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In viaggio con Lo Straniero, tra coerenza e contaminazioni

Dal cuore del Mediterraneo alle colline tra il Piemonte e la Liguria, passando per la pianura padana: la voce maschile, chitarrista ritmico e autore Giovanni Facelli ci porta nel mondo di una band in grado di unire il folk all’elettronica, con un occhio di riguardo ai grandi temi d’attualità


«Cercavo la linea terrena / Provavo a stare serena / Aspettando una bandiera straniera»: canta così Lo Straniero in A mare, pezzo d’apertura del quarto album Mazapè, uscito lo scorso dicembre per La Tempesta e Pioggia Rossa. Una canzone che parla di una madre e una figlia che attraversano il Mediterraneo, una canzone bandiera per una band che fa del viaggio e delle contaminazioni una ragion d’essere.
In questi primi dieci anni di attività, Lo Straniero si è sempre dimostrato coerente con il proprio percorso e la propria identità senza rinunciare a sperimentare, unendo il folk all’elettronica con un occhio di riguardo alle grandi tematiche di attualità. Di tutto questo abbiamo parlato con Giovanni Facelli, voce maschile, chitarrista ritmico e autore della band.

Mazapè è l’album che forse rispecchia di più il vostro nome: cosa significa per voi il concetto di straniero, anche alla luce del periodo storico che stiamo attraversando?

Lo Straniero nasce da un’infatuazione letteraria per l’omonimo romanzo di Albert Camus: eravamo in un momento della nostra vita in cui quel libro ci parlava profondamente. Per noi, questo concetto rappresenta il saper osservare le cose dall’esterno, con lucidità ma senza essere distaccati né giudicanti. Lo straniero è un osservatore partecipante: è dentro la realtà, ma adotta una prospettiva che permette di coglierne tutte le sfumature.

Non si tratta di un’estraneità passiva, ma piuttosto di una condizione esistenziale, che sfiora l’attitudine. Significa non dare nulla per scontato, guardare il mondo con occhi sempre nuovi cercando di comprendere le dinamiche senza subirle passivamente. Questo atteggiamento lo applichiamo anche alla nostra musica, alla nostra scrittura e al modo in cui viviamo le nostre esperienze.

In un periodo storico come questo, il concetto di straniero assume un valore ancora più forte. Le nostre canzoni, non a caso, spesso parlano di persone o gruppi di persone che vivono ai margini. Noi cerchiamo di raccontare tutto questo senza giudicare, ma offrendo uno sguardo lucido e sincero in una modalità molto spontanea e istintiva.

Mazapè rappresenta anche le vostre radici: perché e come sono entrate nel disco?

Mazapè in dialetto significa ammazza piedi ed è il nome di una collina vicina alla nostra sala prove, situata in una zona di confine tra Piemonte e Liguria. È un luogo che incarna perfettamente la nostra visione musicale e umana: un contrasto tra natura incontaminata e il passaggio incessante di persone e mezzi, tra il locale e l’universale. Questo contrasto è anche alla base dell’album.

Abbiamo sempre vissuto questo territorio come un punto di transizione, un crocevia. Qui la natura è potente, ma al tempo stesso attraversata da strade, ferrovie, movimenti continui di persone. Ecco, questo senso di mobilità costante si riflette nelle nostre canzoni. Il nostro legame con le radici non è statico o nostalgico, ma riflette la consapevolezza di vivere in un mondo in cui tutto si trasforma, in cui ogni piccolo luogo può contenere storie universali.

Uno dei concetti ricorrenti è quello della fuga. Vorrei approfondire questo aspetto.

Viviamo in un periodo storico complesso, in cui molte persone sono costantemente in fuga: dal Mediterraneo alle città, dai conflitti alle incertezze lavorative. Anche noi, nel nostro piccolo, viviamo un continuo movimento, alla ricerca di una stabilità che sembra sempre sfuggire. Il rider che consegna pacchi senza sosta è sempre in fuga, così come lo è chi cerca una nuova opportunità professionale.

Il tema è strettamente legato al nostro concetto di straniero. Una fuga non solo fisica, quella dei migranti che attraversano il Mediterraneo o delle persone costrette a lasciare le proprie case, per intenderci. Si tratta anche di una fuga interiore, una tensione costante verso qualcosa che non si riesce mai a raggiungere completamente. In un certo senso, tutti siamo in fuga, alla ricerca di qualcosa che dia un senso più profondo alla nostra esistenza.

La musica stessa è una forma di fuga, ma anche un’ancora. Suonare, scrivere ed esprimersi sono modi per dare forma al caos, per trovare un equilibrio. Per noi, fare musica significa trasformare questa inquietudine in qualcosa di condivisibile, di tangibile.

Si tratta anche di un album molto complesso a livello di suoni: siete una band in continua evoluzione?

Sì, assolutamente: Mazapè rappresenta un punto di equilibrio tra la nostra anima iniziale e un desiderio di evoluzione. Per questo abbiamo scelto di ridurre l’uso dell’elettronica e di tornare a strumenti più acustici, utilizzando anche strumenti etnici senza però rinunciare a sonorità moderne. La collaborazione con Federico Dragogna dei Ministri e Mattia Cominotto nelle vesti di producer, oltre a quella con musicisti come Blindur, ha arricchito moltissimo l’album.

Ogni disco, in definitiva, è una nuova esplorazione. Abbiamo cercato di mantenere la nostra identità, ma anche di ampliare il nostro linguaggio. Abbiamo sperimentato con sonorità diverse, cercando di essere più diretti ed eliminando il superfluo, concentrandoci sull’essenza della canzone. È un processo che non finisce mai, perché ogni nuova esperienza e ogni nuovo ascolto ci portano a scoprire nuove direzioni.

Con 10 anni di attività alle spalle e quattro album all’attivo, a che punto è il vostro percorso artistico? Quali sono i vostri obiettivi?

Abbiamo vissuto un percorso incredibile: suonare in tutta Italia e in Europa, pubblicare dischi con un’etichetta che ammiravamo e ricevere riconoscimenti importanti non sono cose così comuni. Per questo, pur sentendoci fortunati, non vogliamo fermarci. Per adesso siamo concentrati sul tour, con molte date già fissate, ma il desiderio di scrivere nuova musica è sempre presente.

Dieci anni sono sicuramente un traguardo importante, ma ci sentiamo ancora come la prima volta. Per noi, ogni album e ogni concerto sono un nuovo inizio: non ci interessa ripetere una formula, ma vogliamo continuare a crescere, a cambiare ed esplorare. La musica è la nostra casa, ma è anche il nostro viaggio. Ora ci aspetta un periodo intenso di concerti ed è una cosa bellissima. Suonare dal vivo è la parte più autentica del nostro lavoro. Ma stiamo già raccogliendo idee e suggestioni per bozze di nuove canzoni. La voglia di scrivere non si ferma mai.


Lo Straniero è: Giovanni Facelli (voce, chitarre, synth), Federica Addari (voce, piano, synth), Valentina Francini (basso, cori), Francesco Seitone (chitarre, synth, programmazioni, cori).

Marco Berton

Giornalista non convenzionale: scrivo di diversity per lavoro e di musica per passione. Ossessionato da camicie e maglioni hipster, credo che la normalità non esista e che un altro mondo sia possibile.

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