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Il rapporto con la fama: egocentrismo, timidezza e comunicazione

Il rapporto con la fama condiziona enormemente l’identità personale. Questo tema viene spesso citato nelle canzoni ed è centrale nelle produzioni artistiche in generale, accompagnato dal concetto di cambiamento e dall’incertezza che quest’ultimo porta con sé


Come sottolineato nell’episodio precedente di The dark side of the mind, l’identità personale dell’individuo è estremamente condizionata dal contesto e dalle persone che circondano il soggetto. Essa si costituisce in adolescenza, nel periodo di distacco dell’individuo dal nucleo familiare e da tutte le caratteristiche che lo hanno identificato nell’infanzia. Allontanandosi, egli crea una sua “nuova” identità, diventando così indipendente e autonomo. Se insorgono dei problemi o ci sono degli intoppi durante questo processo, si corre il rischio che l’identità non si venga a formare completamente o che abbia confini molto labili.

Si potrebbe suddividere l’identità in soggettiva e oggettiva. La parte oggettiva (sociale, fisica e psicologica) è quella per cui veniamo riconosciuti, mentre quella soggettiva è l’insieme di caratteristiche così come noi le descriviamo a noi stessi.

È importante sottolineare come l’identità sia dinamica e in costante cambiamento e come essa si crei grazie a un processo sociale e interindividuale. Le influenze dell’esperienza, della cultura, della società, delle relazioni interpersonali, dell’ambiente hanno un’importanza fondamentale nella sua formazione.

Avere un’identità stabile è fondamentale per riuscire a vivere bene, ma spesso la fama e il successo fanno traballare qualche parte di noi, soprattutto perché cambia la nostra posizione nella società, il nostro ruolo; iniziamo a vedere le cose in modo diverso e, allo stesso tempo, veniamo visti da una prospettiva diversa.

In letteratura, parlando di identità, non possiamo non citare Luigi Pirandello, grande drammaturgo e scrittore del Novecento che fonda la sua opera su questo concetto. Il tema centrale della sua produzione è la crisi dell’identità individuale, che lui rappresenta con l’utilizzo, da parte dei protagonisti dei suoi scritti, di maschere diverse per ogni occasione quotidiana, volendo sottolineare come nessuno sia mai davvero sé stesso nel rapporto con gli altri. 

Tornando invece alla musica, si diceva che Jimi Hendrix, il chitarrista più grande della storia del rock, fosse una persona estremamente tranquilla e riservata. 

«Quando tornava a casa lo faceva senza chitarra. Voleva trascorrere tempo con la sua famiglia e ci mettevamo tutti in cerchio per fargli tonnellate di domande  ha raccontato Janie Hendrix, sua sorella –. Telefonava spesso a casa ma non era sempre per parlare della sua carriera. Era sinceramente interessato a sapere cosa stessimo facendo tutti noi perché, essendo in tour, pativa il fatto di perdersi i compleanni, le feste di Natale e i vari eventi».
L’Hendrix musicista era quindi ben diverso da quello privato: «Non era certo uno che correva per casa urlando e comportandosi da pazzo o distruggendo cose come avrebbe potuto fare sul palco. Era molto timido e tranquillo e voleva solo passare del tempo con gli altri, parlare e ascoltare. Era una persona pacata».

L’influenza del contesto è fondamentale, nel caso di Hendrix, era inevitabile comportarsi in due modi diversi sul palco e al di fuori di esso. Questo capita a tutti noi, poiché, a seconda dei diversi ambienti che frequentiamo, assumiamo diversi “ruoli”. Questo non significa essere “incoerenti”: esiste un filo rosso che collega le nostre credenze e i nostri valori, però, sulla base dei contesti e delle persone con cui siamo, è normale cambino i nostri atteggiamenti.

La Dott.ssa Rockwell ha studiato questo fenomeno e in una sua ricerca sostiene che vi sia una divisione tra il proprio sé autentico e il sé della celebrità, il quale diventa una maschera attraverso cui il personaggio famoso si rapporta con la gente.

Un altro artista surrealista del Novecento sembra affrontare questo tema nelle sue opere. Sto parlando di René Magritte, pittore belga che nei suoi dipinti cerca di rappresentare la distanza che separa la realtà dalla rappresentazione. Per fare un esempio, nella sua celebre opera L’uomo con la bombetta, l’artista raffigura un uomo con un cappello e il volto coperto da una colomba. Quest’uomo esiste ma nessuno può conoscere veramente chi sia e la colomba sembra preservarne l’identità. Essa è infatti negata, invisibile all’occhio umano. Nascondendo il volto del personaggio, l’artista trasforma un ritratto banale in un paradosso visivo: «Tutto quello che vediamo nasconde qualcosa, e noi vogliamo sempre vedere cosa è nascosto dietro ciò che vediamo».

Charles Horton Cooley (1902) aveva introdotto il concetto di looking glass self, ovvero il “sé rispecchiato”. In breve, il sociologo sostiene che il modo in cui ci vediamo e ci rappresentiamo non dipende solo da riflessioni personali sulle nostre caratteristiche, ma anche dalla nostra percezione di come veniamo visti dagli altri. Da qui, capiamo quanto la fama possa influire sulla visione di noi stessi, soprattutto in base all’andamento della nostra carriera, ai nostri successi e insuccessi. 

Nelle canzoni, viene spesso citato anche indirettamente il tema del rapporto con la fama, del cambiamento che questa apporta all’identità personale e delle trasformazioni che caratterizzano la nostra vita con il passare del tempo e con le decisioni che prendiamo.

«Time may change me
But I can’t trace time»

Cantava così David Bowie nel pezzo del 1972 Changes, traccia di apertura del disco Hunky Dory. In questa canzone dalla melodia apparentemente divertente, Bowie riflette sul futuro e sul passato, sui fallimenti e sui successi che verranno, con una vena sottilmente malinconica.

Il futuro è sconosciuto e inevitabile, sottolinea, così come il tempo che passa: tanto vale diventare protagonisti del cambiamento e prendere consapevolezza del fatto che possiamo agire solo sulle piccole cose, senza poter determinare quelle più grandi.

Del 1985 è invece il pezzo Road to Nowhere:

«There’s a city in my mind
come along and take that ride
and it’s all right, baby, it’s all right» 

I Talking Heads cantavano di una strada per il nulla, dell’incerto, dell’ignoto, di ciò che non sappiamo; una strada che non va da nessuna parte, ma solo perché non abbiamo modo di prevederne il percorso.

Contenuta nell’album Little Creatures, questa è una canzone esaltante, divertente, movimentata, un pezzo perfettamente pensato per caricarsi verso un futuro ignoto fatto di piccoli e grandi cambiamenti. Un pezzo pop impreziosito da un ritmo che corre, incede, cresce sempre di più mostrandosi affine, in linea con il suo crescendo, al senso di incertezza ed eccitazione che il futuro imprevisto ci sa regalare.

Emanuela Ghignone

Molto introspettiva, a volte troppo, ho 22 anni e studio psicologia. Mi piace parlare ma sono chiaramente più brava ad ascoltare. Nella vita leggo, ascolto musica, guardo film e faccio foto.

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