L’esordio delle Spore è il dolce ruggito di un underground (quello torinese) vivo. Un album fuori dal tempo, contro ogni legge prestabilita da un mercato che la band non ha intenzione di seguire. Un inno alla ricerca dell’essenza di un suono pulsante, capace di smaterializzarsi in uno spazio magico, sospeso tra sogno e realtà
Partiamo da un presupposto importante, che ho voglia di affermare fin dal principio perché finalmente si tratta di qualcosa di positivo: è un grande momento per l’underground torinese. Lo scorso anno sono usciti alcuni dischi molto interessanti, capaci di dimostrare che, in qualche modo, una scena esiste; decine di band giovanissime sono tornate a riempire gli spazi storici e freschi della città. Si percepisce l’entusiasmo di una generazione che ha saputo rimboccarsi le maniche e creare dal nulla tutta una nuova serie di realtà, che ora sono diventate dei punti di riferimento. Si pensi al Vertebre Festival, che ormai fa il pienone ovunque e che, a partire dalla terza e per ora ultima edizione di dicembre 2024, è riuscita a portare sul palco anche band esterne al capoluogo piemontese e alla regione.
Tra gli organizzatori di questa bellissima iniziativa per la musica e per i musicisti ci sono altri musicisti. Tra questi, le Spore, nate nel 2022 e da allora attive nel sottosuolo delle band emergenti, calcando palchi e facendosi le ossa, portando subito dal vivo i propri brani per poi solo in un secondo momento decidere di inciderli e di pubblicarli. Il 2025 si apre proprio con l’uscita del loro primo album, Paesaggi liminali, un titolo evocativo che si presenta come la summa perfetta di una poetica tutta da scoprire.
Consapevoli che ormai viviamo in un’epoca in cui – complici i social o qualunque altra cosa vogliate – la soglia dell’attenzione è calata drasticamente, è facile rimanere sbalorditi di fronte all’audacia di un album che non vuole essere semplicemente una raccolta di canzoni, ma un vero e proprio percorso sonoro, progettato per essere ascoltato dalla prima alla dodicesima traccia in tutte le sue numerose sfumature.
Paesaggi liminali è un disco che si prende i suoi tempi: a partire dall’intro di oltre 3 minuti – dove i riverberi del sax sembrano perdersi nella nebbia di una cava nel cui buio, forse, si nasconde la magia della poesia –, fino alla lunghezza di alcuni brani che arrivano a superare i 5 minuti, senza tuttavia mai annoiare, intervallati da brevi intermezzi strumentali dal sapore incantato.
In questo viaggio, le Spore ci prendono per mano, accompagnandoci e invitandoci a seguirli. Come in Stai con noi, una traccia che, tra dolci arpeggi e voci che si intersecano, funge da manifesto dell’intera poetica della band e del sottobosco torinese che li vede tra i maggiori esponenti.
Nell’album sembrano regnare due anime: quella delicata e bucolica di brani come Mosca cieca e la sognante Aspettando che spiova – il cui solenne e memorabile riff verrà ripreso nel dolce pianoforte dell’outro Gocce –, e quella dall’attitudine più punk, dal sound più frenetico, materializzata in vere e proprie istigazioni al pogo più sfrenato. Ad esempio, Nido di polvere è un brano spedito, adrenalinico, che brucia velocemente; l’incendiaria Comizi d’amore è un gioco di accenti di chitarre e basso che farebbe ballare anche un tetraplegico; Once again, infine, è una vorticosa discesa in qualche girone dionisiaco, in cui il sax – imponente e predominante nella maggior parte dei brani – dà il meglio di sé dal punto di vista esecutivo, specialmente nel finale: un furioso free jazz che ricorda la colonna sonora di quell’indiavolato di Justin Hurwitz, in quel capolavoro che è Babylon di Damien Chazelle.
Ad ogni modo, che si tratti di un’anima o dell’altra, la prerogativa delle Spore è fare del climax – musicale ed emozionale – dei propri pezzi il principale punto di forza. Un sistema, questo, che con semplicità permette di instillare nell’ascoltatore una curiosità sempre crescente per l’evoluzione sonora di ogni brano. Ed è proprio nel singolo Edera che questa prerogativa si manifesta in tutta la sua potenza espressiva.
Paesaggi liminali è un esordio che in pochi tra gli emergenti realmente indipendenti possono permettersi. Un lavoro meticoloso sul piano compositivo e produttivo, da ascoltare ripetutamente per poterne cogliere ogni aspetto e riuscire a goderne fino a provare un irrefrenabile bisogno di completare l’esperienza, fiondandosi subito a un live della band.