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Sofarm Festival: originalità e qualità pagano sempre

Il Bunker di Torino ha ospitato la quinta edizione di Sofarm Festival, evento ideato e promosso da Sofa So Good, che da quest’anno si è avvalso della collaborazione del collettivo SBERDIA Live per la produzione e la direzione artistica. Una proposta artistica eterogenea, che ha incontrato i gusti di un pubblico via via sempre più numeroso, ha rivelato nel corso della serata il filo rosso della manifestazione: la qualità dei musicisti e l’originalità delle esibizioni


Perfettamente immersi in quel limbo psicologico, ancor prima che atmosferico, che separa la fine dell’estate dall’inizio dell’autunno, un nutrito gruppo di appassionati si è dato appuntamento al Bunker di Torino per passare un fresco e lungo sabato sera all’insegna della buona musica. L’occasione era la quinta edizione del Sofarm Festival, avventura artistica ideata e promossa da Sofa So Good che quest’anno ha voluto unire le forze con il collettivo SBERDIA live, che abbiamo già avuto modo di conoscere e apprezzarne il lavoro in occasione della Torino Soul Night dello scorso giugno.

Il cartellone prevedeva l’alternarsi sul palco di sette progetti musicali molto validi, alcuni in rampa di lancio, altri già decisamente affermati sulla scena nazionale. Al di là delle indubbie capacità artistiche, è stato molto bello e confortante testimoniare nel backstage la cordialità e la condivisione di sorrisi e idee tra artisti di differente esperienza e provenienza: tutt’altro che scontato.

Ad aprire le danze e cominciare a far carburare i primi puntualissimi avventori ecco Frenesi, giovane sodalizio nato a Torino nel 2022 dall’incontro della cantante Martina Maruca, già solista, con i fratelli Alessandro e Francesca Petroccia (chitarra e batteria) e la bassista Lara Zizzi. Una costante spinta alternative rock, talvolta più grunge, all’occorrenza più melodica, in base alle necessità imposte dall’interpretazione vocale di testi forti, diretti e soprattutto impegnati, perché «la musica deve fornire consapevolezza alle persone, parlando di problematiche reali e contemporanee, dagli amori tossici, alle violenze di genere, fino alla tutela del patrimonio ambientale». Un attivismo artistico sublimato dai brani Gaia – inutile dettagliare sul fatto che si parli di tutela ambientale – e Malanova, dedicato ad Anna Maria Scarfò e Marco Gentile. La prima, nel 1999, visse a soli 13 anni l’incubo di ricorrenti violenze sessuali di gruppo, un marchio indelebile nell’anima e un’eterna lotta contro l’orrenda riprovazione sociale al contrario dettata dall’ignoranza più profonda, ancora adesso che è una persona adulta e una splendida mamma. Il secondo, invece, non potrà mai raccontare la sua disavventura. A 18 anni, venne aggredito da un branco di ragazzini e ucciso da un coetaneo per motivi che definire futili è già dargli troppa importanza. Storie di violenze differenti, storie di un disagio diffuso.

Il primo pogo della serata lo regalano le I Rossa: giovani, colorati, eclettici loro ed eclettico ciò che eseguono, pressoché impossibile da incasellare nelle rigide definizioni da recensione. Un po’ indie, un po’ funk, accenni blues e aperture giocose in levare simil ska, il tutto impreziosito dagli inserti del sax e dalla delicatezza delle due voci principali, che si alternano nelle vesti di solista, per poi fondersi insieme in un abbraccio sonoro molto piacevole. Formatasi tra i banchi della On Stage Band School di Nino Azzarà e Roberto Bovolenta, pezzi di storia dell’underground torinese, la band è fresca di pubblicazione del loro primo album Satura, nonché reduce da un produttivo tour estivo, in cui si è esibita anche in Germania, Belgio e Svizzera in compagnia dei Tanz Akademie.

A proposito di eclettismo, per l’occasione i sei ragazzi (Margherita “Maghi” Ferracini e Jacopo Sulis, voci e chitarre, Valerio Ravigliono alla batteria, Simone Ravigliono al basso, Guglielmo Ferroni alla chitarra e Gabriele Chiara all’esordio nella band al sax) si sono presentati sul palco indossando curiose magliette da calcio, alcune piuttosto “esotiche”, come la 10 di Del Piero nel suo tramonto australiano al Sydney FC, la 19 della Grecia di Sōkratīs Papastathopoulos e quella della Colombia indossata da Jacopo che, pur senza nome, mi piace sognare fosse del Pibe Valderrama.

A seguire, gli Slow Jam, noti anche con la sigla SLWJM. Paolo Longhini (voce e chitarra), Leonardo Barbierato (basso), Davide Mancini (batteria) e Lorenzo Morra (tastiere e synth) formano un quartetto che propone un genere molto particolare, decisamente complesso nell’esecuzione ma d’immediata comprensione per l’ascoltatore, che non può far altro che immergersi nei repentini cambi di tempo, nelle fusioni di soul, jazz, rock e black music eseguite con tecnica e originalità sorprendenti. Una chicca per chiudere l’esibizione: la cover di Fiori rosa, fiori di pesco di Lucio Battisti concentra tutto l’estro e la sapienza del progetto SLWJM, un esercizio di stile in cui la voce particolarissima di Paolo Longhini si esalta tra delicatezza e potenza, mentre il resto della band svaria alternando atmosfere oniriche e fiabeggianti per la strofa ad accompagnamenti reggae per dare sostanza a bridge e ritornello. Con già all’attivo un EP (Undone I, 2018) e un album (MEGA, 2021), nel corso del 2025 il gruppo pubblicherà il secondo lavoro in studio, a differenza dei precedenti composto da tracce cantate esclusivamente in italiano. Chi non vuole aspettare l’anno nuovo può invece cominciare ad entrare in clima natalizio curiosando sul profilo ufficiale Youtube SLWJM, dove sono pubblicati ben sette “matti” brani di Natale decisamente spassosi, a testimonianza del fatto che per essere bravi in qualcosa bisogna necessariamente avere una certa dose di follia.

Quando sale sul palco Alessandro Rebesani, in arte RBSN, si ha subito la sensazione di essere al cospetto di un artista dal fascino particolare, magnetico, coinvolgente. Insomma, “uno che la sa lunga”. In effetti è così, perché il ragazzo classe 1996 ha già alle spalle una marea di esperienze formative e artistiche che, partendo dalla natale Roma, lo hanno visto studiare e suonare a Londra, Leeds, Boston e San Francisco, in un continuo alternarsi di formazione, sperimentazione, espressione che hanno permeato e arricchito la sua proposta senza confini – è proprio il caso di dirlo – fatta di jazz, nu soul, afrobeat, dub, psichedelica ed elettronica, eseguita sul palco del Bunker insieme a Federico Romeo (batteria) ed Emanuele Triglia (basso). Un avanguardista di forma e di sostanza, che con il suo album Strangers Days, pubblicato due anni fa dall’etichetta newyorkese Ropeadope Records (primo italiano nella storia dell’etichetta e artista più giovane del roster), ha fatto incetta di consensi tra pubblico e addetti ai lavori, riproponendone i successi anche al Sofarm Festival, una delle ultime tappe del suo Summer (de)tour 2024.

Cambio palco cosmopolita: da un romano d’America ad un anglo-siculo, la scena adesso è tutta per Sergio Beercock, cantante, performer, attore e regista teatrale, nato a Kingston upon Hull, contea East Riding of Yorkshire, Regno Unito, da padre inglese e mamma siciliana. Quando hai dei geni così, non puoi far altro che essere portatore sano di culture antipoidali: «In effetti, quando mi chiedo chi sono e cosa faccio, penso di proporre un genere che definirei gotico-mediterraneo, un modo per unire le mie due isole d’appartenenza, con un occhio di riguardo alla techno e al metal. E un abbraccio di cuore a Ennio Morricone». Il suo è un one-man-show a tutto tondo, un dj set elettronico dinamico, in cui basi, effetti e loop vengono accompagnati da una voce al contempo poderosa ed educata. Una sorta di liturgia gospel in cui l’artista partecipa, letteralmente, con tutto se stesso. Ce lo conferma lo stesso Beercock: «Possiamo definire lo show come una sorta di elettronica dal vivo rituale. Amo seguire un principio che è quello del voce-corpo, quindi ciò che esce attraverso la voce è qualcosa che realmente mi attraversa dentro. Mi piace dire che io non canto, ma sono cantato». Di sicuro il popolo del Sofarm ha apprezzato, acclamandolo a più riprese: «Sono particolarmente contento di aver suonato in questa rassegna. Quando ho letto Bunker mi aspettavo un luogo fatto di pareti e tanto sudore, invece ho trovato un bellissimo palco all’aperto con tanta gente stupenda».

L’onore di chiudere il main stage è affidato agli Yosh Whale, gruppo salernitano in enorme ascesa con all’attivo già numerose soddisfazioni artistiche, come la vittoria del Premio Buscaglione 2018 e di Musicultura 2022. Vincenzo Liguori (voce), Andrea Secondulfo (tastiere e synth), Ludovico Marino (chitarra) e Sam De Rosa (batteria) si sono conosciuti in giovane età ai tempi del conservatorio e da lì non si sono più separati, unendo le competenze e condividendo le sorti. L’ultimo ad unirsi al viaggio è Antonio Di Filippo (sax), che ha saputo arricchire di vena poetica un sound variegato fatto di soul, hip-hop, rock, R’n’B e corredato da inserti lo-fi e armonizzazioni vocali. La band ha riproposto gran parte dei successi contenuti nell’ultimo album A Mezz’Aria, in cui spicca la collaborazione con Rose Villain nel brano Blu. Gli Yosh Whale toccano le corde più profonde dei presenti parlando di amori a distanza, nostalgia, radici culturali e territoriali, riuscendo ad emozionare e divertire. Le prime file cantano a squarciagola ogni singola parola e si sciolgono allorché, durante il ritornello di Fiore, Vincenzo stringe in un fraterno abbraccio Claudio La Rocca, in arte Sup Nasa, invitato sul palco per condividere il momento certamente più intenso dell’esibizione, chiusa poi con l’esecuzione di Sulle nuvole, in un trionfo di telefoni al cielo.

Il tempo di salutare gli Yosh Whale e il focus si sposta su una curiosa barca a motore, da dove proviene una voce ammaliante: è quella di Pan Dan, «cantastorie performer con l’hobby della showgirleria» ma anche «l’inventora di cose strane da indossar», cui è affidata la chiusura del Sofarm Festival con un dj-set energico e creativo, durante il quale canta, balla, ammicca, si dimena su temi elettronici, italo disco, techno e punk. Prodotta da Cosmo, è una delle artiste di spicco di Ivreatronic, collettivo e label punto di riferimento per l’italo-pop e il pop elettronico italiano.

 

Dissipato lo stress organizzativo e sciolta la comprensibile tensione per l’incombenza di potenziali e fastidiosi contrattempi, fortunatamente mai occorsi, ecco splendere il sorriso sul viso di Asya Benedini di Sofa So Good: «Siamo davvero molto contenti del risultato finale di questa quinta edizione di Sofarm Festival. E ringrazio di cuore anche SBERDIA Live, con i quali abbiamo lavorato benissimo; si sono rivelati determinanti per dare una spinta ulteriore al nostro gruppo. È molto complicato organizzare una manifestazione del genere, che si sostiene solo ed esclusivamente attraverso gli ingressi, ma la nostra passione per la musica emergente indipendente è stata ripagata dalla partecipazione del pubblico». Indipendente, emergente ma di assoluta qualità: «Devo dire che quest’anno ci siamo davvero superati, una qualità allucinante. Ogni band aveva un’identità ben chiara e insieme sono riusciti a creare un’onda continua di emozioni. Adesso che è finita possiamo dirlo: siamo stati fortissimi!».

Dello stesso umore non può che essere anche Gianni Marsiglia di SBERDIA Live: «Direi estremamente soddisfatto dal risultato finale. C’è sempre grande tensione quando si organizza questo genere di eventi, ma quando li vivi e vanno in questa maniera resta solo una grande gioia. Le band sono state magnifiche, abbiamo voluto puntare su progetti di qualità, a prescindere dal genere, e devo dire che abbiamo scelto molto bene, perché il pubblico ha apprezzato tantissimo». Nel backstage si percepiva grande complicità tra gli artisti: «Proprio così, l’ho notato anch’io e mi ha fatto molto piacere. Ci piaceva l’idea di ricreare una situazione tranquilla, familiare, organizzando gli spazi in modo che venissero facilitate l’interazione e la conoscenza reciproca». Una prima volta da ricordare quella del sodalizio con Sofa So Good: «Davvero, ci conosciamo da tempo, abbiamo collaborato in differenti circostanze ma mai in una situazione così impegnativa. Abbiamo lavorato benissimo insieme, condividendo in armonia sia la produzione che la direzione artistica».

 

foto di Carlotta Anguilano

Attila J.L. Grieco

Giornalista, cantante, esperto di comunicazione. Ma ho anche dei pregi, come essere riuscito a farmi battezzare Attila, nascere nell'anno di uscita dell'omonimo e celeberrimo film e condividere con il suo protagonista capigliatura, giorno del compleanno e squadra del cuore.

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