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Hot Sun Cool Shroud: la piccola parentesi estiva e disinteressata dei Wilco

Il concept EP dei Wilco è un discreto progetto di passaggio; classico e sperimentale, con quella malinconia d’estate che fa da minimo comune denominatore


Passano gli anni e l’etichetta di alternative country riservata ai Wilco ha sempre meno senso. È infatti da ormai tre decenni che Jeff Tweedy e soci, pur partendo certamente da quel tipo di sottobosco – abbracciato con maggiore coerenza dagli Uncle Tupelo, progetto precedente del frontman –, scelgono di non fare mai un album uguale all’altro. Prendono il genere, lo stravolgono. A volte sperimentano di più, a volte tornano alle origini – come nel validissimo Cruel Country di un paio d’anni fa –, ma sempre con qualcosa di nuovo. E non stancando mai. Sicuramente l’apice artistico l’hanno raggiunto nei primi anni 2000, con Yankee Hotel Foxtrot, che è semplicemente uno dei dischi più importanti del ventunesimo secolo.

Ma la band di Chicago non ha mai smesso di attirare l’attenzione, specialmente quella di un certo tipo di ascoltatori che grazie alla loro musica ha avuto modo di comprendere tratti dell’inquietudine statunitense contemporanea. Insomma, da un nuovo lavoro dei Wilco ci si deve sempre aspettare qualcosa di interessante, anche, appunto, a distanza di tre decenni.

A meno di un anno dall’uscita dell’ultimo Cousin, del 2023, la band torna con Hot Sun Cool Shroud, EP di 6 tracce per un totale di 17 minuti. Annunciato con un post sui social un mese prima della pubblicazione, per i Wilco si tratta di una serie di brani dal «summertine-after-dark kind of feeling». Tweedy, nello stesso post, fornisce una brevissima descrizione del progetto, che consiglio di leggere prima di iniziare l’ascolto. Parla di un inizio che parte «pretty hot». In effetti, il progressivo crescendo di Hot Sun, col suo arpeggio iniziale ridondante che sfocia nell’orecchiabile ritornello in maggiore, dà l’idea di un pezzo dalle atmosfere calde ed estive; evitiamo tuttavia di identificarlo come commerciale.

Continuiamo a parlare d’estate con Ice Cream, traccia d’amore intima e delicata nelle sonorità, dalle sfumature dream pop. Arpeggi sognanti e slide guitars riverberate accompagnano la voce sofferta e innamorata di Tweedy. Subito dopo viene Annihilation, un pezzo indie garage energico, destabilizzante se rapportato a quello che lo precede. Tuttavia una traccia relativamente leggera. Da ascoltare quando odi l’estate e il mare, ma sei in macchina, d’estate, diretto verso il mare con gli amici che ti hanno obbligato ad andarci.

Le brevi strumentali Livid e Inside The Bell Tones sono definite da Tweedy come agitate e scomode: parole più che adeguate per descriverle. La prima è poco più di un minuto di rock caotico tendente al noise; fuzz a profusione e inserti elettronici che ricordano alcuni dischi degli eclettici King Gizzard & The Lizard Wizard. La seconda è un concentrato acustico ritmico dissonante alla The Smile. Esperimento audace, ma forse inutile, soprattutto se relazionato al mood generale portato avanti fino a quel punto.

Come per il 99% delle band post-anni ’60, tra le più grandi influenze dei Wilco spiccano sicuramente i Beatles – negli album A Ghost Is Born e Sky Blue Sky diversi sono i rimandi alla band di Liverpool. Say You Love Me, traccia che chiude l’EP, sembra scritta da John Lennon, ma per All Things Must Pass, album solista di George Harrison. Un ritornello catchy per un brano che, come è scritto nel post, è una «cooling breeze». Il giusto modo per concludere questo piccolo progetto estivo.

Hot Sun Cool Shroud, che all’apparenza sembra un insieme disinteressato di esercizi di stile, si rivela invece un curioso concept EP sul tema dell’estate malinconicamente hipster di chi a settembre è ancora bianco come una mozzarella.

Marco Nassisi

Per me scrivere di musica vuol dire trovare una scusa per ascoltarne tanta, scoprirne di nuova ed esprimere un'opinione che mi metta un po' d'ordine in testa.

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