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Jazz Is Dead! Day 3: suoni dal mondo senza confini

Una domenica dagli elementi d’acqua e d’aria, un percorso sonoro tra trame dolcissime e squarci di potenza, un primo giugno con l’atmosfera rilassata di un primo agosto, un caldo estivo smorzato da un acquazzone che ci ha bagnati ma non inzuppati. Dopo le prime due giornate di festival che abbiamo raccontato, nel terzo giorno di Jazz Is Dead! sono saliti sul palco del Bunker Ghosted, Ibelisse Guardia Ferragutti e Frank Rosaly, Alabaster De Plume, Hjirok –Hani Mojtahedy con Andi Toma dei Mouse on Mars – e Orchestre Tout Puissant Marcel Duchamp. In nottata, i dj set di Angie Back To Mono, Badsista, Manu Sol e Nina B hanno traghettato la notte fino al termine. Il festival torinese, realizzato da Arci e Magazzino sul Po con la direzione e comunicazione di TUM rimane, punto di riferimento del pubblico che ama lasciarsi sorprendere da sonorità inaudite, strumenti e tecniche fuori dalle convenzioni, esperienze artistiche intense e uniche che vengono dai quattro angoli del mondo


Certa musica, se non ci fosse Jazz Is Dead!, non la immagineresti nemmeno. Da sempre, la forza e il fascino del festival torinese è di attrarre a scatola chiusa, del tipo “fidati, roba come questa non l’hai mai sentita”. Spesso e volentieri vincendo la scommessa. Il pubblico si presenta con mente aperta all’ignoto, all’inaspettato, all’inaudito. Anche se ti tieni mediamente aggiornato su nuove tendenze o artisti d’avanguardia, una buona parte del programma probabilmente ti è nuovo. I nomi di richiamo non hanno una vera e propria predominanza nel cartellone: ogni giornata è organizzata in modo che ogni proposta artistica sia valorizzata allo stesso livello. Dopo il giorno 1 e il giorno 2, la terza giornata di questa ottava edizione del festival realizzato da Arci, Magazzino sul Po e TUM è probabilmente la più “democratica” di tutte, poiché non è caratterizzata da nomi storici come i The Necks o come Meg, che hanno attratto molte persone nei giorni precedenti.  

Il pubblico di Jazz Is Dead! è fatto di persone curiose e le persone curiose vogliono vedere tutto: sin dal primo live c’è un discreto numero di persone davanti al palco, senza molta disparità con la quantità di pubblico che ci sarà nei set serali. La musica dal vivo si apre con il trio free jazz Ghosted, che all’ora del tè mette il pubblico in uno stato di ipnosi, articolato in una manciata di pezzi lunghissimi, che ti catturano nel loop. Sei note di basso ripetute esattamente uguali per un quarto d’ora, batteria che danza espressiva sullo stesso schema e chitarra trasfigurata da effetti ed elettroniche: questo è il primo pezzo eseguito da Oren Ambarchi, Johan Berthling, Andreas Werliin, e così saranno anche il secondo e il terzo.

Ibelisse Guardia Ferragutti e Frank Rosaly, musicisti originari di Bolivia e Porto Rico, sperimentatori nei territori di avant jazz, funk cumbia, presentano un genere meticcio in tutti i sensi, visto che il loro album inciso insieme si chiama Mestizx. Lo portano dal vivo con una band di cinque elementi. La presenza di Ibelisse è carismatica e comunicativa: dialogando col pubblico immagina di avere qualcosa in comune con l’Italia, dato il suo cognome. Tra le quattro lingue che parla, per il canto sceglie soprattutto il portoghese, eredità della sua parte di origine dal Brasile. Un live molto magnetico, che però verso la conclusione viene condizionato dall’arrivo del diluvio che i più previdenti si aspettavano (li riconosci dal k-way, che in un attimo diventa l’oggetto più prezioso del mondo).

Tutti a ripararsi, chi sotto un albero, chi sotto il portico, chi sotto il chiosco delle birre. A maledire la pioggia sono soprattutto i tecnici, che devono lavorare il doppio e al doppio della velocità per evitare danni alla strumentazione, spostando casse, stendendo teli, mettendo strumenti in sicurezza. Di tutto ciò noi pubblico beatamente non ci accorgiamo; l’acquazzone è moderato e gentile, ci fa stringere sotto le tettoie, ci fa socializzare coi vicini, contribuisce a creare atmosfera. E poi, come dice poco dopo il direttore artistico Alessandro Gambo, «se non piove non è Jazz Is Dead!», con riferimento non casuale a passate edizioni contraddistinte dalla pioggia. 

Dopo la pioggia, sul palco, il personaggio probabilmente simbolo di questa giornata. È Alabaster De Plume, sassofonista inglese in formazione trio con basso e batteria. Avvolto da kefiah, sventolando la bandiera della Palestina che campeggia in tutte le giornate del festival, imbracciando lo strumento da un lato e imboccato storto al lato sinistro della bocca, disegna geometrie sonore tremolanti come fossero quelle di un theremin, che diventano sempre più frenetiche col passare del concerto. E soprattutto, si prende interi minuti per declamare massime e sermoni, con parole scandite lentamente per essere più comprensibile: «Più voi siete voi stessi, più io riesco a essere me stesso»; o ancora, «Vivere è duro. E voi, cazzo, lo state facendo!». Poi prende posizione contro il genocidio di Gaza, e invita ad «andare avanti, con il coraggio del vostro amore!», vero e proprio mantra del suo set e dell’intera giornata. Una presenza vitale, vibrante, politica, che imprime un’energia unica alla giornata, e lascia un’impronta indelebile nel cuore del pubblico.

L’imbrunire ci porta in oriente. Hani Mojtahedy, cantante iraniana di origini curde, attiva nella difesa dei diritti della minoranza curda e delle donne sotto il regime, studiosa delle melodie tradizionali Sufi, porta il progetto Hjirok insieme a Andi Toma dei Mouse On Mars che si dedica alle basi elettroniche. Un set intenso, non così semplice da seguire appieno. È un momento in cui molte persone arrivano, o si spostano per prendere un panino o un drink, o si ritrovano dopo essersi cercati per tutta l’area.

L’ultimo atto sul palco all’aperto è l’Orchestre Tout Puissant Marcel Duchamp, collettivo di Ginevra, grintoso, camaleontico, affollatissimo. I musicisti risultano 14 ma nella pratica non hai nemmeno il pensiero di contarli tutti. Un big bang di free funk folk e fiati a volontà che si impone all’attenzione del pubblico sia per la debordante presenza sul palco, sia per il loro calore sonoro che nessuno si aspetta da una formazione dalla neutrale Svizzera. È una sorta di FestA!, per usare la parola che ha dato il tema al talk del pomeriggio e che anticipa ciò che ci sarà da adesso in avanti: le ore delle danze all’interno del Bunker.

Il dj set è inaugurato da Angie Back To Mono; a seguire la brasiliana Badsista, poi Manu Sol e Nina B. Nessun pensiero: il giorno dopo è festa e si può fare mattina. Anche chi non balla, girovagando nell’area, trova un’ambiente ospitale: la chicca dell’allestimento è l’area di decompressione, dove vige il silenzio, la quiete, le sedie e le poltrone, persino materiali antistress da manipolare. Al centro della location c’è un’area adibita a mercatino, con vinili, libri, tatuaggi, e c’è una seconda area mixer con musica che copre i momenti di pausa. Pura vita è la fontanella di acqua pubblica, di libero accesso per idratarsi, e chi presenzia dal pomeriggio a mattina ha bisogno di ricaricare spesso il bicchiere. Bicchiere che, va sottolineato, qui è davvero riutilizzabile, poiché viene reso sotto cauzione. Diversamente da molti luoghi in cui il bicchiere viene fatto comprare, andando così a ingrossare le pile di plastica rigida che non riutilizzeremo mai e che prima o poi butteremo via.

Un abbraccio virtuale al centinaio di giovani volontari e volontarie che hanno partecipato alla gestione dell’evento, hanno creato un bel gruppone affiatato e il loro entusiasmo ha contribuito a creare l’atmosfera bella e rilassata che il pubblico ha respirato in questa domenica di musica. Il direttore artistico Alessandro Gambo dice che è l’ultima edizione di Jazz Is Dead! per come lo conosciamo. Cosa vuol dire? Come si evolverà? Vogliamo davvero che JID! cambi? Queste domande resteranno senza risposta ancora per un po’. Per ora, però, l’edizione numero 8 a tema infinito riserva ancora una giornata di programmazione in collaborazione con Jazz Re:Found, alla quale seguiranno tre eventi di epilogo: il 6 giugno, 20 giugno e 4 luglio con Laura Agnusdei, Andrea Normanno Paolo Della Piana, al Planetario di Torino Infini.to.

 

foto di Natalia Menotti

Paolo Albera

Scrivo di musica per chi non legge di musica.

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