La trilogia Sabauda sta per concludersi: Willie Peyote pubblica i primi sei brani di “Sulla riva del fiume”, puntando sulla controtendenza – purtroppo, per la musica di oggi – di registrare in presa diretta
Nulla soddisfa chi fa musica, quanto registrare un disco in presa diretta. Soprattutto se si ha la complicità di una band di professionisti come la Sabauda Orchestra Precaria. Permettere alle canzoni di esplicarsi tramite la sommatoria del flusso individuale di ogni musicista è insieme un onore e un rischio. Ecco perché la patinata industria discografica di oggi ha abbandonato questa tradizione, per affidarsi al perfezionismo digitale. Passatemi la vena polemica di chi è stato indottrinato in accademia jazz, è pur vero che non tutti i generi e non tutti i progetti possono permetterselo.
Willie Peyote decide di percorrere la strada della controtendenza: rievocando le radici delle big band anni ’20, con un EP di sei tracce – prima parte dell’album Sulla rive del fiume – suonate in studio alla “vecchia maniera”. L’obbiettivo è quello di avviarsi verso la conclusione della “trilogia sabauda”, iniziata con Educazione Sabauda (2015) e proseguita con Sindrome di Tôret (2017). Con la l’amata Torino sullo sfondo – sia nella copertina, sia nel titolo –, i testi di Guglielmo restano fedeli all’identità Peyote: dissacranti canzoni politiche e sociali, intermezzate da malinconiche ballad introspettive.
Cosa te ne fai apre il sipario con un riff funky, palleggiato tra basso e chitarra, immerso in un’atmosfera sexy. È una ricostruzione ironica di ciò che oggi chiameremmo “relazione tossica”: «da una parte c’è chi vuole qualcosa in più e dall’altra chi accetta di accontentarsi delle briciole pur di non perdere l’altro».
Sulla riva del fiume è una traccia che si appoggia sul groove. Cori e fiati impreziosiscono un arrangiamento elegante, che dà nuova vita alle rime di Willie. Ogni artista, infatti, conserva nel cuore almeno una canzone del proprio repertorio – di solito una di quelle legate agli inizi –, che vorrebbe completamente rivoluzionare. In questo caso, il titolo precedente era In teoria, una rarità recuperabile solo su YouTube. «Questo pezzo l’ho scritto a 20 anni, era stato pubblicato nel primo EP solista Appersonal del 2006, credo». Si tratta di una vera e propria denuncia – con tanto di nomi –, verso le dinamiche mediatiche odierne, che inquinano il naturale processo creativo di chi vive di arte.
In occasione del 25 Aprile è stata rilasciata Giorgia nel Paese che si meraviglia. Anche in questo caso il messaggio è chiaro: la storia è ciclica e non bisogna lasciarsi raggirare da chi porta avanti ideologie sovraniste e discriminatorie, con slogan studiati ad ‘hoc per alimentare le paure del popolo: «Ho fatto finta di essere cambiato/Più tranquillo, di aver moderato un po’». Sì, ma rimani sempre fascista.
Superata la metà, arriva Buon auspicio. Un mood più scuro, con un pianoforte che strizza l’occhio alla musica di Paolo Conte e un ritmo trascinato. A supporto di un testo che parla della fatica di andare avanti, nonostante le delusioni e i sacrifici vani: «Sopravvivi e poi del resto che ci frega/Ma chi è senza vergogna, scagli lui la prima pietra».
Non poteva mancare un singolo per il mercato radiofonico: Piani è una canzone d’amore vintage e soul – in stile Amy Winehouse –. Da cantare in coro con una birra in mano al prossimo live.
L’ultima traccia conclude l’EP rimarcando queste vibes di leggerezza. Narciso sfrutta la mitologia greca per lasciare l’ascoltatore con un ultimo concetto su cui ragionare: la società della performance. «Io c’ho provato a non sbagliare più/In mezzo a gente che non sbaglia mai/Ne faccio un’altra per tirarmi su/Piccola così, dai, mi perdonerai». Willie, ricordati di condividere!
C’è solo una cosa che mi piace ancora più di un disco registrato in presa diretta: ritrovare gli stessi suoni al concerto. Questo, dunque, è solo l’inizio. Prima di vederci “sulla riva del fiume”, ci si vede Sulla riva del tour!