Al Teatro Colosseo di Torino debutta il concerto della Cinesymphony Orchestra di Paolo Annunziato, arricchito dalla voce del doppiatore Luca Ward, con lo scopo di omaggiare alcune delle musiche iconiche che hanno segnato la storia del cinema e conquistato il cuore di milioni di spettatori. Un’operazione dall’emozione facile ma, per chi come noi ama la bellezza anche nella semplicità, va benissimo così
Chi ci segue sa che tra le rubriche di Polvere Mag ce n’è una dedicata al rapporto più o meno specifico tra la musica e il cinema, che si chiama Soundtrack. Caso vuole che al Teatro Colosseo di Torino vada in scena un concerto orchestrale volto a omaggiare proprio alcune delle colonne sonore più iconiche della storia della settima arte. Il nome è uguale a quello della nostra rubrica – chissà se ne erano a conoscenza e proprio per questo hanno scelto di aggiungerci la “s” finale, onde evitare problemi di copyright –. Scherzi a parte, non potevamo lasciarci sfuggire l’occasione per capire di cosa di trattasse.
Organizzato da Dimensione Eventi, Soundtracks nasce dall’unione tra la Cinesymphony Orchestra del Maestro Paolo Annunziato e Luca Ward, il grande doppiatore noto ai più per aver dato voce a leggende del cinema americano quali Samuel L. Jackson in Pulp Fiction e, ovviamente, Russell Crowe ne Il gladiatore. L’evento, diretto da Claudio Insegno, era al suo debutto nel famoso teatro situato nel cuore del quartiere San Salvario. La scritta gialla in stile Broadway illumina l’ingresso dal quale entrano un gran numero di persone. A primo impatto l’età media sembra molto alta, come se il pubblico fosse composto in larga parte da signori e signore abituati al contesto delle sedie in velluto rosso e delle grandi orchestre. Tuttavia, l’evento presenta una certa freschezza nell’intento di portare in scena non un Čajkovskij, un Bach o un Mozart, ma compositori moderni quali Hans Zimmer, Alan Silvestri e Ramin Djawadi. E infatti, una volta entrato in sala, noto anche qualche giovane, senza tuttavia mai scendere sotto i 30/35 anni d’età, ad eccezione di qualche ragazzino con i genitori – ed è interessante chiedersi se sia stato lui a chiedere al padre e alla madre di portarlo lì, o loro a trascinarlo a teatro –. Ad abbassare la media, però, è proprio la Cinesymphony Orchestra. Lo stesso Maestro Paolo Annunziato è classe 1994; nel suo background c’è un trasferimento a Londra all’età di 17 anni, per studiare musica e iniziare a scrivere per il cinema.
Si apre il sipario. I musicisti sono pronti. Due leggii sono posti ai lati delle quinte. Da quella a sinistra, accolto dall’applauso dei presenti in sala, entra Luca Ward che subito introduce in breve il concept della serata: una serie di colonne sonore che hanno fatto la storia del cinema, che sono entrate nell’immaginario collettivo in maniera così dirompente da aumentare esponenzialmente il peso specifico di film – e serie – importanti per la cultura di massa. Prima di lasciare spazio ai musicisti,Ward enuncia il suo iconico e sempreverde: «Al mio segnale, scatenate l’inferno!», che ormai veste i panni di una specie di «Daje regà!». Come brano d’introduzione non potevano che scegliere l’immortale sigla della 20th Century Fox; basta anche solo leggere il nome della celebre major del cinema hollywoodiano per sentir risuonare nella testa l’immortale motivo di Alfred Newman, con quella portentosa sezione di ottoni volti a donare epicità al lustro del cinema.
Senza che alcuna immagine in movimento venga proiettata, servendosi esclusivamente del potere evocativo della musica, è impossibile, ascoltando la Cinesymphony Orchestra, non immaginare i film resi immortali anche grazie a quelle sinfonie e a quei leitmotiv che sono entrati nella testa di milioni e milioni di spettatori; Soundtracks è un gioco di immaginazione ed emozione condivisa, seppur nel clima serioso del teatro, che tuttavia trova una sua dimensione quasi ludica nelle atmosfere di film come Up, la cui colonna sonora di Michael Giacchino – vincitrice dell’Oscar nel 2010 –, in quel capolavoro che è la scena iniziale della vita di Carl Fredricksen e l’amore della sua vita Ellie, ha commosso mezzo mondo.
Tornando a Luca Ward, quando si parla di lui in relazione al doppiaggio e subito dopo si cita Il gladiatore, tutto si riduce a un sonoro «ovviamente». Ed era impossibile che il teatro di Torino, che porta il nome dell’arena più famosa di ogni tempo, non ospitasse anche le epiche melodie di Hans Zimmer, chiamate ad accompagnare Ward nell’immortale monologo di Massimo Decimo Meridio, comandante dell’esercito del Nord, generale delle legioni Felix… beh, il resto lo sapete già. Un intervento, quello del doppiatore, breve e che va dritto al punto: della serie entro-spacco-esco-ciao, come direbbe un rapper molto noto in Italia. In generale, i suoi interventi non saranno molti e non dureranno mai troppo. Giusto il tempo di dire due parole sulle colonne sonore più essenziali, come quella di Nino Rota ne Il padrino e di Alan Silvestri nella trilogia di Ritorno al futuro. La domanda retorica che Ward pone al pubblico – col carisma e il pathos teatrale che lo contraddistinguono, insieme alla sua voce calda e potente – è la seguente: questi film sarebbero gli stessi senza tali musiche?
Insomma, l’apporto del doppiatore – ora nelle vesti di presentatore – allo spettacolo concertistico non è nulla di originale, ma abbastanza d’impatto nel suo ruolo introduttivo alle esecuzioni dei musicisti diretti da Annunziato. Da menzionare, però, la poesia di Pablo Neruda, declamata sulle commoventi note di Luis Bacalov ne Il postino di Massimo Troisi. Ed ecco che, proprio lì, nonostante ci si ripeta – quantomeno tra gli addetti ai lavori – che avere una “bella voce” non è essenziale per doppiare, perché che alla fine sta sempre tutto nel saperla usare, appare lampante che il fatto di possederla possa aiutare molto a entrare nel cuore e nell’animo delle persone. E Luca Ward, c’è poco da dire, ce l’ha eccome, una voce bella. Anzi, bellissima.
Per quanto riguarda i veri e propri protagonisti dello spettacolo, Paolo Annunziato e la sua orchestra suonano compatti e coesi. L’intesa è percepibile e l’intensità delle performance di ogni musicista è palpabile, come quella del primo violino, al quale spetta il difficile compito di eseguire la straziante melodia di Schindler’s List, composta dall’unico e imbattibile John Williams. Del resto, Williams verrà elogiato in un breve intervento anche da Ward e del suo repertorio verranno omaggiate anche l’immensa marcia imperiale di Star Wars e il finale fantastico di E.T. l’extra-terrestre. Ma del resto, del compositore vincitore di 26 Grammy, 5 Oscar e nominato ben 54 volte alla medesima statuetta – il più grande compositore di musica per film di sempre? Forse… sicuramente il più ispirato – andrebbe celebrata l’opera intera in un concerto a parte, lungo non meno di 6 ore. Io ci andrei: sarebbero 6 ore di emozioni pure, adrenalina, lacrime e altri cento termini che potrei elencare per descrivere semplicemente in fatto di sentirsi bene, nella sua piena essenza.
La Cinesymphony Orchestra riesce nell’intento di sballottare lo spettatore da un sentimento all’altro, mettendo in secondo piano qualche problema tecnico legato al microfono di Ward – che ogni tanto ci si dimenticava di mettere in muto quando quest’ultimo non era in scena – o ad alcuni innesti audio che hanno fatto interferenza durante l’esecuzione de La vita è bella, che certo hanno impedito una piena immersione emozionale nel mondo creato da Roberto Benigni assieme al compositore Nicola Piovani.
In generale, ogni sezione dell’orchestra di Paolo Annunziato ha il proprio momento di gloria; come gli ottoni, assoluti protagonisti del leitmotiv del celeberrimo Ritorno al futuro, che il Maestro invita ad alzarsi per permettere loro di prendersi il meritato applauso da parte di un pubblico che applaude ogni volta con una diversa intensità e durata, in base non solo all’oggettiva difficoltà esecutiva di ogni brano, ma anche in relazione a quanto quel brano sia riuscito a provocare nei presenti l’effetto primario di una serata come questa: una sana nostalgia, evocata dalle sonorità che hanno cresciuto generazioni di appassionati.
Paolo Annunziato è un compositore e direttore l’orchestra giovane ed è, per questo, un professionista dal carisma cristallino. Si muove con la frenesia di chi si sente scorrere nelle vene non solo la forza della musica, ma anche la potenza dei film che, uniti a quelle sonorità, hanno forgiato anche il suo immaginario. Con la bacchetta lancia incantesimi, benedice i suoi musicisti e li indirizza verso la strada della liberazione dalle convenzioni. Perché la storia dimostra che le musiche per film non sono state sempre considerate al pari del resto della musica orchestrale. È nota infatti la battaglia ideologica tra il compositore vecchia scuola Goffredo Petrassi e il suo rivoluzionario allievo Ennio Morricone, del quale tuttavia non è stata fatta menzione in Soundtracks. Ma è inutile interrogarsi sulle numerose mancanze nella scaletta della serata. D’altronde, di capolavori ce ne sono troppi e in quasi due ore di musica live sarebbe stato impossibile inserire tutto. Alla fine ci siamo goduti ciò che ci è stato offerto, dall’iconica melodia di James Horner in Titanic al motivo eroico degli Avengers – che, assurdo, è anche piacevole se ci si limita ad ascoltare la colonna sonora senza guardare i film –; dalla chitarra elettrica di The Mandalorian di Ludwig Göransson a quella di Time di Hans Zimmer per Interstellar – il titolo del film di Christopher Nolan è l’aggettivo perfetto per descrivere le atmosfere di quel brano –.
Un lungo applauso accompagna i consueti inchini di fine spettacolo. Luca Ward intesse un piccolo discorso su quanto sia importante proteggere tutti i musicisti che animano la vita culturale del nostro Paese, che definisce «patrimonio dell’umanità», senza tuttavia toccare particolari vette di originalità, sfruttando unicamente il potere seduttivo della sua voce, messa al servizio di un discorso tanto retorico nei modi e nei termini quanto necessario e, giustamente, da ribadire. Dunque, ce lo facciamo andare bene, contenti che tra i molteplici ringraziamenti del doppiatore ci sia anche quello riservato ai tecnici dietro le quinte, che non si vedono, ma ci sono. Nulla da dire.