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TJF 2024 Main Stage: Day 1, 2 & 3

svg26 April 2024LiveRecensioniLuca Lops

Come ogni anno, il Torino Jazz Festival diventa un’occasione di festa per tutta la città, portando un fitto numero di eventi culturali. Nei primi tre giorni, sui palchi principali, si sono susseguiti tre grandi jazzisti, che hanno conquistato il pubblico con un’energia diametralmente crescente 


Il Torino Jazz Festival 2024 si è aperto in anteprima al pubblico sabato 20 aprile, con la Jazz Parade che ha suonato brani del repertorio jazz in corteo per tutto il centro, celebrando l’inizio del festival in pieno stile New Orleans.

Partiti i primi eventi nel weekend, bisognerà aspettare il lunedì per il Main Stage. I primi due appuntamenti hanno visto il susseguirsi di due contrabbassisti, colossi della scena jazz, portandosi dietro la curiosità del pubblico per tale scelta – per non parlare degli stereotipi sui concerti di contrabbasso, degni del sarcasmo di Giovanni all’Heavy –.

Il primo colosso è Dave Holland, con una formazione in trio. Inizialmente previsto con il chitarrista Kevin Eubanks, il trio si è riadattato con Jaleel Shaw al sax, cambiando perciò radicalmente l’intenzione della formazione senza ridurre, però, l’impatto dell’esibizione. Il “trio pianoless”, come viene definito in gergo – per indicare l’assenza di uno strumento armonico di riempimento –, è già di per sé inusuale e personalmente impegnativo.

In realtà, è proprio questo vuoto che ha permesso al pubblico di concentrarsi di più sul suono del contrabbasso, messo in risalto anche grazie alla sensibilità e alla delicatezza proprie del batterista Eric Harland. Holland è stata la colonna portante di tutto il concerto e la base armonica era nelle sue mani: i suoi riff solidi accompagnavano i flussi solistici di Shaw secondo gli arrangiamenti per trio dei suoi brani originali, caratterizzati dal sound progressive che ha contraddistinto la sua carriera.

Entusiasta di questa grande partenza, il pubblico ha potuto assistere alla sua controparte già la sera successiva al Teatro Colosseo, con all’esibizione di un altro grande contrabbassista, Christian McBride. La formazione, qui, era più corposa, grazie alla presenza aggiuntiva di un pianoforte e una chitarra. Il repertorio è stato di stampo più fusion, in equilibrio tra lo swing tradizionale e quello moderno, con musicisti giovani portati avanti dal grande contrabbassista – vincitore di ben otto Grammy Awards –.

Interessante è stata la scelta dei brani che, oltre a riarrangiamenti particolarmente apprezzati di brani conosciuti, come Dolphin Dance di Herbie Hancock e La fiesta di Chick Corea, ha portato l’attenzione sulle composizioni originali di ogni membro del gruppo. Tra i virtuosismi della sassofonista Nicole Glover e del chitarrista Ely Perlman, le botte e risposte tra il pianista Mike King e lo stesso McBride, insieme a tutti gli arrangiamenti arzigogolati che hanno caratterizzato l’intera esibizione, il concerto ha avuto una resa molto potente nonostante la sonorizzazione sproporzionata degli strumenti non giocasse a loro favore.

Un taglio totalmente diverso è stato quello della terza serata. Prima del concerto è stato assegnato il Premio Sergio Ramella, una borsa di studio indetta dall’associazione AICS di Torino per gli studenti del Conservatorio a partire dall’anno scorso, riscaldando fin da subito il pubblico. Poco dopo è salito sul palco il pianista cubano Gonzalo Rubalcaba, insieme al contrabbassista Matt Brewer e al poliedrico batterista Ernesto Simpson. Le composizioni originali di base latin jazz hanno riscaldato il pubblico con influenze variegate, passando ripetutamente dall’afrocuban allo swing, senza mai differenziarsi nettamente.

Le improvvisazioni virtuosistiche di Rubalcaba erano piene di infinite possibilità, dal tocco stilistico curato e ricercato; le composizioni cervellotiche facevano perdere al pubblico la bussola del senso ritmico, per le difficoltà di alcuni passaggi nei cambi ritmici. Non sono mancati i momenti pieni di pathos, con brani lenti che hanno espresso l’umiltà dei musicisti e tutto il loro piacere di suonare per qualcuno.

Parlando in spagnolo – perché in Italia si sente quasi a casa –, Rubalcaba ha confessato quasi commosso come sia un miracolo per lui vedere cosù tanta gente al suo concerto. La potenza degli arrangiamenti, pieni di stacchi, obbligati e ritmi cubani di influenza jazz, hanno esaltato il pubblico che, uscito dalla sala, cercava ancora di contare e di recuperare il tempo del ritmo, perso ripetutamente nel corso del concerto.

Insomma, come anticipato, i primi tre concerti si sono susseguiti mantenendo un crescendo dal punto di vista della resa scenica, entusiasmando puristi e innovatori del genere, di fronte a un pubblico variegato – pieno di giovani, anziani e adulti – ma ugualmente entusiasmato, unito dall’amore per il jazz.

Luca Lops

Sbatto tamburi, strimpello un po’ le corde e schiaccio tasti a caso. Ho tante passioni, forse anche troppe, come sono tante le cose che faccio. Mi interessano un po’ tutti gli aspetti che riguardano la musica e grazie a Polvere ho la possibilità di approfondirli.

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