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Ehi Babbo, Baby Gang è tornato

C’è tutta la scena dentro “L’Angelo del Male”, il nuovo album di Baby Gang: ritratto oscuro e malinconico di un (vero) gangster italiano


Zaccaria Mouhib guarda il mondo bruciare dalla sua cella, mentre Baby Gang, suo alter ego, balla sulle strofe rappate professando la verità per le strade del mondo. Il nostro non fa sconti su quello che può o non può raccontare: c’è un’urgenza incontrollabile di sputare tutto e su tutto, un linguaggio tagliente e reale, rendendo L’Angelo del Male un Nanà contemporaneo. Baby Gang è il protagonista di un romanzo ottocentesco, circondato da tanti personaggi famosi, la cui carriera musicale in ascesa si scontra con la sua carriera criminale. Un condizionamento del giudice non gli permette di pubblicizzare il suo album o di fare un post su IG. Quella del tribunale, però, sembra una mossa di contenimento dell’hype nei confronti di un artista nel suo periodo di massima visibilità.

Più della metà dell’album è dedicata ai featuring, con il contributo di Paola Zukar, produttrice e custode del rap italiano. Il primo feat è Gangster con Paky, da cui Baby sembra condividere la copertina dell’album Salvatore. Un pezzo didascalico ma chiaro: spesso con il crimine ci nasci, ma è una condanna che può essere infranta dalla musica. Adrenalina è una rap ballad che racconta di sogni e promesse infrante, sottolineate dal falsetto – ridondante – di Blanco e dalle rime vissute e chiare di Marracash. In Miez a Via c’è tutto il meglio di Geolier e della strada malfamata, con un ritornello facilmente memorabile e cantabile. Huracàn è una delle migliori, per il motivo musicale che ricorda un carillon horror, smorzato dall’impronta hip-hop di Gemitaiz e MadMan. Assistente Sociale con Simba La Rue, riconoscibile nella scelta di sonorità oscure e alienanti, ritrae il quadro commovente di un bimbo costretto ad allontanarsi dalla famiglia.

Sono i pezzi solisti, che aprono e chiudono l’album, forse le tracce più succose di significato e ricerca musicale. Guerra e Bloods & Crips, che mischiano hip-hop e drill, sono un chiaro riferimento alle scorribande tra colleghi. LIBERI e Venom, più personali e intime, ritraggono il quadro della vicenda giudiziaria in cui si trova tuttora coinvolto il nostro. Non marcerò troppo su tali vicende: lo “sbatti il mostro in prima pagina” lo troverete in altre cento testate, ma non troverete una sola parola sulla narrativa dell’album.

Se c’è una cosa su cui il giornalismo italiano si sofferma davvero poco è la condizione giovanile nelle strade e nelle carceri. Un tema spinoso ma ricco di spunti per capire una fetta delle nuove generazioni – e anche del fenomeno trap –,  che invece viene usato come pretesto per tirarne fuori il famigerato nemico comune nei talk show serali. D’altra parte abbiamo la scena, quella della FIMI, che fa girare l’economia musicale ma che di strada non ha niente e produce immagini fittizie e inverosimili, estremizzate dall’immaginazione. L’Angelo del Male in questo scenario quasi distopico è un faro nel buio: Baby Gang non è il messaggero, è letteralmente il crimine che entra in casa tua senza estorcerti nulla. Vuole solo essere ascoltato. «Io non sono un rapper, io sono un gangster» e faccio fatica a credere alla prima parte, poiché in lui le cose convivono: Baby Gang è bravo a rappare perché quello che racconta è esattamente quello che fa. 

Ora non lo capiamo, ma Baby Gang è il nuovo paladino della scena e lo sarà per i prossimi anni. Non saranno sicuramente i featuring dei suoi colleghi, musicalmente più proficui, a dimostrarlo.

Marika Tassone

25 anni (non proprio) di libri, film e musica metal. Scrivo tante cose e lavoro per il cinema.

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