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Musica e protesta: quando le note sfidano il potere

La musica è da sempre un’arma di protesta, dai Sex Pistols ai Black Panthers, da Bella Ciao a Bob Marley. Oggi, però, i grandi eventi come Sanremo ignorano le ingiustizie e propongono solo canzoni vuote. Serve una musica che torni a scuotere le coscienze e dare voce alla ribellione


La musica è sempre stata molto più di un semplice intrattenimento. È un’arma, un megafono per chi non ha voce, un linguaggio universale capace di unire e ribellarsi. Dai canti di protesta delle guerre ai movimenti rivoluzionari, la storia è piena di esempi in cui le canzoni hanno accompagnato e sostenuto lotte sociali e politiche. Oggi, invece, sembra che la musica mainstream si sia addomesticata e che i grandi eventi si limitino a proporre canzoni vuote, ignorando le crisi e le ingiustizie che ci circondano.

Uno dei movimenti musicali più iconici e dirompenti è stato il punk, nato negli anni ‘70 come reazione all’oppressione sociale, alla disoccupazione e al conformismo. Band come i Sex Pistols con God Save the Queen attaccavano direttamente la monarchia britannica, mentre i The Clash con White Riot parlavano della necessità di una rivolta della classe operaia bianca, ispirandosi alle rivolte dei neri nel Regno Unito. Negli Stati Uniti, il punk si intrecciava con la politica più radicale, i Dead Kennedys con Holiday in Cambodia attaccavano il consumismo occidentale e l’ipocrisia della borghesia americana. Il punk non era solo musica, era un movimento di protesta, un grido contro il sistema, spesso espresso in modo brutale e diretto.

Negli Stati Uniti, la musica è stata una componente fondamentale nella lotta per i diritti civili e la resistenza afroamericana. Gli inni del movimento per i diritti civili, come We Shall Overcome, accompagnavano le marce pacifiche di Martin Luther King, ma con la nascita delle Black Panthers la musica divenne ancora più diretta e aggressiva.

Artisti come Nina Simone con Mississippi Goddam denunciavano la brutalità della segregazione, mentre il funk e il soul di James Brown con Say It Loud – I’m Black and I’m Proud divennero inni di orgoglio e resistenza. Negli anni ‘80 e ‘90, l’eredità della protesta si spostò nel rap e nell’hip-hop, con gruppi come Public Enemy e N.W.A., che con canzoni come Fight the Power e Fuck tha Police denunciarono la violenza della polizia e le discriminazioni razziali.

Se c’è una canzone che incarna la lotta contro l’oppressione è senza dubbio Bella Ciao. Diffusosi come canto dei partigiani italiani durante la Resistenza contro il fascismo, è diventato nel tempo un simbolo universale di ribellione. Oggi viene cantato nei cortei di protesta in tutto il mondo, dalla Spagna alla Turchia, fino al Sud America. Anche il reggae di Bob Marley ha avuto un ruolo nella lotta contro le ingiustizie, con brani come Get Up, Stand Up che invitavano il popolo a ribellarsi all’oppressione. Eppure, mentre questi artisti mettevano la musica al servizio della protesta, oggi sembra che la musica abbia perso il coraggio di schierarsi.

Viviamo in un periodo storico segnato da guerre, ingiustizie sociali, cambiamenti climatici e crisi economiche. Eppure, quando si accendono i riflettori sui grandi palchi della musica, come il Festival di Sanremo, cosa ascoltiamo? Canzoni d’amore insipide, testi vuoti, artisti che preferiscono non esporsi. Sanremo, così come altri festival musicali, potrebbe essere un’occasione per fare propaganda politica, per denunciare i massacri dei civili a Gaza, le discriminazioni razziali, lo sfruttamento del lavoro, la violenza sulle donne. E invece? Si canta di niente. Nessun messaggio forte, nessuna canzone destinata a lasciare il segno nella storia della protesta.
Nel 1969, John Lennon e Yoko Ono usavano la loro musica per diffondere un messaggio di pace con Give Peace a Chance. Nel 1985, il Live Aid raccoglieva fondi per combattere la fame in Africa. Oggi, i grandi eventi musicali sembrano aver dimenticato la loro responsabilità sociale.

La musica è uno strumento potentissimo, capace di muovere masse, accendere riflessioni, scatenare rivoluzioni. La storia lo dimostra. Ma senza artisti che abbiano il coraggio di usare la loro voce per qualcosa di più grande, rischiamo di ridurre la musica a un semplice sottofondo per distrarci dalle ingiustizie che ci circondano. Abbiamo bisogno di nuovi punk, nuovi rapper di protesta, nuovi cantautori coraggiosi. Abbiamo bisogno di canzoni che facciano incazzare, che scuotano le coscienze, che non abbiano paura di dire la verità. Perché senza musica che urla contro il potere, la protesta è molto più debole.

Ludovica Monte

Anche detta Fragola Brutale, classe 1996, romana fino al midollo. Sul comodino ho il Manifesto Anarchico da leggere come favola della buona notte e nel portafoglio un santino di GG Allin. Amo andare ai concerti, stare ore in libreria, scrivere ed essere polemica. Il mio film preferito è La Haine.

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