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Imaginal Disk: di psichedelia, dischi di memoria ed esistenzialismo pop

svg6 September 2024AlbumRecensioniLuca Parri

Il secondo album della band Magdalena Bay è un viaggio lisergico nelle dimensioni più progressive che il pop (elettronico) contemporaneo può offrire, tra grandi domande esistenzialiste e trame fantascientifiche


Originari della Florida e ora di stanza a Los Angeles, i Magdalena Bay in quasi dieci anni di carriera sono tra gli esempi più vividi di intersezione linguistica tra internet e musica. Spesso accostati al mondo hyperpop – più per intenzioni che per orizzonti musicali, confermando una certa acquosità delle etichette nel web – il duo ha catturato le attenzioni di pubblico e critica per il loro synth pop solo apparentemente frivolo e giocoso: approccio che gli è valso diversi accostamenti con un’altra band, i nippo-brittanici Kero Kero Bonito. La dimensione internettiana è chiaramente lo spazio in cui Magdalena Bay si trova più a proprio agio. Tra singoli virali su TikTok, una serie di EP accompagnati da video deliranti realizzati in green screen e il contributo produttivo alla svolta psichedelica del rapper di Atlanta Lil Yachty in Let’s Start Here.

Viene da sé quindi che il secondo LP – a tre anni di distanza da Mercurial World – porti dentro di sé estrema curiosità da parte dell’affezionato pubblico e di una critica sempre più attenta alla loro musica. Detto in poche parole Imaginal Disk – questo il titolo dell’album – è un lavoro futurista e futuristico sulle domande più grandi di noi, dove il suono dei Magdalena Bay viene espanso oltre ogni possibile limite attuale a disposizione di Mica Tenebaum e Matthew Lewis. C’è però tanto altro in questo disco, che parla (anche) di un disco.

Prima di tutto c’è una storia, che più che renderlo un concept album lo rende un album concettuale con un tema ricorrente. Una narrazione solo abbozzata che lega i brani tra di loro ma gli lascia sufficiente spazio per restare a sé stanti. Partendo dalla verità scientifica della transdeterminazione, la metamorfosi degli insetti che avviene tramite degli organi chiamati dischi immaginali, viene raccontata la vicenda che vede protagonista True e un insolito trapianto dalle forti tinte fantascientifiche. La donna viene sottoposta a un innesto di un disco nella corteccia frontale del suo cervello da parte di una razza aliena. All’interno del dispositivo si trova l’anello evolutivo mancante della nostra specie e la relativa consapevolezza del motivo per cui esistiamo. Il rifiuto da parte dell’organismo della protagonista la porta, poi, in un viaggio di riprogrammazione della sua prospettiva e in generale del significato stesso di esistenza umana. Questa narrazione è ovviamente uno specchio dei pensieri di Tenebaum, che in True vede un alter ego attraverso cui comunicare le proprie riflessioni sulle domande più grandi di noi. Questo doppio tra personaggio e artista è sempre presente in tutto l’album ed è esplicitato a più riprese: per esempio nella canzone d’apertura, intitolata eloquentemente She Looked Like Me!.

Ad accompagnare e tradurre in suono questi concetti troviamo un sofisticatissimo pop elettronico, che si prende i suoi tempi per espandersi in direzioni progressive e psichedeliche. Rifinito e raffinato sì, ma non snob, presuntuoso o di difficile digestione. Le quindici tracce di Imaginal Disk, piuttosto, sono delle composizioni a strati a disposizione di chi ascolta, che può così raggiungere il livello di profondità che desidera. Le stesure ampissime fluiscono l’una dentro l’altra, canzone dopo canzone: infatti, sono mixate tra di loro per dare l’idea di un unico flusso della durata dell’intero album. I momenti più trascendentali e lisergici – che sono tanti – non risultano mai pesanti, forzati o tenuti insieme più da uno sfoggio muscolare. Al contrario, ogni partitura di sintetizzatore e ogni arrangiamento è gestito per abituare chi ascolta. Veniamo accompagnati per mano all’interno degli spazi sonori e non ci sentiamo mai fuori posto, né si avverte mai che quella dimensione possa interessare di più a chi la sta componendo rispetto a noi che l’ascoltiamo.

In sostanza: un album concettualmente solidissimo, che suona attraverso evoluzioni prog mai prolisse o non necessarie. Un lavoro oculato e ragionatissimo che si pone ripetutamente domande esistenziali con il sorriso sulle labbra, con una leggerezza che non è mai mancanza di argomenti ma al contrario esplicita volontà. Un disco che, senza troppi sforzi, si è già ritagliato un posto nel podio del meglio di quest’anno.

Luca Parri

33 anni tra design, giochi, fumetti, cinema e musica con sempre le stesse prerogative: amore per l'underground, approccio geek, morale punk e gusti snob.

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