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Saving Grace di Robert Plant: alle OGR è elogio al folk, al rock, al blues

Alle OGR di Torino, Robert Plant porta in scena il suo ultimo progetto Saving Grace, un inno d’amore alle sonorità che lo hanno accompagnato nel corso di una vita intera, definendone l’impronta. Accompagnato da Suzi Dian in un percorso musicale adornato di folk, rock e blues, Robert emoziona il suo pubblico tra cover di prestigio, brani tradizionali e gli immancabili Led Zeppelin


A dieci minuti dalle 21, orario di inizio impresso sul biglietto ma che, come di consueto, sarà posticipato di mezz’ora, le OGR di Torino appaiono deserte. La lunga e tortuosa passerella prima dei controlli, predisposta ad accogliere il pubblico di un’autentica leggenda del rock internazionale, è più che mai vuota e silenziosa. Eppure, l’evento è sold out. La folla, infatti, si trova già all’interno della struttura, composta e seduta di fronte al palcoscenico. Ognuno, dal posto che gli è stato assegnato, è pronto ad accogliere la prima nota, il primo suono, la prima emozione. In religioso silenzio.

E se di religione parlo, non è certo alla leggera. Sul palco sta per salire Robert Plant, voce dei Led Zeppelin e di una generazione intera – ma forse anche più di una –, in tour in Italia dall’8 ottobre con il suo nuovo progetto Saving Grace. Lo spettacolo porta in scena le sonorità più care all’artista inglese, una collezione di oltre mezzo secolo delle sue più intime e affezionate influenze musicali, storiche e recenti. In primis, il folk britannico e americano, che permea ciascuno dei brani presenti in scaletta e ognuno dei rispettivi arrangiamenti. Frequente, poi, l’influsso delle sonorità blues, del rock – si avverte ancora l’eco lontana dell’aggettivo hard – e, a tratti, persino della psichedelia, che sempre a Plant fu cara ma che ormai sembra rievocare solo più come un dolce e lontano ricordo, nostalgico, al quale l’artista rimane affezionato anche se, in fondo, forse non gli appartiene più. In particolare, in apertura a It’s A Beautiful Day Today, cover dei Moby Grape, Plant ci tiene a esplicitare l’amore che fin da ragazzino ha riservato ai gruppi psichedelici della west coast americana citando, fra tutti, i Grateful Dead e i Jefferson Airplane.

Se è vero che il tempo passa inesorabile, è vero anche che per il vecchio Robert sembra scorrere più lentamente, o perlomeno sembra accusarne meno i colpi. La sua voce – secondo molti la migliore solista rock di sempre – è ancora lì, potente e risoluta; forse un po’ meno grintosa, sicuramente meno virtuosa, ma ancora viva e appassionata, calibrata su un terreno sonoro che gli è di certo più congeniale, all’alba dei suoi 76 anni. Così, anche brani di zeppeliniana memoria come Four Sticks e Friends vengono riadattati per l’occasione, riarrangiati in chiave folk, abbassando il registro vocale di qualche ottava, i bpm di qualche misura e la batteria di qualche colpo – anche perché, di certo, riuscire a stare dietro a Bonham sarebbe un’impresa per chiunque –. Quasi intatte, invece, le emozioni in The Rain Song, che fin dalle prime note richiama a sé un plotone di telefonini e, sullo sfondo, un boato d’entusiasmo.

Accanto a lui, sul palco, una formidabile Suzi Dian è chiamata a bilanciare le armonie vocali: ora come seconda voce, ora come protagonista. Poi, ancora, come fisarmonicista, tessitrice di atmosfere evocative – a tratti oniriche e malinconiche – estremamente suggestive, riempitive come un esercito di archi. Seduti a semicerchio sullo sfondo, impeccabili, chiudono la formazione Oli Jefferson alle percussioni, Tony Kelsey alle prime mille corde – tra cui spiccano mandolino e chitarra acustica – e Matt Worley alle seconde (banjo, chitarra acustica e cuatro).

Il concerto prosegue nel suo repertorio folk, rock e blues, rievocando brani di artisti storici come For The Turnstiles di Neil Young, Everybody’s Song dei Low e Blow Down This House Of Cards di Richard & Linda Thompson, in una splendida versione «dedicated to the leaders of the british government». Dopo il consueto bis, il gruppo rientra per suonare altri due brani tradizionali – tra cui spicca Gallow Pole, rivisitata già dai Led Zeppelin ai tempi d’oro di Led Zeppelin III – e poi chiudere, infine, con una suggestiva interpretazione a cappella di We Bit You Goodnight, cantata a cinque voci e adagiata su un tappetto vocale del pubblico, chiamato all’unisono a partecipare.

Il progetto si afferma come una dichiarazione d’amore alle influenze musicali che più hanno segnato la vita di Robert Plant, contribuendo a definire l’estetica della sua musica, pre e post Led Zeppelin. E dopo un’ora mezza di concerto, al cospetto di quella che possiamo definire a pieno titolo una leggenda vivente della musica internazionale, possiamo dire che quell’amore lo abbiamo percepito, lo abbiamo compreso, lo abbiamo condiviso.
E ce lo portiamo stretto a casa, come fosse un privilegio.

Alessandro Bianco

Giornalista, musicista e Video Editor, classe 1992. Vivo a Torino, in un mondo d’inchiostro e note musicali, di cinema e poesia: da qui esco poco e poco volentieri, ma tu puoi entrare quando vuoi.

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