Il “sogno americano” si è imposto nell’immaginario di svariate generazioni europee. Ma dietro i Fast Food, le Cadillac colorate, le confraternite dei College e il Rock Around The Clock, c’è molto altro
5 Giugno 1947. Il segretario di stato statunitense George Marshall annuncia la volontà, da parte degli USA, di avviare una manovra politico-economica su larga scala che possa aiutare i molti paesi del “vecchio continente” sconvolti e devastati dai quasi 6 anni di Guerra Mondiale.
Lo scopo del “Piano Marshall”, però, non è solamente quello di contribuire alla ripresa di quei paesi che, a distanza di qualche anno, avrebbero costituito il famigerato “blocco occidentale”. Nella natura del piano, infatti, si cela anche la volontà di creare una stabile alleanza tra Stati Uniti e paesi europei in un’ottica antisovietica e, più in generale, anticomunista.
Le conseguenze, chiaramente, riguardano anche l’aspetto culturale: da qui in avanti, infatti, il “sogno americano” permeerà, in modo graduale, la vita delle varie generazioni che abiteranno il suolo europeo. E lo farà a prescindere dai confini nazionali.
Il rapporto con la cultura americana riguarderà, nel giro di pochi anni, anche tutta la produzione musicale europea che guarderà con interesse alla “nuova” musica d’oltreoceano.
Ovviamente, però, c’è anche chi, nel corso degli anni, ha voluto esprimere il proprio rifiuto e la propria opposizione ad un modello culturale imposto dall’alto per motivazioni politico-economiche piuttosto che per un reale interesse di apertura.
A 77 anni dalla creazione del “Piano Marshall”, ecco quindi una selezione di 5 pezzi che hanno descritto l’altra faccia del paese a stelle e strisce. Una faccia che, per una volta tanto, non rappresenta sorridenti ragazzi del college che si apprestano a mangiare un hot dog sugli spalti di un campo da baseball.
The Clash, I’m So Bored With The Usa, 1977.
Contenuto nel primo disco di un gruppo che non bisogno di alcuna presentazione, questo pezzo ci racconta la vera essenza della società americana. Guerra, supporto a regimi dittatoriali, militarismo portato all’eccesso, assenza di sussidi statali e feticismo delle armi: gli Stati Uniti descritti dai mostri sacri del punk – ma anche della musica in generale – sono questi. E ci hanno rotto così tanto le palle che vorremmo vedere anche il tenente Kojack pestato alla grande in qualche bassofondo di New York.
The Exploited, U.S.A., 1981
Gli Exploited, si sa, non sono tipi famosi per toccarla piano. Soprattutto se l’argomento è qualcosa che li fa incazzare. Perché cosa c’è di bello in un paese dove tutti pensano ai soldi, la sanità non è garantita in nessun modo e il pericolo di un’esplosione nucleare è sempre imminente? La caratteristica voce di Wattie, tra un fuck e un tupa-tupa, ci descrive la frustrazione provata nei confronti dell’americanizzazione della Gran Bretagna.
Kenze Neke, Amerikanos A Balla Chi Bos Bokene, 1992.
Questo incredibile gruppo sardo ha sempre coniugato musica, lotta politica e amore per la propria terra. Nonostante il testo sia interamente cantato in lingua sarda e possa risultare incomprensibile ai più, non bisogna impegnarsi troppo per capire il senso di questa bellissima canzone. Scandito da una tipica melodia combat-rock che andava tanto di moda negli anni ’90, l’invito fatto agli americani presenti in Sardegna è uno: prendete le vostre basi militari, le vostre armi e levatevi dalla Sardegna, Amerikanos.
The International Noise Conspiracy, Capitalism Stole My Virginity, 2001.
Il gruppo svedese non è nuovo a critiche nei confronti della società o auspici di venti rivoluzionari. Gli “Stooges di Umeå” questa volta ci raccontano di come il modello capitalista ci stia fregando quotidianamente in cambio di alcune futili illusioni. Nel giro di pochi anni, ci stiamo trasformando sempre di più in sgradevoli individui sempre più egoisti e affamati di merci. E chi è, in parte, responsabile di tutto ciò?
Rammstein, Amerika, 2004.
Il gruppo tedesco ha fatto ben più che comparire nel film XXX. Per quanto ascoltare una voce che sbraita in crucco possa suonare ancora inquietante nelle orecchie della Generazione Y, i pionieri della Neue Deutsche Härte ci dicono che, anche senza volerlo, alla fine, tutti viviamo nella meravigliosa America in cui sorseggiamo Coca-Cola mentre guardiamo la slitta di Santa Claus sfrecciare sopra l’Africa e Mickey Mouse occupare Parigi in stile Hitler. L’antidoto a questa distopica globalizzazione forzata? Nessuno.