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I segni del fango non fermano la musica. A un anno dall’alluvione, Manuel Agnelli a Conselice

Il live di Manuel Agnelli a Conselice, in mezzo ai campi distrutti dall’alluvione che ha colpito buona parte della Romagna, è un vero simbolo di rinascita. Un concerto di due ore, in un luogo raggiungibile solo a piedi, per non dimenticare ciò che è stato e ricordarsi di guardare avanti


A distanza di un anno dalla disastrosa alluvione che ha colpito buona parte della Romagna, in mezzo ai campi della pianura di Conselice, allora sommersa, oggi si muove qualcosa.
È una fila di persone in cammino. Pestano quella terra dove il fango, seccato dal sole, è ancora visibile. Qualche chilometro da percorrere per raggiungere il concerto di Manuel Agnelli, uno degli otto eventi della rassegna Romagna in Fiore, a sua volta parte della longeva e annuale manifestazione culturale chiamata Ravenna Festival.

Il luogo scelto per il concerto non è casuale e nemmeno la volontà di renderlo raggiungibile unicamente a piedi. Si è costretti ad attraversare quei territori fragili, colpiti dall’esondazione del torrente vicino, rimasti coperti dall’acqua e dal fango per settimane.
Quando si cammina si colgono particolari che troppo spesso sfuggono al nostro occhio; infatti, solo passeggiando è possibile vedere che la Romagna, da sempre luogo ospitale e sincero, è ripartita. Tra il fango secco, sotto un sole nuovo, alcune coltivazioni della zona hanno ripreso colore.
Il palco è stato montato in un’immensa distesa di terra arida, non ancora pronta a dare frutto, simbolo del disastro che è stato e che non va dimenticato.

Aprono l’evento, in totale orario, i Little Pieces of Marmalade. Dopo qualche chilometro di cammino in mezzo al silenzio della natura, il loro suono irruente arriva un po’ a sorpresa per il pubblico non molto attento, che cerca un po’ di riparo nei pochi spazi disponibili all’ombra, mentre alcuni temerari stendono qualche telo sotto al sole, ma davanti al palco.
Un’apertura al live davvero breve, perché dopo soli 20 minuti Manuel Agnelli sale sul palco e con lui anche Beatrice Antolini – tastiere, basso e voce – e Giacomo Rossetti, al basso e alle percussioni.
Restano a completare la band i componenti dei Little Pieces of Marmelade, Frankie alla chitarra e DD alla batteria.

Manuel Agnelli comincia dalle canzoni del suo album da solista – Ama Il Prossimo Tuo Come Te Stesso, uscito nel 2022 – e il pubblico comincia ad animarsi. I fan raggiungono i primi posti, rischiando il linciaggio di chi invece continua imperterrito a rimanere sotto palco, ma seduto, come fosse un concerto a teatro. L’intolleranza di chi pensava di farsi tutto il concerto come se fosse stato in spiaggia arriva al punto tale che un uomo strattona una ragazza in piedi davanti a sé e le dice con tono secco: «siediti!».
Assisto allibita a questa scena, alla mancanza di cortesia, all’impazienza di certe persone, all’ incapacità di godere del momento – che sfocia nella rabbia in modo sempre più rapido – e all’indisposizione della gente che vuole tutto e subito. Nessun problema, si risponde a tono a questo soggetto che non chiede scusa, ma dovrà ricredersi sul suo voler stare seduto. Poco dopo, la folla si scalda davvero – e non per il sole – con l’arrivo dei pezzi degli Afterhours. Tutti – o quasi tutti – sono in piedi sotto palco a cantare, alzare le mani, lasciarsi travolgere dalla voce profonda e intensa di Manuel Agnelli, che da vero professionista macina un pezzo dietro l’altro, instancabile e chirurgico nella precisione con cui regola la sua voce e maneggia la sua chitarra.

Una ragazza grida: «nudo!», Agnelli risponde: «i capezzoli sono belli, ma siamo qui per l’arte!». Una risposta eccezionale, che mi ha fatto tanto riflettere. Troppo spesso ho assistito a scene di uomini dello spettacolo in serio imbarazzo, perché apostrofati un po’ volgarmente da qualche ragazza. Certe allusioni, che siano fatte da un uomo o da una donna poco importa, sono semplicemente inopportune.

Tutta la band continua a tenere un ritmo veramente sostenuto, solo due pause di pochissimi minuti e poi il concerto prosegue. Manuel Agnelli risponde ai suoi ascoltatori e scherza con loro, dice che terrà la camicia di pelle per solidarietà con il pubblico, visto il forte caldo. Dalle prime file qualcuno urla qualcosa riguardo all’attuale situazione di guerra nel mondo. Agnelli si ferma e lancia un messaggio importante: «La Palestina tu intendi? Forse nel nostro settore ci si sta schierando poco, ma indipendentemente da come la si possa pensare una cosa sola conta: cessate il fuoco!».

Agnelli risponde con eleganza alle domande che il pubblico lancia. Anzi, lui stesso si avventura in argomenti delicati. Uno spettatore in prima fila inveisce contro il Papa e l’artista risponde: «Beh! Credo che il suo mestiere non sia tra i più semplici del mondo, no?». Quello che sembrava essere l’inizio di un’apologia del papato prende tutta un’altra piega quando Agnelli racconta di essere stato dal Papa. «All’inizio mi ha trattato come un fratello, poi mi ha guardato malissimo, forse perché mi ha riconosciuto. Allora voglio dedicargli questa». Pubblico in religioso silenzio, pennate di chitarra distorta e Manuel Agnelli, con voce altrettanto metallica, attacca le prime parole di 1.9.9.6, che sembrano scritte per quel momento.

«Porco Cristo, offenditi!
C’è una dote che non hai,
non è chiaro se ci sei!»

Il concerto dura due ore abbondanti, nessuno è rimasto seduto. O meglio, nessuno che abbia desiderato partecipare veramente e lasciarsi trasportare da una musica potentissima e da un live ricco di emozioni.

Comincia a calare il sole, si torna indietro tra le vigne e i campi finalmente verdi. E mi sento meno arida anche io.

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