Si evolvono piano piano i DIIV, segnati dalle turbolenze di un viaggio che li vede più uniti che mai. Per Frog In Boiling Water, tra incertezze proprie e globali, sfide personali e relazionali, ci sono voluti cinque anni: il tempo per raccogliere “i cocci” e mettersi di nuovo alla prova
Sono passati oramai dodici anni dall’uscita di Oshin (2012), straordinariamente coerente e dall’anima dream pop, e ben cinque da Deceiver (2019), considerato il loro lavoro migliore in termini di evoluzione identitaria. Coraggioso e profondo, Deceiver è una spedizione nelle profondità di ciò che è danneggiato. In esso riusciamo a intravedere della luce, sia per il superamento di alcune problematiche personali che vengono esplorate all’interno dell’intera discografia della band, sia per quanto riguarda la coesione e la collaborazione di (quasi) tutti i membri nella scrittura.
«Non è una singola storia per tutto il tempo, come la maggior parte dei concept album […] si tratta della stessa storia, ma attraverso la lente delle diverse persone che la vivono». Come Faulkner in Mentre morivo – in cui i diversi personaggi narrano la loro personale prospettiva in ogni capitolo, contraddicendosi e sovrapponendosi l’un l’altro e mostrando la soggettività della realtà –, così i DIIV descrivono il loro nuovo album: Frog In Boiling Water.
Ogni frase sembra tagliare carne e ossa, a partire dalla prima traccia In Amber, dai suoni intensi e stratificati tipici dello shoegaze, con un massiccio uso di riverbero e delay sulle chitarre, voci ovattate che si fondono a riff eterei, linee di basso costanti e batterie ridotte all’osso.
«Remember they told us
The tide lifts our boats up
That ocean is dried out
And I can’t look away»
Quando ciò che abbiamo intorno è egoismo, guerra e scenari disumani, non vediamo spiragli di luce, proviamo rabbia di fronte alle ingiustizie a cui siamo costretti ad assistere, perché non possiamo guardare altrove: non esiste altrove. In questo siamo tutti vittime della stessa cosa, illusi da vecchie parole di conforto. «L’alta marea solleva tutte le barche», come diceva John F. Kennedy; quando un’economia funziona bene, tutte le persone ne traggono beneficio. «Quell’oceano è ormai prosciugato»: un riferimento letterale ai problemi climatici che riguardano tutti noi, un’accusa verso chi potrebbe agire e la conferma che siamo tutti sulla stessa barca. Toccherà a tutti pagarne le conseguenze.
Musicalmente, Frog In Boiling Water è un album che arriva inizialmente così – direi quasi paziente – con brani che si sviluppano lentamente, come Brown Paper Bag o Everyone Out, dove le chitarre di Smith e Bailey creano un gioco di effetti oscillanti e ondate di distorsione. Lo stato d’animo continua ad essere lo stesso, Smith sussurra che la sua mente non è un bel posto, che la sofferenza è una verità che gli altri non vorrebbero sentire, oramai semplice da nascondere dietro gesti e parole.
«Torn, faded
A brown paper bag
Stuck on the ground
Down, wasted
Just a brown paper bag again»
Nel brano che prende il nome dell’album – Frog In Boiling Water – il basso fornisce un groove costante, permettendo alle chitarre di esplorare elementi più atmosferici, espandendosi da toni morbidi verso suoni intensi e distorti. I pattern ritmici costanti e motorik di Reflected ci danno conferma di un’influenza ben precisa che aggiunge una qualità ipnotica e ripetitiva alla sezione ritmica: il krautrock dei Neu!, ad esempio. In effetti, oltre alle influenze più evidenti, come My Bloody Valentine e Cocteau Twins, Smith menzionò molto spesso durante le interviste gruppi come Can e Faust, eppure l’impronta di questi ultimi non è mai stata tanto evidente quanto adesso.
In Somber The Drums si fanno notare groove solidi e ripetitivi dal carattere quasi meditativo. La band sfrutta al massimo la dinamica, raggiungendo un picco centrale, le chitarre echeggiano, sono campane sopra un basso che pulsa. Mentre il ritmo di batteria cresce esponenzialmente, ogni parola sembra oramai incomprensibile. Il brano si orienta decisamente verso un’atmosfera più cupa, passando da momenti di quasi silenzio a esplosioni emotive con un ritornello che ci stritola. Finalmente! Quell’oscurità quasi familiare, che ci ricorda il suo predecessore, è adesso pregna di inquietudine. Forse quella speranza di Deceiver è andata persa?
È un lavoro celebrale, pare troppo anche per loro. Parlando dell’origine del titolo Frog In Boiling Water in un’intervista per NME, la band spiega come le fasi conclusive dell’album siano state le più tese e difficili per vari motivi, e che anche una cosa come la ricerca del titolo poteva essere motivo di tensioni. Smith racconta di come questa frase gli frullasse nella testa da quasi un mese prima di riuscire a condividere la sua idea con i compagni. «Non volevo che fosse qualcos’altro oltre a quello ed ero preoccupato su quale sarebbe stato il piano B, perché non c’era nessun piano B». Ma alla fine si sono trovati d’accordo, dice Caulfield: «è stato un sollievo, considerato che l’album è piuttosto impegnativo, mi piace che il titolo sia serio ma al contempo scherzoso».
Saranno forse la palpabile disperazione e lo sconforto a rendere Frog In Boiling Water coinvolgente e magnetico, ai miei occhi simile a una raccolta di scatti fugaci. I DIIV sono oramai lontani anni luce dalle sonorità solari iniziali, percorrono strade sterrate e si mettono alla prova come entità unica, correndo rischi, su un filo di incertezze. La band si prende del tempo per costruire, senza fretta, invitandoci gentilmente a immergerci gradualmente, attraverso suoni che crescono delicatamente e non esplodono, piuttosto si gonfiano.
Sembra chiaro ormai che i DIIV non abbiano intenzione di dare spazio a quell’energia vivace dei primi due album, o perlomeno creare ganci immediati. Questo album non sarà ricco di successi commerciali, ma conferma la capacità della band di evolversi in modo maturo, dando priorità, all’interno del loro lavoro, alla sperimentazione artistica.