La musica di strada ha accompagnato l’umanità nei secoli, mutando forme e volti ma custodendo sempre un potere antico: trasformare gli spazi aperti in palcoscenici e gli sconosciuti in pubblico. In un viaggio che parte dagli aedi greci e arriva ai busker contemporanei, riflettiamo, attraverso l’esperienza del menestrello moderno Steve Lin, su come la tradizione del cantore di strada non solo sopravviva ma continui a evolversi, trovando nuovi modi di risuonare tra persone e luoghi
Immaginate di trovarvi su una strada polverosa dell’antica Grecia. Il sole è alto, le ombre corte, e dalle colline circostanti arriva un suono di lira che si mescola al vento. È un aedo, un poeta-cantore, che con la sua voce scandisce: «Cantami, o Diva, l’ira funesta!». Versi divenuti immortali, che tessono le gesta di eroi e dèi.
Gli aedi e i rhapsodi dell’antica Grecia non solo erano i custodi delle storie mitologiche, ma svolgevano un ruolo fondamentale nella vita sociale delle comunità. I loro canti diventavano occasioni di ritrovo collettivo, momenti in cui la parola prendeva vita e il passato mitico si intrecciava con il presente degli ascoltatori. Le loro performance non erano scritte, ma vivevano nel momento stesso in cui venivano narrate, rendendo ogni esibizione unica e irripetibile.
Nei secoli successivi, questa tradizione orale è proseguita. Durante il periodo romano, gli istriones portavano le loro rappresentazioni nelle piazze e nei teatri, fondendo musica e recitazione, creando intrattenimento per il popolo e per le élite. Anche se la tradizione si trasformava, il legame tra musica e narrazione orale rimaneva vivo e la strada continuava a essere il palcoscenico naturale di queste esibizioni itineranti.
Con la caduta dell’Impero Romano, le vie dell’Europa cambiarono volto ma non persero l’eco dei cantori. La figura dell’aedo greco si trasforma e riemerge in una nuova veste. In questo contesto trasformato, i menestrelli e i giullari trovano una nuova funzione: intrattenere le corti nobiliari e il popolo, raccontando storie di crociate, di amori impossibili e di avventure cavalleresche. La loro musica è un ponte tra l’aulico e il popolare, un modo per trasportare, attraverso le parole e le note, l’immaginario collettivo di un’epoca.
I menestrelli, come i loro antenati greci, erano nomadi, artisti che viaggiavano da una corte all’altra e che trovavano nella strada il luogo in cui la loro arte si manifestava in tutta la sua autenticità. Ma, a differenza degli aedi, i menestrelli erano anche testimoni del proprio tempo: attraverso i loro canti raccontavano le ingiustizie, le battaglie, le speranze e le paure di un’Europa in trasformazione.
E così, la tradizione dei cantori di strada, che era iniziata con le gesta degli eroi classici e proseguita nel Medioevo, è arrivata fino a noi con i busker che vediamo per le piazze e per le strade, soprattutto nelle grandi città. Tuttavia, al di fuori dei festival e delle manifestazioni dedicate alle arti di strada, è assai più raro avere il tempo di fermarsi ad ascoltarli, come capitava nelle polis greche, nei villaggi e nelle corti. Sarà per la frenesia delle nostre vite, sarà perché la fruizione della cultura è maggiormente circoscritta in luoghi e tempi delimitati. Ci si può allora domandare se, al giorno d’oggi, sia ancora possibile lavorare a tempo pieno come performer di strada. Ebbene, stiamo per scoprire che in certi casi sì, è effettivamente possibile.
Ho conosciuto Steve Lin – o meglio, ho scoperto della sua esistenza – imbattendomi in un reel in cui appariva insieme ai Dubioza Kolektiv, gruppo musicale bosniaco divenuto celebre per la capacità di miscelare elementi di hip-hop, raggae, dub, punk rock, elettronica e balcanica, incorporando testi socialmente e politicamente impegnati, spesso scritti in più lingue.
Quello che mi colpì di più era il fatto che questo ragazzo, nato e cresciuto a Taiwan, mostrasse di sapere creare un’intesa con un pubblico di passanti apparentemente molto distante da lui, per lingua e cultura. Invece, eccolo che suona e canta canzoni in serbo-croato! Com’era finito a fare busking per le strade di Sarajevo?
Dopo esserci scambiati i contatti, ho avuto modo di approfondire la sua storia in una videochiamata, lui collegato da Taipei, io da Torino. Davanti a me si presenta una persona sorridente e disponibile; nei suoi occhi si può cogliere l’anima del viaggiatore desideroso di percorrere le strade meno battute, assorbendone a pieno l’esperienza.
Mi racconta che la sua vita stava seguendo una traiettoria precisa: con in mano una laurea e un master in ingegneria elettrica, aveva deciso di intraprendere un dottorato in informatica, ma le cose sono cambiate nel giro di un anno. Così, dopo alcune esperienze lavorative – prima come ingegnere software, poi come autista privato e infine come guida turistica –, la frenesia di superare i confini della zona di comfort lo conduce in Europa.
Grazie a un programma di Work and Travel si stabilisce in Slovacchia: in un primo momento lavora come operatore per un call center, ma si tratta di una soluzione temporanea. Spinto dalla voglia di viaggiare e documentare ciò che gli accade su YouTube ottiene la residenza temporanea, grazie alla quale può spostarsi liberamente all’interno dell’area Schengen.
Partendo per un viaggio on the road armato di chitarra e GoPro, inizia a fare busking quasi per caso: guardando i video delle canzoni nelle lingue locali riesce ad apprendere da autodidatta accordi e parole. L’ispirazione arriva nel momento in cui, mentre si riprende, i passanti iniziano a lasciargli le monete nella custodia della chitarra: anche se non era programmato, diventa ben presto una soluzione funzionale, che gli permette di sopravvivere.
Durante uno di questi viaggi Steve sceglie come destinazione la Macedonia. Si sposta quindi a Skopje, poi a Bitola e a Ohrid, dove per la prima volta entra in contatto con la cultura musicale dei Balcani. Come già fatto nelle esperienze precedenti, suona e canta per strada, imparando canti tradizionali come Makedonsko Devojče, composto nel 1964 da Jonče Hristovski.
Da qui prosegue il suo viaggio in Albania, Kosovo e infine Montenegro, dove si stabilisce a Kotor. Proprio a Kotor Steve inizia a ricevere numerose richieste dai passanti che lo ascoltano. Decide, quindi, di allargare il suo repertorio: il primo pezzo che impara è Ti si mi u krvi di Zdravko Čolić. Ben presto inizia a familiarizzare con alcune delle band più popolari della Jugoslavia, come Parni Valjak, Bijelo Dugme, Bajaga & Instruktori, AZRA e Crvena Jabuka.
La vera svolta, però, arriva a Sarajevo. Se August Rush, il bambino prodigio interpretato da Freddie Highmore nel film La musica nel cuore, si fosse trovato in questa città, cosa avrebbe captato? Immaginiamo il tintinnare delle tazze di caffè nei kafana della Baščaršija, lo sfrigolio dei ćevapčići sul fuoco, il gorgoglio degli shisha quando vengono aspirati, il canto del muezzin che invita alla preghiera, i bisbigli del vento che si infiltra fra le ferite di guerra sulle facciate delle case, lo scroscio della Miljacka, la musica nei bar e per le strade. Tutto questo non lascia indifferente Steve, che viene ben presto posseduto da questo crocevia di suoni e culture.
Un giorno di due anni fa si reca in una kafana per cambiare le monete raccolte durante le sessioni in strada. Il proprietario del locale lo accoglie con una proposta tanto inaspettata quanto diretta, in puro stile balcanico: esibirsi al Cafe Bar Opera per l’ultimo dell’anno insieme ai Dubioza Kolektiv. Nonostante un po’ di titubanza iniziale, Steve accetta e il 31 dicembre si esibisce con loro.
L’anno successivo, per strada, incontra uno dei membri della band: «Grazie mille per avermi invitato quella volta. Ho imparato una delle vostre canzoni!», gli dice. Intona qualche verso e subito gli viene proposto di registrare un video insieme.
Suonare con una delle band balcaniche più in voga è uno spartiacque per la sua vita di artista: sempre più persone lo riconoscono e gli chiedono di suonare i loro pezzi preferiti. Ciò che più conquista delle sue performance è il fatto che non si limita a suonare per i passanti: Steve è un intrattenitore nato che coinvolge il pubblico, scambiando affabilmente due parole in un serbo-croato improvvisato ma chiaro. E, più di tutto, le sorprende.
Così, una carriera che sembrava destinata a restare un ricordo nei libri di storia, si rafforza di una nuova linfa vitale, intrecciando legami tra mondi lontani. Anche Steve Lin, in definitiva, è diventato parte della sinfonia multiculturale di Sarajevo.
Se siete curiosi di conoscere il suo repertorio, abbiamo preparato per voi una playlist.