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Intervista ad Anna Castiglia

Originaria di Catania, Anna Castiglia è una giovane cantautrice che ha attraversato l’Italia, spinta dalla vocazione artistica ereditata dalla famiglia. Diplomatasi in “Canto, danza e recitazione” alla Gypsy Musical Academy di Torino, comincia ad affermarsi come cantautrice partecipando a numerosi eventi. Fa parte del collettivo “Canta Fino a 10”, un progetto collaborativo tra cantautrici volto ad affermare la presenza femminile nella scena musicale. Nel 2023 partecipa a X Factor ed è attualmente in attesa di cominciare il suo primo Club Tour in giro per l’Italia. Ai microfoni di Polvere ha raccontato il suo percorso: tra timori, speranze e voglia di mettersi in gioco


A che punto della tua vita ti trovi? Che momento stai vivendo?
Attualmente mi trovo in un momento di transizione. Sto studiando canto pop al secondo anno di conservatorio ma, allo stesso tempo, entro sempre più nel vivo della musica da un punto di vista professionale e lavorativo. Quindi è un momento un po’ difficile onestamente (ride). Devo capire come gestire tutto perché sono in un limbo in cui faccio entrambe le cose, male. Insomma, devo decidere se continuare a farle entrambe, a patto di trovare un equilibrio, oppure sceglierne una sola.

Parliamo della tua storia. Nasci figlia d’arte: la mamma attrice, il papà attore e comico. Questa condizione è stata un vantaggio oppure un peso per te?
Entrambe le cose. Da un lato si è trattato di un vantaggio, perché se parlo di musica e arte loro mi capiscono. Anzi, sono proprio loro che mi hanno introdotta in questo ambito. Vedo molti colleghi o colleghe che si trovano ancora a dover convincere i genitori del loro lavoro ed è orribile non avere quel tipo di appoggio, soprattutto se vivi fuori e hai bisogno di un sostegno. I miei mi hanno aiutata molto da questo punto di vista, sapendo bene di cosa si tratta. Proprio per questo motivo, però, a volte è molto pesante, perché pensano di poter parlare per me, di potermi dire qualunque cosa e di sapere fare meglio. Quindi a volte la pressione è tanta. In particolare, questo è un periodo in cui si sono resi conto che posso farlo veramente. Prima della TV era come se non credessero davvero a quello che facessi. Non so perché la TV ti dia tutta questa istituzionalizzazione (ride). Diciamo che adesso loro sono molto presenti e felici, di questo sono veramente contenta ma allo stesso tempo possono essere un po’ pressanti.

Si può quindi dire che, in qualche modo, l’esperienza dei tuoi genitori ha influenzato la tua formazione.
Sì, assolutamente. Loro hanno iniziato entrambi con il teatro, quindi ci portavano a vedere musical, opere popolari, cose così… Mio padre, poi, è molto appassionato di musica, anche se non ha mai fatto il musicista di professione. Scriveva canzoni e le scrive tutt’ora: questo mi ha sicuramente influenzato tanto. Ci ha sempre fatto ascoltare molta musica, sia a me che a mia sorella.

Dopo il diploma hai deciso di trasferirti da Catania a Torino, come mai questa città?
Sì, mi sono diplomata e sono andata a Torino per studiare musical in Accademia. Il vero motivo di questo trasferimento è stata mia sorella gemella: lei doveva andare a Torino per fare la FLIC, la scuola di circo, che le era stata consigliata. A quel punto mi sono detta: “anche io ci voglio andare!”. E mi sono buttata sul musical. Ho scelto Torino per una questione emotiva ed economica, per stare nella stessa città di mia sorella e agevolare anche i nostri genitori.

Allora non hai scelto Torino perché pensavi avrebbe potuto offrirti una svolta a dal punto di vista musicale.
No, assolutamente no (ride). Quando l’ho scelta l’ho fatto per l’Accademia, non l’ho scelta per la musica. Ho detto: vabbè, sono indecisa… voglio provare tutte e tre le discipline che mi piacciono! Solo più avanti ho capito che la musica sarebbe potuta diventare il mio lavoro, perché prima non lo pensavo.

Quindi è una scelta recente?
Recentissima no, ormai sono passati 4 o 5 anni da quando mi sono trasferita a Torino, ora sono a Milano. Diciamo che ho sempre scritto, anche prima di trasferirmi, solo che non pensavo fosse possibile. Forse a Catania non avevo gli esempi giusti: facevo cover, non potevo suonare le mie canzoni. Cioè era proprio vietato! (ride). Ovviamente a Catania non è più così, ci sono moltI posti in cui suonare live adesso, anche per emergenti. Arrivata a Torino però ho vissuto tutta un’altra situazione. E da lì mi sono detta: “vabbè, voglio fare la cantautrice!”

Quali sono le difficoltà, i cambiamenti e le speranze legate a questa migrazione?
Sicuramente all’inizio è molto bello. Sei totalmente presa, come se fossi in vacanza. Poi, dopo un po’, ti rendi conto che è una vacanza un po’ troppo lunga (ride). Allora realizzi di essere lontana da casa, e che devi pensare a mille cose in più rispetto a quando vivevi con i genitori. In realtà, il primissimo giorno è proprio un trauma, non sai cosa fare. Arrivi lì, sola, devi salutare tutti all’aeroporto: è terribile. Poi c’è tutto il bello della novità, anche se più il tempo passa più mi manca la Sicilia, vorrei vivere un po’ anche lì o almeno scenderci più spesso, non per forza solo a Natale e d’estate. Perché la percezione della vita quando torni solo per le vacanze è falsata, non è la vita reale.

Grazie all’esperienza di X Factor ti sei fatta conoscere al grande pubblico e a breve inizierai il tuo primo club tour, che aspettative hai?
Ovviamente ci sono solo paure (ride). Vabbè, io sono una persona ansiosa e ho molta paura di fallire, quindi vedo spesso gli impegni grossi come un pericolo. Vedo prima il brutto del bello e mi dispiace molto, vorrei vivermela meglio. Però non lo so, non so quali siano le mie aspettative. Spero che vada bene, di avere il tempo di preparare tutto al meglio e di fare uno spettacolo che mi piaccia. A Catania non vedo l’ora, inizieremo da lì e sarà una vera e propria festa: mi auguro di trovare un po’ di gente nuova ma anche un po’ la solita, perché sarebbe bello vedere facce amiche. Onestamente non so che cosa aspettarmi per ora (ride).

Qual è la tua esperienza con il collettivo “Canta Fino a 10” e che ruolo ha avuto nella tua formazione artistica?
Dal punto di vista della formazione artistica, nel concreto non ha avuto nessun ruolo. Per me, però, la crescita artistica combacia sempre con quella personale: non riesco a staccare la persona dall’artista, il che a volte può essere sbagliato. Metto tutta la mia persona nel lavoro che faccio e siccome nel Collettivo la crescita personale che ho avuto è stata enorme, di conseguenza lo è stata anche a livello artistico. Con “Canta Fino a 10” si fa un esercizio continuo di distruzione degli stereotipi, si condividono le proprie canzoni le une con le altre senza provare invidia. È un allenamento, mettiamo in discussione i meccanismi interni che noi tutti abbiamo e che dobbiamo imparare a decostruire. Ci troviamo all’interno di una struttura che ci mette costantemente in competizione, perché le donne sono poche nell’etichetta e se ce n’è già una tu non vai più bene, come se la cantautrice fosse un genere musicale (ride). Quindi automaticamente odi quella donna. Con il Collettivo invece impari a fare rete, a distruggere questi stereotipi. E si cresce tantissimo.

Dici che non ci sono abbastanza donne e che vengono spesso messe in competizione dal punto di vista professionale. Tu sei una cantautrice siciliana, quindi subito: Carmen Consoli e Levante. Esiste questo paragone? Se sì, come te lo vivi?
Ovviamente c’è… e non ti dico! (ride). Con il collettivo abbiamo fatto una rubrica che si chiamava “Segnala come Spam”, in cui avevamo raccolto tutte le frasi più comuni che ci venivano dette. E una di queste era proprio “sai che assomigli tanto a Levante?”. A tutte ci veniva detto: tutte assomigliavamo a Levante e 10 anni fa assomigliavamo tutte a Carmen Consoli. Questo perché non ci sono altri riferimenti, sono pochi gli esempi di donne con la chitarra. Se vedi uno che canta gli puoi dire che sembra chiunque: Calcutta, Frah Quintale, ecc. Anche all’interno di un solo genere ce ne sono tantissimi. Tendenzialmente ormai uno la prende sul ridere, io so che quando me lo dicono lo fanno perché quello è il riferimento e non c’è nulla di male. Lo capisco: una siciliana che si trasferisce a Torino, ok. Poi mi fa anche piacere, perché le adoro entrambe. Però insomma, lo so cosa c’è dietro (ride).

Com’è noto hai aperto concerti di artisti affermati, come i Tre allegri Ragazzi Morti e Max Gazzè. Si è trattato di esperienze importanti dal punto di vista formativo? Cosa ti hanno lasciato?
Sicuramente sì! Già di per sé trovo bellissimo andare a vedere i concerti dei professionisti. Quando vado a vedere un concerto non me lo godo mai dal punto di vista del pubblico, sto a pensare tutto il tempo: “Ah! Vedi? Ha fatto questa cosa, chissà costa sta pensando…”. Ma vederlo da dietro le quinte è bellissimo, perché vedi veramente che cos’è una produzione. Soprattutto con Max Gazzè, è stato molto formativo. Con gli altri raramente sono entrata in contatto. I Tre allegri poi sì, sono stati carini e ci siamo parlati; invece con Manuel Agnelli zero, neanche l’ho visto. Ma non per lui, è che io non sono una che va a disturbare. Però con Gazzè è stato bellissimo, perché siamo nella stessa etichetta – la OTR – e quindi mi hanno presentata a tutti loro. Mi hanno anche dato la sua felpa! Ho avuto modo di conoscere tutte le professionalità che stanno in una produzione. Già le avevo studiate al conservatorio, quindi so cos’è un direttore di palco, un backliner, ecc… però vederlo cosi, viverlo, è stato bellissimo!

E dal palco di X Factor?
Da lì ho imparato molto a conoscermi, perché non capita tutti i giorni di andare in TV. È proprio un ambiente a sé rispetto alla musica che bazzico io, nei locali. Quindi mi è servito a capire come io reagisco in questa situazione, del tutto nuova. Non so se ho imparato a farlo, a stare in TV. Quello che ho capito, però, è che alla fine è piaciuto il mio non essere televisiva. Quindi ho imparato qualcosa da me, mentre dagli altri non lo so, ci sono stata molto poco. Non è stato un vero percorso ma lunghe giornate di 12 ore, di cui 10 seduta in una palestra e le altre 2 a farsi intervistare. Si ha una percezione molto particolare a stare sul set: quando fai il provino pensi che va malissimo, non hai un reale riferimento. Non si possono neanche fare video e foto: è una cosa che rimane lì, tra te e loro. E nel frattempo, nell’attesa della pubblicazione, ti fai mille paranoie. Pensi che possano aver messo qualunque cosa e che farai brutte figure. Poi, quando va in onda, è tutta un’altra storia. Nel mio caso è andata molto bene e sono felice così, perché poteva andare diversamente.

Come nasce un tuo brano? Chi o che cosa ti ispira maggiormente?
Ci sono due tipologie di brani che scrivo: quelli un po’ più sentimentali, che partono da un sentimento forte e che non è per forza l’amore. Solitamente li scrivo di getto, in un giorno. Ci sono poi canzoni che partono da un concetto, da un’idea o da una consegna che mi do io stessa. Ad esempio, GHALI è nata così. Mi sono detta: “Vorrei scrivere una canzone sulle colpe”. In questo caso ci impiego più tempo. GHALI è stato un esercizio: ho sentito il bisogno di vivere il mondo, la città, di vivermi i suoi personaggi. Questo ha richiesto tempo, per cui l’ho scritta in più mesi.

Dopo il tour, che cosa ti aspetta?
Penso che ci saranno altre date, perché si entra nella stagione primaverile ed estiva. Quindi si continuerà con i live, non so però se in maniera così strutturata. E assolutamente devo iniziare e completare il disco che poi pubblicherò.

Per quando è previsto?
Non so se posso dirlo, ci sono delle ipotesi ma non lo so. Prossimamente. 2024 comunque, magari dopo l’estate.

Grazie mille Anna, sei stata gentilissima!
Grazie a voi. Spero che vada bene il lancio della rivista e mi fa piacere essere la prima cavia. (ride)

Portaci fortuna!
E voi a me!

 

Articolo in collaborazione con Sarah Zuloeta

Alessandro Bianco

Giornalista, musicista e Video Editor, classe 1992. Vivo a Torino, in un mondo d’inchiostro e note musicali, di cinema e poesia: da qui esco poco e poco volentieri, ma tu puoi entrare quando vuoi.

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