Può una band essere così eclettica e offrire una musica così varia e variopinta da non lasciarsi classificare sotto alcun genere musicale? La catalogazione è tutto ciò da cui rifuggono i Motorpsycho: il loro ultimo disco, Neigh!!, è la sintesi perfetta di una carriera passata a sperimentare. La musica è una dea imprevedibile, con la quale è meglio stabilire un contatto cercando di interpretarne la natura multiforme piuttosto che imprigionarla, poiché sarebbe pericoloso. E la band norvegese, questo, sembra saperlo molto bene
Il nitrito – si intende il verso del cavallo, non il composto chimico – viene definito come segue da innumerevoli dizionari: «suono consistente in una serie di sonorità dapprima acute e poi sempre più profonde». Non sembra un caso allora che il nuovo album dei Motorpsycho si chiami proprio Neigh!! – nitrire!! –.
Nove tracce apparentemente disorganiche tra loro: una commistione di generi e intenzioni che può sembrare senza criterio a un ascoltatore abituato alla simmetria, alla classificazione, alla ricerca di una regola a tutti i costi. Eppure, esattamente come il nitrito del cavallo – per quanto complesso e strutturato – è ben distinguibile da tutti gli altri versi, anche in questo disco i suoni più accesi e squillanti si uniscono ai rumori cupi e pesanti per dare vita a un unico prodotto armonico, per di più ben riconoscibile: un marchio di fabbrica, quasi.
Anche la copertina sembra ironizzare su questo aspetto: un muppet simile a un Babbo Natale in borghese regge un libro dal titolo Horse Talk for Modern Man, mentre un balloon ci suggerisce il suo pensiero: Neigh!!. Forse, dentro a questo disco dobbiamo imparare a entrarci. Non basta un solo ascolto, probabilmente nemmeno dieci o più. Forse all’uomo moderno serve uno sforzo interpretativo per riuscire a comprendere questo “linguaggio del cavallo” che sta nascosto in ogni traccia, solo allora tutto avrà un senso, dopo il non-senso iniziale.
Derivate – come ha dichiarato ironicamente la stessa band – da tracce di “scarto” delle sessioni low-fi realizzate in sala prove durante la pandemia, queste canzoni dovevano trovare il loro spazio e il loro momento. Per il gruppo questa è «una raccolta di brani che non trovavano posto e ora l’hanno trovato.».
00:55 secondi di folate di vento – probabilmente norvegese – e poi la prima traccia del disco, Psycholab, si apre: una progressione di accordi riconoscibili, chitarre morbide e una batteria incalzante, nulla di quell’irriverente hard-rock che molti – affezionati a dischi come The Tower o The Crucible – si sarebbero aspettati. È come se i Motorpsycho, già dal precedente disco Yay! – anch’esso frutto della sopracitata produzione forzatamente casalinga – avessero voluto mostrare tutti i lati del proprio eclettismo, offrendo agli ascoltatori un vero e proprio viaggio all’interno della loro carriera.
Tracce come Edgar’s Bathtub e Elysium, Soon si avvicinano dichiaratamente al progressive-rock dei padri di questo genere – quali King Crimson, Pink Floyd ecc. –, un genere già sperimentato dal gruppo in passato, specialmente nei dischi dell’ultimo decennio. Edgar’s Bathtub è una traccia strumentale di 00:55 secondi – ancora questo il minutaggio, sarà solo un caso? – dai toni gotici e spettrali: un brano che è meglio evitare di mettere su in auto la sera di Halloween se si è inclini all’autosuggestione. In sottofondo, un synth sembra riprodurre in lontananza il vento riprodotto nella prima traccia, ma questa volta non è una semplice folata: è una vera e propria raffica, veloce e arrabbiata.
Brani come Return to Sanity e This is your Captain , con i loro riff ripetuti ciclicamente, i cori armonizzati alla perfezione e qualche tastiera psichedelica, prima ci disorientano – dov’è il noise pesante a cui ci eravamo abituati prima della pandemia? –, poi ci fanno fare un tuffo nel passato, un ritorno più o meno velato ai preziosi dischi che la band ha prodotto alla fine degli anni ’90.
Un ascoltatore curioso e versatile, benché spaesato, si accorgerà presto che questa commistione di stili non è affatto sgradevole. Anzi, è affascinante. Il disco funziona. Siamo noi che dobbiamo modellarci sui brani e non il contrario, questo è lo sforzo richiesto.
All My Life (I Love You), cover dell’omonimo brano di Skip Spence, sembra collocarsi esattamente a metà – o forse è meglio dire al centro – di tutti i generi sperimentati dalla band fino ad ora. Un brano in gradi di mettere d’accordo il maggior numero di ascoltatori possibili. L’arrangiamento rimane fedele alla versione originale, un folk psichedelico che ci porta nella California di fine anni ’60.
La penultima traccia, Crownee Says, fa eco ai primissimi Wilco e, perché no, a tratti anche ai Beach Boys di Pet Sounds. Il ritmo energico della batteria non ci lascia prendere fiato, mentre il solito synth riproduce ancora una volta la folata di vento iniziale, questa volta più calma e benevola.
Condor, ultima traccia – interamente strumentale –, è scandita da un assolo di chitarra che distende l’atmosfera già particolarmente rilassata. Una vera e propria musica di sottofondo, curata e studiata. Non sembra una chiusura casuale: il disco si apre con una bufera di vento e si chiude con un brano distensivo, il caos in questo album è solo apparente.
In conclusione, questo disco nasconde melodie molto più pop di quanto non si riesca a intuire a un primo ascolto. Rimarrà forse deluso e non si immergerà davvero nelle sonorità di Neigh!! chi non ha la pazienza di adattare sé stesso e i propri timpani a un album che richiede elasticità mentale e interpretativa. L’ascoltatore disorientato e deluso arriverà allora a dirsi: «è solo il verso di un cavallo!». No, mio caro, è musica.