Loading

Manning Fireworks tra amara ironia ed esplorazione dei traumi

svg14 September 2024AlbumRecensioniLuca Parri

Classe 1999. MJ Lenderman, al suo quarto album, trova finalmente la sua posizione nello spazio del folk alternativo con radici forti nella tradizione nordamericana. Un posto fatto di testi post-ironici, caldo e rassicurante ma anche capace di avviare riflessioni


Che la musica folk nordamericana stia prendendo un ruolo sempre più rilevante nel contemporaneo è un dato di fatto, anche se forse è semplicemente una questione di risonanza, hype e tendenza. Se è vero che il mercato si sta aprendo sempre di più – dall’undeground al mainstream – lo è altrettanto che la scena tendenzialmente non si è mai fermata da quando si è iniziata a ibridare con il rock alternativo, formando una nutritissima quantità di generi. Dai classici Wilco, The Microphones/Mount Eerie, Sufjan Stevens Modest Mouse, passando per Father John Misty, Phoebe Bridgers, Big Thief, Waxatchee e un’altra sfilza infinita di nomi decisamente rilevanti: gli esempi si sprecano e si diramano in tantissime direzioni che per comodità vengono racchiusi sotto i cappelli di indie folkslacker rockalternative country, spesso tra loro ibridati e intersecati.

Le definizioni di genere, nella musica come in altri contesti, lasciano però quasi sempre il tempo che trovano e forse sarebbe meglio parlare di sensazioni, più che di ogni altra cosa. È un po’ quel che ho pensato alla fine del primo ascolto di Manning Fireworks del cantautore statunitense MJ Lenderman: qualcosa che è suonato in un certo modo per necessità, per volontà esplicita e che porta a usare determinati strumenti – musicali e lirici – non per la necessità di rientrare in una determinata casella. Certo, va detto che Lenderman non è affatto nuovo a questi suoni e che sono certamente i suoi, sia da solista sia con la band Wednesday in cui milita dal 2020; ma qui, come mai prima d’ora nella sua carriera, viene fuori un elemento che doveva ancora trovare il suo spazio: l’urgenza convogliata nella consapevolezza.

Il primo aspetto in cui possiamo ritrovare quanto detto finora in Manning Fireworks arriva ancora prima di premere play e far partire il disco. Le nove tracce dell’album fanno terminare il viaggio a poco meno di quaranta minuti, lasciando intuire un approccio conservativo di cautela che ha due possibili motivazioni: insicurezza o risolutezza nell’avere bene in mente quando occorre fermarsi per non risultare ridondante. Se mi avete seguito fino a qui avrete probabilmente capito che il caso di MJ Lenderman rientra nella seconda ipotesi. Questo suo ultimo lavoro è infatti estremamente ponderato, misurato e calcolato non per andarci con i piedi di piombo ma perché è esattamente quello che il suo autore aveva bisogno di dire nello spazio adeguato.

Manning Fireworks è un disco di americana alternativa che si appoggia su suoni conosciuti, confortevoli e appetibili a un largo pubblico ma che non rinuncia mai alla sua funzione principale: servire a chi lo ha fatto per assestarsi in un punto preciso della sua carriera. I testi raccontano – con sarcasmo pungente e amarissimo – di sconfitte quotidiane normali di un qualunque sfigatissimo post-adolescente appassionato di videogiochi e di musica indipendente. Una persona che scava dentro di sé, dentro le sue radici culturali e i suoi ricordi per radicarsi sul presente e affermarsi nel momento attuale. «Non sarei in seminario, se potessi stare con te» canta il nostro, con la voce contemporaneamente rotta e svogliata in Rudolph, raccontando una realtà fatta di educazione religiosa imposta, volontà di ribellione e riflessioni sui sentimenti che mettono a nudo tutto ciò che MJ Lenderman è: un venticinquenne talentuoso cresciuto in un contesto estremamente rilevante per la sua arte, intrisa del suo vissuto in ogni sua componente.

La parte strettamente musicale, strumentale e di arrangiamento riflette anch’essa questa dimensione. I componimenti sono adagiati, un po’ scazzati ma non per presunzione ma perché così è chi li ha composti. L’uso degli strumenti segue lo stesso registro: lap guitars, armoniche e violini che si abbracciano con fuzz e distorsioni elettriche dal sapore velatamente shoegazenoise mentre la voce racconta di episodi che strappano qualche amara risata a chi ascolta. Il risultato è convincente perché è vivo, vero e credibile: Lenderman è questo, lo sa e ne prende atto in ogni suo aspetto. Emblematico in questo senso è l’ultimo brano, Bark at the Moon, che dura un quarto del totale dell’intero album ed è diviso in due parti: un crescendo tipicamente indie folk ci racconta delle notti insonne del cantante, fino a culminare in un’orchestra di droni e feedback che occupa più di metà brano, connotando il disco in modo inequivocabile e terminando il viaggio.

In definitiva: Manning Fireworks è un disco con le radici nel country e nell’indie rock, che però ha una sua identità ben definita. Nessun suono è scelto per essere accomodante verso chi ascolta, nessuna storia è scritta per creare enfasi empatiche fasulle. Tutto è dovuto a un’urgenza, quella esplicita del suo autore che finalmente ha compreso a pieno come esprimersi.

Luca Parri

33 anni tra design, giochi, fumetti, cinema e musica con sempre le stesse prerogative: amore per l'underground, approccio geek, morale punk e gusti snob.

Loading
svg
Navigazione Rapida
  • 01

    Manning Fireworks tra amara ironia ed esplorazione dei traumi