Nel terzo disco, Nilüfer Yanya trasforma il suo prezioso multiculturalismo in un’esperienza che mette in luce gli aspetti migliori della sua creatività
I primi anni di questo decennio ci stanno offrendo un filone di giovani artiste in area alternative di livello altissimo e purtroppo nel marasma dell’era streaming è facile disorientarsi e perdersi qualcosa di valore.
Nilüfer Yanya è uno di quei rarissimi individui con un’aura pazzesca: più ci si addentra nella sua storia, più vorresti essere seduto davanti a un tavolino da tè a lasciartela raccontare.
Sua madre – di sangue irlandese e barbadiano – risiedeva a Istanbul assieme al padre a metà degli anni ’90 e si innamorò a tal punto del nome Nilüfer da sceglierlo nel caso avesse avuto una figlia femmina.
La coppia di artisti si trasferirà stabilmente a Londra, nel quartiere Chelsea, dove la giovane Nilüfer crescerà ascoltando la madre suonare musica classica al piano e iniziando a studiare chitarra a dodici anni, affascinata dai dischi indie e skater-punk della sorella maggiore, lasciandosi poi influenzare da Pixies, The Cure e dai classici del jazz, avvertendo la necessità di addentrarsi in qualcosa di più sperimentale.
Appena maggiorenne, Nilüfer Yanya carica alcune sue demo su Soundcloud e viene scoperta da Louis Tomlison dei One Direction, che le offre l’occasione di far parte di una girl band. Lei, però, rifiuta, preferendo proseguire il suo percorso artistico indipendente e opponendosi fermamente al sistema dello scouting, definendolo, in un’intervista al The Guardian, unicamente a beneficio dei produttori di successo.
È una scelta rischiosa, ma è una scelta che paga: mentre il progetto di Tomlison naufraga, nel 2019 palesa il suo valore con Miss Universe: il disco d’esordio è acclamato dalla critica e si rivela una perla nel panorama alternative di inizio decennio.
Nel 2022 entra definitivamente nei radar del mainstream britannico aprendo il live comeback di Adele all’Hyde Park e presentando a un pubblico più ampio il suo secondo album, Painless.
Anche nel suo terzo lavoro, My Method Actor, Nilüfer non scende a compromessi e riesce a conquistare dopo sette secondi: il drop armonico nella successione iniziale di Keep On Dancing lascia intendere immediatamente in che direzione vuole portarci il disco. La formula è la piena manifestazione di un’artista dai chiaroscuri contrastanti: è introversa ma non si nasconde, ha attitudine sul palco ma mantiene un approccio intimista, utilizza in modo efficace il suo talento vocale senza sfociare in inutili virtuosismi.
Like I Say (I Runaway) è il singolone di respiro radiofonico che raccoglie il massimo dagli stilemi alt-rock. il brano è strutturato tradizionalmente, con la strofa al trotto di una progressione bicorde nel contesto di una sezione ritmica ipnotica e il ritornello arricchito da una delle più classiche distorsioni del genere: il mitico Big Muff.
Method Actor è imprevedibile: la trama tra ritmica, testo e metrica viene spezzata da un ritornello di matrice stoner addolcito da un mix in uscita adatto alla sua voce, guadagnandone in dinamica. È qui che l’autrice manifesta il suo talento unico nell’amalgamare personalmente i costrutti dei propri riferimenti artistici. Il suo peculiare melting pot è infatti ricchissimo di ingredienti, che riescono a prendere forma in musica anche se l’artista dichiarava di patire la sindrome dell’impostore: non è una virtuosa dello strumento, preferisce infatti utilizzarlo come un arnese per forgiare arpeggi e progressioni di accordi atipiche, da intrecciare al songwriting arricchendo i brani registrati in studio con degli outro curatissimi.
L’arpeggio effettato e ossessivo su cui si appoggiano i temi lirici negli oltre cinque minuti di Binding e Mutations, altro grande brano, raccontano quanto le delusioni e le ferite del passato possano compromettere i nuovi legami, con una classe d’eccezione, anche nei testi. In particolare, Mutations è un’elegantissima riflessione su come possano essere castranti i propri trascorsi, sulla base di un’ambientazione trip-hop al contempo malinconica, solida e sorprendentemente fresca.
È singolare come anche in passaggi più sensibili, come in Ready For The Sun (Touch), o ripetitivi come Call It Love, la piattaforma concettuale non traballi: c’è sempre un arpeggio pronto a fondersi con gli archi, l’uso del falsetto o delle armonizzazioni vocali a sorprenderci. La sensazione è quella che ogni pezzo del disco sia in grado di portarci in luoghi inattesi senza disorientarci con soluzioni malagevoli.
Il disco è stato interamente realizzato con la collaborazione di Wilma Archer: il duo, ha spiegato Yanya in un comunicato, ha mantenuto un team di produzione ristrettissimo in modo da «non diluire il processo di scrittura in alcun modo, anche in caso di insicurezze», preferendo la genuinità a un prodotto potenzialmente perfetto ma plastificato. Il valore aggiunto del disco, del resto, sta anche nel non sentire la necessità di voler influenzare o impressionare qualcuno che non sia ancora salito a bordo, al costo di rimanere in una nicchia.
In generale, la qualità del mastering è eccellente e se ne possono apprezzare le scelte stilistiche in brani come Faith’s Late, nel quale sentiamo rimbalzare le percussioni da un orecchio all’altro, o in passaggi più scontati come in Made Out Of Memory, in cui la parte elettronica è dominante.
L’impressione, però, è che il processo funzioni meglio nei pezzi in cui la genesi creativa avviene in un territorio all’artista più congeniale come nel caso della sei corde, grazie alla quale riesce a rielaborare con naturalezza il sound caratteristico degli anni ’90, senza mai scimmiottarlo. È evidente l’affinità con lo strumento: dalla miscela di suoni familiari in pedaliera alla creazione di giri armonici ricercati.
Se agli esordi dichiarava di non sentirsi pronta a calcare palchi importanti, con My Method Actor Nilüfer Yanya prende pienamente coscienza della sua dimensione, difficile da incasellare in una definizione univoca. Il suo sound è una mescolanza di alt-rock, soul, trip-hop.
Nilüfer Yanya ha abbracciato le sue insicurezze identitarie adolescenziali, tramutandole nel tempo in materiale prezioso come un’esperta alchimista, fidandosi della sua voce e dei suoi molteplici riferimenti. Questo nuovo disco non interpreta solo il presente, ma è anche una finestra sul futuro: rappresenta il coraggio di esprimere in modo virtuoso il proprio essere poliedrico, indipendentemente dal genere e dagli strumenti utilizzati, contro la corsa forzata al successo.