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Burning sun. I migliori 5 pezzi dei primi anni 80 ambientati durante la paura dell’olocausto nucleare

A 120 anni dalla nascita dell’ inventore della bomba nucleare, una selezione di 5 pezzi pubblicati tra il 1980 e il 1982 che affrontano questo tema risultando, purtroppo, ancora tragicamente attuali


Il 22 aprile del 1904, in un lussuoso appartamento nel Riverside Drive ― elegante quartiere newyorkese ― nasceva J. Robert Oppenheimer, il padre della bomba atomica.

L’incubo di una guerra nucleare ha sicuramente influenzato l’immaginario di svariate generazioni nei 120 anni trascorsi dalla nascita del fisico statunitense, trasmettendo quella sensazione di impotenza nichilista che, purtroppo, stiamo tornando ad assaggiare anche in questo periodo.

D’altro canto, però, questo tema ha portato decine e decine di artisti a prendere, nel corso degli anni, una netta posizione contro la guerra, o più semplicemente a raccontare nelle proprie canzoni l’ansia di vivere una vita con un potenziale olocausto nucleare alle porte.

Nonostante la produzione musicale legata all’argomento sia sterminata e piuttosto continua nel tempo, l’apice del nuclear issue viene raggiunto nella prima metà degli anni 80. Dottrina Reagan, giacche di jeans oversize, guerra in Afghanistan e sintetizzatori: è da questa immagine completamente distopica che nascono infatti quelli che, a mio avviso, sono i 5 migliori ― e piuttosto sconosciuti ― pezzi che raccontano il rapporto tra le giovani generazioni e la minaccia di una guerra atomica.

5) Redgum, Nuclear Cop, 1980.

La storia di un normalissimo poliziotto che vaga per le strade di un’ Adelaide post-nucleare per vegliare sulla città. Popolazione decimata, inquinamento radioattivo, leucemia dilagante e un costante cielo rosso: il gruppo folk australiano sceglie di descrivere questo scenario utilizzando un country allegro e spensierato. Perchè, nonostante i bambini non possano più giocare all’aperto e molte persone abbiano venticinque dita su una mano, abbiamo vinto la guerra. Ed è questo l’importante, no?

4) Young Marble Giants, Final Day, 1980.

La voce glaciale di Alison Statton ricorda molto i tipici canti irlandesi. In questo caso, però, non si parla dei litri di whisky che bisognerebbe bere al funerale del bisnonno morto, degli elfi che giocano sulle sponde del fiume Shannon o di quanto siano bastardi gli inglesi. No, aggiungendo un organo elettrico martellante e un basso suonato in maniera stranissima, il gruppo di Cardiff ci racconta come sarà il giorno finale per noi, gente comune: quello in cui bruceremo nel soggiorno di casa nostra mentre il nostro figlio appena nato urla e piange. La distopia più totale, nella sua semplicità più estrema. Da brividi.

3) Fehlfarben, Apokalypse, 1980.

Già per quella che è la nostra storia, il suono della lingua tedesca non è sicuramente un suono che ci trasmetta tranquillità. Se ci aggiungiamo anche i sintetizzatori e le ritmiche tipiche della new-wave tedesca, arriviamo a un vero e proprio concentrato d’ansia sotto forma di canzone. Lo stato d’animo perfetto per raccontare la guerra che porterà inevitabilmente alla fine del mondo. Un’apocalisse così certa che non possiamo far altro che accettare. Perché, come dice un agghiacciante verso della canzone: «non temo per la mia vita, ho solo paura del dolore».

2) Modern English, I Melt With You, 1982.

I Melt With You sarebbe un pezzo bellissimo a prescindere, anche se non si prendesse minimamente in considerazione il testo. Se però scegliamo di addentarci all’interno delle parole scritte dal gruppo new-wave di Colchester, possiamo apprezzarne l’ulteriore genialità. Il fermare il mondo e lo scioglierci insieme, infatti, non è una ridondante romanticheria ma è semplicemente quello che sta per accadere a una giovane coppia che sta facendo l’amore qualche attimo prima dello scoppio della bomba atomica. Un momento, apparentemente armonioso, utilizzato per descrivere un terribile stato di precarietà, incertezza e paura.

1) U.K. Subs, Warhead, 1980.

Warhead è il pezzo che, in This Is England, annuncia l’arrivo di Combo e degli altri giovani skinheads alla riunione del National Front, partito nazionalista britannico. Chitarre taglienti, ritmo marciante e voce roca che annuncia l’avanzata di truppe islamiche, bambini soldato africani, carri armati russi e programmi nucleari americani. L’epilogo è già scritto: un sole cocente arriverà presto a bruciarci le tempie e porrà fine, una volta per tutte, al nostro pianeta. Un testo tragicamente attuale che ci ricorda come, ancora una volta, «We’re looking at the world through a barrel of a gun»: Stiamo guardando il mondo attraverso la canna di una pistola.

Brando Ratti

Classe 1990, nasco e cresco a Massa, patria della Farmoplant ma anche dei genitori di Piero Pelù. Dottorando, ho un certo feticismo per le sottoculture, la musica underground, i filosofi presi male, i videogiochi presi bene, i film brutti e i libri belli. Nonostante il cognome, ho paura dei topi.

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