse portare qualcosa di costruttivo sia per noi che attraversiamo questi spazi sia per chi intende iniziare a frequentarli.
Siamo persone sparse in tutta Italia. La nostra volontà è proprio quella di creare una rete che possa permetterci di interfacciarci vicendevolmente, sia per una questione di cura e di tutela delle donne e delle persone queer negli spazi, sia per fare autoformazione e costruire una coscienza assieme. Fare rete per noi significa non solo creare uno spazio di protezione, ma anche fornire spunti di riflessione sul tema della violenza di genere. Il nostro collettivo nasce con l’intento di creare uno spazio safe, quindi per il momento è assolutamente separatista.
Molte di noi hanno fatto parte di collettivi politici, ma Medusa è un progetto indipendente, sebbene sicuramente inserito nel grande calderone dell’antagonismo. Non abbiamo l’intenzione di porci né in allineamento né in alternativa alle reti femministe esistenti, quello che vogliamo è costruire uno spazio sicuro di confronto, tutela, formazione e azione all’interno della scena punk, hardcore, Oi!: è una sottocultura in cui hanno sempre bene o male dominato gli uomini e pensiamo sia il momento di rivendicare che anche noi ne siamo parte integrante e che è ora che certe dinamiche di genere, ancora intrinsecamente presenti, finiscano. Vogliamo rivendicare il nostro spazio, senza chiedere il permesso, cerchiamo di fare rete e di espanderci liberamente, creando una realtà condivisa negli spazi che attraversiamo e che per appartenenza culturale sentiamo anche nostri.
Partiamo dal nome: una delle prime cose che potrebbe venire in mente pensando a Medusa è la Medusa della mitologia greca, una donna dai capelli serpentini capace di pietrificare con lo sguardo chiunque osasse guardarla negli occhi. Nella cultura di massa, molto spesso questa figura è stata utilizzata in chiave antagonistica, perché avete scelto di chiamare così il vostro collettivo?
La figura di Medusa è molto interessante e rappresenta secondo noi molto bene il nostro vivere all’interno degli spazi. Nella mitologia, Medusa è una ragazza (l’unica mortale delle tre sorelle Gorgoni) che viene abusata da Poseidone all’interno del tempio di Athena e, malgrado fosse una vittima, si ritrova a vivere una doppia oppressione: quella dell’abuso subito e quella della trasformazione della sua figura in mostro, che la trasla da “vittima” a “colpevole”. Dopo questa trasformazione, la mitologia ci parla proprio di un mostro che verrà poi ucciso da Perseo. Questo racconto mitologico rappresenta molto bene la questione di genere all’interno della società. Chi viene abusato è costantemente sotto processo: per il proprio atteggiamento, per il proprio comportamento, per la propria attitudine o abbigliamento. Questo fa sì che spesso chi subisce diventi poi la figura che viene giudicata, così da renderla colpevole dell’abuso subito e giustificando così chi commette la violenza.
Il collettivo è legato a doppio filo alla scena punk italiana: sono esistiti, in passato, progetti simili al vostro (ve lo chiedo perché mi sembra di ricordare di aver letto di una fanzine redatta, negli anni ’80, da alcune punk milanesi vicine al Virus, ma potrei sicuramente sbagliarmi) o è un’esperienza del tutto nuova?
L’esigenza di crearsi uno spazio come donne e persone queer all’interno di un contesto tendenzialmente maschile e mascolino è esistita fin dagli albori della scena e se ne trova traccia nelle pubblicazioni, così come nella musica stessa: su questo faremo sicuramente degli approfondimenti nei prossimi numeri della fanzine. Nell’ambiente (principalmente anarcopunk e crust), da anni sono presenti opuscoli DIY che parlano di consenso, abuso, spazio safe. Quello che vogliamo fare è espanderci anche verso quegli spazi dove è meno presente questo tipo di sensibilità, come la scena Oi!, dove la figura del maschio macho ha sempre dominato. Come dicono i 7 Seconds: «Not Just Boy’s Fun».
Se non intendiamo il punk come una moda o un pretesto per sfogare le proprie frustrazioni, la scena punk, ponendosi in antitesi allo stato di cose esistente, dovrebbe rappresentare uno spazio libero da dinamiche di potere, protetto e privo di discriminazioni. Guardando il vostro progetto, però, viene da pensare che forse non sia proprio così. Da dove nasce, quindi, l’esigenza di creare Medusa?
Purtroppo il contesto underground, per quanto possa essere decostruito sotto certi punti di vista, sotto molti altri è ancora pregno delle dinamiche culturali e patriarcali che viviamo anche aldilà degli spazi politici. Sul lavoro, nella vita: la nostra società è pregna di sessismo e disparità di genere. Non ci immoliamo a paladine puriste delle pratiche femministe, ma crediamo che sia importante formarsi e auto-formarsi per migliorarci e per migliorare i nostri spazi, perché sentiamo forte la necessità di decostruire le pratiche abusanti e sessiste da cui nemmeno la scena punk è immune.
Da quel che ho visto, il vostro unico contatto reperibile è un indirizzo mail, non “esistete” sui social. È una semplice questione di tempo oppure avete deliberatamente deciso di concentrarvi sulla distribuzione cartacea della fanzine? Com’è stata recepita all’interno della scena?
In realtà, per il momento è stata una decisione del collettivo il fatto di non inserirsi all’interno dei social. Crediamo che sia ancora possibile creare una rete che non comprenda per forza un profilo su Instagram e preferiamo almeno per ora attraversare gli spazi e portare la nostra presenza fisica, anziché quella on line, per creare dei contatti umani il più possibile sicuri e reali. Come individualità spesso utilizziamo i nostri canali personali per divulgare, ma al momento la decisione è quella di non creare un vero e proprio profilo.
Mi sembra che temi come l’Antisessimo non vengano molto affrontati all’interno della scena punk italiana, se non a livello minoritario. O meglio, diciamo che mi sembra sia molto più facile che si parli di prendere a calci in culo i fasci piuttosto che della necessità di lottare contro il patriarcato. Perché, secondo voi?
Perché è molto più semplice parlare di risse con i fasci che decostruire se stessi rispetto a delle pratiche che spesso non sono nemmeno riconosciute a pieno come sessiste. Entrando nel dettaglio: l’argomento politica e antifascismo si è sempre curato all’interno dei nostri spazi, rimanendo sempre un caposaldo all’interno dell’antagonismo. Per quanto riguarda il sessismo invece, storicamente parlando, la piramide delle necessità, dei bisogni, delle rivendicazioni è stata sempre molto più difficile da scalare. All’interno del movimento chiunque è antifascista e anticapitalista, quindi partiamo dal presupposto di non condividere determinati privilegi di classe, mentre diventa più difficile cercare di accettare e provare a decostruire il fatto di avere un privilegio di genere. Citando uno slogan anni ‘70 che fa proprio riferimento a quanto sia semplice essere compagni di facciata ma attuare dinamiche sessiste nel privato: «compagni in piazza, fascisti a letto».
Nel variegato mondo della scena punk italiana, esistono realtà dichiaratamente femministe con cui vi rapportate? Al fine di creare coscienza e praticare il concetto di cura, secondo voi, quanto è importante far parte di questo contesto? Mi spiego meglio: quanto conta vivere un determinato contesto se si vuole parlare a quel determinato contesto?
Come accennato prima, gran parte di noi arriva anche da esperienze in collettivi femministi e reti nazionali e per molti versi abbiamo considerato che questi collettivi non ci rappresentassero pienamente, che non riflettessero il nostro vivere la politica oppure che non rispondessero a esigenze che esistono nella nostra quotidianità al di fuori dell’ambito femminista. Il femminismo, magari ne parleremo, non è un blocco unico, ma come tutte le idee politiche ha al suo interno correnti anche contrastanti: esistono realtà liberali, istituzionali, borghesi, trans escludenti, tutte lontanissime da noi che invece vogliamo una lotta che sia transfemminista e antagonista. Il contesto stesso in cui vogliamo esprimerci è diverso e specifico: siamo femminist*, antagonist*, antispecist*, ma siamo anche punk, skin, rudegirls. Il contesto a cui vogliamo parlare è quello della scena, a tutto tondo, ed è un contesto che insieme o individualmente già attraversiamo, che viviamo nella nostra quotidianità, nelle nostre amicizie, nello stile che scegliamo e nella musica che ascoltiamo. Medusa nasce anche per questo: noi esistiamo all’interno della scena e, da qui, alla scena adesso parliamo.
“Medusa” è un collettivo e uno spazio di confronto politico molto interessante. Se una soggettività fosse interessata a prendervi parte, come potrebbe fare?
La nostra mail è piumicimenomachi@gmail.com: chiunque volesse avere maggiori informazioni o a partecipare ai nostri incontri ci può contattare.