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The Dream of Delphi: il viaggio rarefatto di Bat for Lashes

Torna Bat for Lashes con un disco che è al tempo stesso una confessione e una lettera d’amore per la figlia Delphi. Architetture astratte e sottili che esplorano il rollercoaster fisico ed emozionale della maternità


A cinque anni di distanza dall’ultimo disco Lost Girls, ecco che Bat for Lashes torna con un concept album che offre uno sguardo introflesso su personali universi fisici ed emotivi, rivoluzionati dalla nascita della figlia. The Dream of Delphi è, infatti, una lettera d’amore che la cantante inglese di origine pachistana, Natasha Khan – aka Bat for Lashes –, dedica alla figlia Delphi nata nel 2020 in piena pandemia. Un viaggio onirico costellato da sintetizzatori avvolgenti e malinconiche note di piano, che si muove leggero su liriche scarne ed evocative.

Non è la prima volta che Natasha Khan tratteggia paesaggi sonori attingendo dalla sua personale percezione di ciò che la circonda: i luoghi in cui Natasha colloca le armonie di Lost Girls, ad esempio, sono i lunghi tratti di costa abbandonata degli Stati Uniti, i luna park vuoti e le strade losangeline dove scorrazza la gang di motocicliste di Nikki Pink, streghe moderne in un film in super-8 che sfrecciano al suono di sintetizzatori e drum machine di ispirazione anni ’80.

Anche le ballad mesmeriche in cui si sviluppa The Dream of Delphi sono un chiaro tributo agli anni ’80 dal cui repertorio musicale e immagetico Natasha Khan da sempre attinge, ma se in Lost Girls risuonano David Bowie, Cyndi Lauper e le Bananarama, l’ultimo lavoro cattura gli eighties nella loro dimensione più scura ed eterea, strizzando l’occhio a mostri sacri del canone darkwave come Dead Can Dance e Cocteau Twins. L’artista, tuttavia, scarnifica le sonorità dei primi rifuggendo gli aspetti più cupi e tribali ed evita la spigolosità dei secondi – anche se spesso è proprio lo spigolo a costruire una geometria – in favore di melodie più morbide*.

Nell’omonimo pezzo The Dream of Delphi, definito dalla stessa artista «il manifesto dell’album», gli effetti caleidoscopici di voce costruiscono una vera e propria invocazione con cui la strega-madre dà forma plastica all’anima eterica della figlia, un pezzo che con movimento circolare intende lambire note celestiali ed echi profondi che descrivono le spirali della maternità.

In Christmas Day la madre confessa alla figlia tutta la sua vulnerabilità, «sei un dono, ma non sei mia», aprendo una bolla che, nello spazio dei tre pezzi successivi, porta l’ascoltatore in una dimensione sospesa, quasi angelica (come in The Midwives Have Left), in cui diversi strumenti dialogano tra loro, le note del piano sono innervate da incursioni di violoncello (At Your Feet) o rapidi sintetizzatori (Letter to my Daughter) scandiscono il ritmo convulso del pensiero.

Il lavoro torna a essere sostanza in Home, inaspettata parentesi upbeat che se da un lato sortisce un effetto straniante sull’ascoltatore, ancora intorpidito dalle atmosfere oniriche precedenti, dall’altro lo riporta su un più materico piano reale. Tale pezzo prelude a un’altra bolla sonora, la seconda metà dell’album, in cui l’artista racconta la rottura della sua relazione con il padre di Delphi attraverso un brano notturno, completamente strumentale, dalle sonorità fumose e orientali (Breaking Up), chiudendo poi con una serie di istantanee musicali della vita di Delphi (Delphi Dancing, Her First Morning, Waking Up).

Complessivamente il lavoro risulta interessante, non solo per la volontà di esplorare la figura della donna attraverso il prisma della maternità, esperienza di materializzazione e rarefazione allo stesso tempo, ma anche per la scelta di farlo attraverso un tessuto strumentale impalpabile ed etereo. L’album risulta però sbilanciato, con una seconda parte meno densa e originale della prima, ed estremamente astratto: in questo processo di narrazione-per-sottrazione, Bat for Lashes racconta una storia personale senza fornire chiavi di lettura, accettando che l’ascoltatore possa perdersi in una landa onirica di cui solo lei conosce la mappa. Non ci sono appigli, non ci sono spigoli. Purtroppo.


* Se cercate tributi più fedeli, Kandy di Fever Ray può fare al caso vostro. L’intero album, Radical Romantics, è estremamente interessante, complesso e notturno, direi avvincente. Sarà che sono fan di Fever Ray, sarà che North e Even It Out sono co-prodotti da Trent Reznor e Atticus Ross

Chiara Correndo

Film asiatici. CCCP. Negroni corretto con amaro lucano. Oasis o Blur? Blur. Made in Turin.

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