Torino ha celebrato con un bagno di folla il leggendario chitarrista statunitense, già membro di Rage Against the Machine, Audioslave e Street Sweeper Social Club, nonché autore e attore protagonista del progetto folk The Nightwatchman. Alle Officine Grandi Riparazioni, in occasione di OGR Sonic City, preview cittadina di Sonic Park Stupinigi, l’artista ha regalato uno spettacolo a tutto tondo, muovendosi tra metal, blues, rap e folk per riproporre i grandi successi del passato e svelare le ultimissime novità in procinto di essere pubblicate. Non solo, ha duettato con suo figlio Roman, un prodigio di appena 13 anni. Splendida l’apertura dei The Last Internationale, band di New York scoperta e lanciata 15 anni fa dallo stesso Morello
Tom came home. Sul palco delle OGR, Tom Morello non stava nella pelle. Ha dovuto rimarcare più volte l’enorme gioia per essere «tornato finalmente a casa, due secoli dopo la partenza dei Morello’s verso l’Illinois». Già, perché i suoi avi sono originari di Pratiglione, minuscolo comune della provincia di Torino situato nell’Alto Canavese, che nel luglio dello scorso anno ha provveduto a conferirgli la cittadinanza onoraria. «Pare che siano meno di 500 abitanti e che circa 200 si chiamino Morello, infatti sono pieno di cugini da quelle parti», ha ricordato in una recente intervista a Rolling Stone.
Le radici e l’impegno, perché il ragazzo dell’Illinois, poi trapiantato nella Grande Mela, è cofondatore – insieme al cantante dei System of a Down Serj Tankian – di Axis of Justice, organizzazione no-profit che unisce musicisti, organizzazioni e persone comuni promuovendo iniziative in favore della giustizia sociale. D’altronde, Morello l’attivismo ce l’ha nel sangue: mamma Mary è cofondatrice di Parents for Rock and Rap, un’associazione contro ogni forma di censura, in particolare nella musica, mentre papà Ngethe Njoroge, diplomatico keniano di etnia kikuyu, ha fatto parte del movimento Mau-Mau.
A proposito di impegno, in apertura si sono esibiti i The Last Internationale, dei quali proprio Tom Morello fu demiurgo nel 2008, prendendoli sotto la propria ala e spianando loro la strada verso i grandi palchi. Il nome della band non può non rievocare immediatamente i movimenti operai nati in Europa nella seconda metà dell’Ottocento. E infatti i fondatori Delila Paz (voce, basso e tastiere) e Edgey Pires (chitarra) propongono liriche intrise di temi sociali: lavoro, povertà della classe operaia, abuso di potere, guerra e via cantando. Però cantando bene e soprattutto forte, perché il duo sul palco è una scarica tellurica.
Lei, Delila, frontwoman scatenata, domina la scena come poche. Avviluppata in una tutina rossa che le dà un tono da eroina, macina chilometri sul palco – e non solo, a un certo punto finisce a cantare in mezzo alla folla, oltre le transenne – senza perdere mai l’intonazione, alternando al bisogno un grintoso registro sabbiato a un sognante e perentorio black soul. Lui, Edgey, è un chitarrista “di movimento”, protagonista al pari della collega, insieme alla quale sembra ballare un perenne passo a due rockeggiante, senza mai perdere di vista il tocco, la precisione, il colore.
Particolarmente apprezzate le nuovissime Hoka Hey, Hero e 1984, tratte dall’ultimo album Running For A Dream, così come Life Liberty & The Pursuit of Indian Blood, un must che compie dieci anni e che risente evidentemente delle influenze di Morello e dei Rage Against the Machine. Quale migliore link per introdurre il titolare della cattedra?
Lo spettacolo più atteso è preceduto da un annuncio stile aereo di linea, che ci ricorda che «in caso di emergenza, le uscite di sicurezza sono poste sulla destra e sulla sinistra» e soprattutto che «è vietato fumare all’interno dell’area concerti». Non proprio rock’n’roll.
Mentre i musicisti salgono sul palco, viene diffusa Bella ciao, molto probabilmente un omaggio impegnato al pubblico italiano. Certamente una scelta paragnosta – si cita la Gialappa’s per eludere il turpiloquio, ma ci siamo capiti –. Tra gli artisti, è impossibile non notare la piccola statura di uno dei chitarristi: «Ladies and gentlemen, my son Roman Morello». Tredici anni di enfant prodige, maglietta del Torino Calcio – piccoli paragnosti crescono –, piglio da musicista navigato e via con Soldier in the Army of Love, brano di freschissima pubblicazione realizzato a quattro mani da padre e figlio, che ne ha scritto i riff principali due anni fa (a UNDICI anni). D’altronde, «quando gli altri facevano il pane durante il lockdown, Roman suonava otto ore al giorno», ha in più circostanze raccontato l’orgoglioso genitore. Certo, poi evidentemente anche la biologia ci mette del suo, pensiero che emerge con maggiore forza allorché il piccolo comincia a suonare l’assolo no look con la chitarra dietro la nuca.
Congedata la progenie, che ritroveremo nel finale, si parte con uno dei tanti omaggi ai RATM, un bel medley in tonalità di RE con Testify, Take the Power Back, Freedom e Snakecharmer. Un viaggio a ritroso per i tanti appassionati, che hanno rivissuto intonse le stesse sensazioni d’un tempo, perché immutato è il talento dell’esecutore, peraltro sostenuto da una band di tutto rispetto.
Successivamente, è la volta di Gossip, pezzo scritto insieme ai Måneskin, con i quali ha partecipato come ospite a Sanremo 2023. Questa volta nessun ingresso a sorpresa on stage, a differenza di quanto accaduto qualche giorno fa al Castello Scaligero di Villafranca di Verona, quando spuntò Thomas Raggi, chitarrista di quello che attualmente è sodalizio musicale italiano più famoso al mondo, piaccia o meno.
One Man Revolution, risalente al progetto The Nightwatchman, inaugura la parentesi acustica, in cui Morello piega sulla sedia il vestito da bad boy per indossare quello da bluesman country-folk. Chitarra acustica, supporto per l’armonica a bocca e voce profonda alla Johnny Cash, porta a compimento in una piacevole atmosfera un brano certo non leggendario per i fans della prima ora, probabilmente anche un po’ troppo ripetitivo nel testo («I’m a one man, I’m a one man / I’m a one man revolution» praticamente ad libitum), impreziosendo il tutto con una posa finale – capo chino e pugno alzato al cielo – che ha ricordato nitidamente Tommie Smith e John Carlos sul podio delle Olimpiadi di Città del Messico 1968. Per coerenza, a seguire non poteva non esserci Union Power, momento in cui il pubblico comincia a diventare protagonista dello spettacolo interagendo con l’artista, prima con la voce («If I say Union, you say Power / Union Power Union Power»), poi con tutto il corpo, come in occasione di The Road I Must Travel, quando Morello fa inginocchiare tutti, musicisti compresi, per poi farli scattare in aria alla fine del crescendo, creando quel momento che certamente verrà ricordato come il picco della festa.
Stacco, cambio della scena, occhio di bue a centro palco: è il momento di Keep Going, altra creazione blues con inserti tricolori – scritta con il progetto nostrano The Bloody Beetroots –, seguita senza soluzione di continuità da Garden of Gethsemane e World Wide Rebel Songs.
Archiviato il momento one man show, quando il palco riaccoglie tutti i musicisti al gran completo, si percepisce chiaramente che ci si sta avviando verso il gran finale. Let’s Get the Party Started, per l’appunto, canzone tratta da The Atlas Underground Fire, ospita nel mezzo uno dei tanti celebri virtuosismi di Tom, ovvero dei banding super effettati che se volgi lo sguardo altrove ti sembra di sentire il suono di un theremin. Se di festa si tratta, allora facciamo partecipare anche chi ne ha animato le fase iniziali: tornano sul palco Delila Paz e Edgey Pires, per scatenarsi in una cover a tre chitarre e due voci di Kick Out the Jams, che gli MC5 (Motor City 5) pubblicarono a Detroit nel 1969. Detroit e Torino, Chrysler e Fiat, tutto torna.
Segue altro super medley dei grandi successi dei Rage, da Bombtrack a Know Your Enemy, passando per Guerrilla Radio e Bullet in the Head, dove Tom mostra tutto il repertorio di scratchate sul manico che lo ha reso celebre in tutto il mondo, arrivando persino a simulare – tappando sul manico e con apposito delay – il rumore di un elicottero in avvicinamento.
Si arriva al momento delle dediche speciali: Like a Stone, per «il mio amico Chris Cornell» (seguono applausi emozionati) e la cover metallizzata di The Ghost of Tom Joad, omaggio al boss Bruce Springsteen, con una coda pazzesca di oltre tre minuti in cui viene sparato un po’ tutto, praticamente come accade alla fine di uno spettacolo pirotecnico. Però non è ancora finita. Sale nuovamente sul palco il giovane Roman, che flexa in solitaria scale velocissime (musicista giovane, linguaggio giovane), per poi lasciar spazio a papà Tom: «Abbiamo cominciato con una canzone folk italiana, concludiamo con una canzone folk nord americana» e via con il celeberrimo riff di Killing in the Name.
L’atto di congedo è un messaggio urbi et orbi, la sintesi del credo artistico, politico e sociale di Tom Morello: Power to the People, John Lennon, 1971. Potere al popolo, contro ogni sopruso, contro ogni guerra, contro ogni ingiustizia.
You say we want a revolution
We better get on right away
Well, you get on your feet
And enter the street
Singin’, power to the people