Loading

Ascoltare le distorsioni dei Marlene Kuntz è un’esperienza catartica

Al Flowers Festival i Marlene Kuntz celebrano i 30 anni del loro esordio Catartica e fanno fuoco su un pubblico variegato, tra molti affezionati e qualche neofita pronto a farsi investire dal noise. La loro è una festa tutt’altro che mesta


Possiamo dirlo con orgoglio: i Marlene Kuntz sono i nostri Sonic Youth! Se c’è infatti una band in Italia che più di tutte ha saputo incarnare l’essenza del noise rock e delle sue distorsioni iperuraniche, quella è proprio la creatura nata a fine anni ‘80 in quel di Cuneo, capitanata da Cristiano Godano. Solo che mentre gli scalmanati rivoluzionari di New York, dopo trent’anni di carriera, si sono sciolti, i Marlene, dopo lo stesso tempo, si trovano a festeggiare il loro primo album Catartica con una serie di concerti in giro per l’Italia – e prossimamente per l’Europa – per riproporre tutta l’energia di un album che è senza ombra di dubbio uno dei più importanti della storia del rock nostrano.

Non è un Parco della Certosa stracolmo. C’è un’atmosfera tranquilla. L’età è variegata ma sono tanti fan di vecchia data, ciò si tradurrà in un live dove finalmente saranno più le teste che gli schermi dei cellulari a vedersi nel pit, per fortuna. C’è anche qualche genitore con i figlioletti. Alcuni sono in spalle, con le cuffie antirumore, altri corrono scatenati senza alcun tipo di protezione. Ad aprire Max Collini, performer reggiano classe ’67, che porta sul palco del Flowers Festival uno spettacolo di spoken word accompagnato dalle musiche di Jukka Reverberi e da un piccolo busto di Lenin. Per un’oretta legge alcuni testi tratti dal libro Storie di antifascismo senza retorica – scritto dallo stesso Collini con Arturo Bertoldi – e invita al ricordo e al risveglio delle coscienze.

Poi la band entra e si collega alla strumentazione, accompagnata dagli applausi di un pubblico spasimante: Riccardo Tesio (chitarra) a sinistra, Luca “Lagash” Saporiti (basso) a destra, Sergio Carnevale (batteria) e Davide Arneodo (tuttofare musicale) su due pedane leggermente rialzate dietro. E infine Godano (chitarra e voce) al centro, scalzo. Vestiti di nero, le silhouette dei cinque si stagliano sulla scenografia, composta da un semplice telo su cui un tripudio di fari tingono l’intero palco di rosso. È il colore della rabbia e dell’amore, due parole chiave per descrivere la potenza viscerale e romantica di Catartica.

Si parte con Trasudamerica, e i volumi non sembrano ancora settati benissimo, col basso a manetta e Godano che sembra non sentire il tempo dato da Carnevale col ride. Tutto viene sistemato mentre il melodico «Do you remember?», ripetuto nella seconda metà del brano, sembra domandare a noi del pubblico se siamo ancora in grado di sentire la magia di quel rock abrasivo che è il noise. E la sentiamo… la sentiamo eccome.

La sezione ritmica è saldamente tenuta in piedi da Carnevale, storico batterista dei Bluvertigo, che assieme ad Arneodo – quanto gasa mentre picchia le percussioni di 1° 2° 3°! – crea il tappeto su cui le chitarre distorte di Godano e Tesio si intrecciano, comunicano e strappano la pelle, penetrando nelle vene, vibrando a suon di feedback. E i primi pezzi vengono tutti dal disco di debutto – Canzone di domani, Gioia (Che mi do), Fuoco su di te – e già si vola in un’altra dimensione.

Potremmo definire questo tour un grande back in the days. La scaletta è composta anche da brani appartenenti ai due dischi successivi – Il vile e Ho ucciso paranoia – ma tutti rigorosamente pre-anni 2000. Ascoltare live tracce come L’agguato o Lamento dello sbronzo fa sembrare le versioni su disco canzoni della buonanotte. Perché dal vivo l’energia quintuplica. È tutta una grande distorsione di massa, granitica: un macigno che ci cade in testa e ci fa godere. Anche tracce più “posate” come Infinità sanno avvolgere un pubblico che si gasa al solo sentire il riff iniziale di Tesio.

Cristiano Godano è un frontman che contagia col suo carisma. Cambia chitarre in continuazione, si muove fomentato con gli altri musicisti, suda e a sua volta fomenta col suo entusiasmo che sembra provenire da una rabbia interiore, che trattiene quando non è sul palco e butta fuori solo quando la distorsione è attiva. «Molte grazie!», ripete più volte, per poi tornare a smanacciare sulla chitarra, giocando coi suoi suoni e facendola urlare. Dedica la dinamica e contrastata Lieve a Luca Bergia, fondatore e primo batterista della band, venuto a mancare a marzo 2023; la verità è che l’intero tour è dedicato a lui, senza il quale tutto questo non sarebbe stato possibile.

Lagash è lo stile fatto a musicista; alto di statura e pesante di suono. Il suo basso è possente e si fonde perfettamente con la chitarra di Tesio, un uomo silenzioso che quando imbraccia il suo strumento si trasforma in un animale senza pietà per le orecchie dello spettatore. I due sanno come muoversi con Godano. L’intesa è quella di coloro che di palchi ne hanno mangiati a centinaia.

Seguono tre dei più grandi successi della band, contenuti in Catartica, in cui si succedono uno dopo l’altro. Il pubblico impazzisce come non ha mai fatto fino ad allora con l’aggressività di Festa mesta. Urla con Godano il ritornello sgolato della monolitica Sonica, suonata con una bacchetta piantata tra le corde e il manico della chitarra per creare l’effetto “campana” dissonante, marchio di fabbrica del noise più puro. E non esita a cantare con altrettanta foga l’immancabile Nuotando nell’aria, ballad distorta ma comunque avvolgente, romanticizzata dal violino di Arneodo, che tra percussioni e tastiere è un polistrumentista di grande importanza per il sound compatto dei Marlene.

L’encore si apre con Hanno crocifisso Giovanni, che non suonavano da 25 anni, come dice Godano. È un brano del ’95 dedicato ai partigiani, che ben si sposa con l’opening di Collini. Si prosegue con Come stavamo ieri, per poi passare ad Ape regina, col suo basso martellante e il finale meravigliosamente incasinato. Ma è impossibile non concludere con la massiccia M.K., traccia d’apertura di Catartica, presentazione della band e del suo modo di intendere la musica: ciò che ha dato il via alla magia dei Marlene Kuntz. E qui riesce a partire anche un pogo.

Ancora selvaggi e scapigliati. Passano gli anni, ma con questo ritorno alle origini i Marlene Kuntz si dimostrano senza età. Come si suol dire, continuano a spaccare. La grinta di chi suona come se avesse cominciato ieri si mescola con l’esperienza, e il risultato è un live appassionato e appassionante.

 

foto di Luca Morlino

Marco Nassisi

Per me scrivere di musica vuol dire trovare una scusa per ascoltarne tanta, scoprirne di nuova ed esprimere un'opinione che mi metta un po' d'ordine in testa.

Loading
svg
Navigazione Rapida
  • 01

    Ascoltare le distorsioni dei Marlene Kuntz è un’esperienza catartica