Arssalendo prosegue il suo viaggio tra edere digitali e rovi di cavi, alla ricerca di un po’ d’intimità in un mondo che non sappiamo se salvare o distruggere
Puoi chiamare se hai paura è il passo successivo nell’universo sonoro di un artista che non sapevamo di meritare. La musica di Arssalendo è uno slittamento continuo tra delicatezza ed energia, tra pietà e violenza che fin dai suoi progetti precedenti, come Ma tu ci tieni a me? e Tutti ammassati senza affetto, ci porta a rivalutare la nostra sporcizia interiore con la sua visione hyperpop ed emocore delle cose. D’altronde, Arssalendo è la versione contratta di Alessandro Catalano e, se omen nomen, allora è proprio dall’inciampo, dal glitch, che dobbiamo ripartire per far nascere qualcosa in un mondo dove l’ideale di perfezione e funzionalità mercifica persino i sentimenti. Anche nel suo ultimo album, l’autore abbraccia la logica di una generazione che è nata con i mezzi digitali in mano e che costruisce relazioni perlopiù attraverso la mediazione di uno schermo. Ormai, però, questo dispositivo ci appare un po’ insulso e incrinato, una superficie scura che riflette il nostro volto in modo diluito e frammentato.
Alcune sonorità di Arssalendo sono sempre state esplosive, affilate come pixel scheggiati, e di certo non mancano in Puoi chiamare se hai paura. Ma il panorama iniziale sui cui l’album apre la porta con 1Respiro è desolato e quasi post-apocalittico, sostenuto da un giro di chitarra lento e pietoso. La sensazione che si prova durante l’ascolto di tutto l’album non è dissimile dalla lettura di Akira, celeberrimo cult del cyberpunk giapponese anni ‘80, dove la narrazione esordisce con una certa impotenza di fronte a una città che viene devastata da una bomba nucleare, in silenzio. Come il protagonista di Akira, d’altronde, Arssalendo sembra quasi frutto di un esperimento distruttivo e deve fare i conti con quel potere post-umano che ha ricevuto. Questa incredibile energia lo rende, infatti, anche un ammasso mostruoso di carne e rottami che ci prega di toccare e comprendere in Corpo mondo. Così, l’anima conflittuale che caratterizza i temi e la scrittura dell’artista rimarca sempre l’importanza del corpo nell’esperienza umana e, soprattutto, nella fondazione dell’intimità. Per esempio, le tensioni nichiliste di Piccolo ci introducono nel desiderio tenero, ma quasi ossessivo di non sentirsi più così soli e lontani dalle altre persone. Infine, con Braccio, unghia e polmone, tutta l’angoscia formatasi nella prima metà dell’album si scioglie in un glorioso ritrovamento con l’Altro.
E la luce si posa sopra un tavolo blu sembra, invece, aprire una prospettiva prima inedita nelle armonie e nella filosofia di Puoi chiamare se hai paura. Ci ritroviamo in una dimensione vastissima, eppure rarefatta e quasi accecante, come se fossimo tra le montagne a centinaia di migliaia di metri d’altezza. Le emozioni scomposte e agitate dei brani precedenti sembrano venire meno durante Diventa grande e poi passa e Sole sulla pelle, in favore di una comprensione più matura di quel senso di solitudine su cui si è interrogato Arssalendo finora. Una cassa più “educata” ritma il pensiero di un giovane che deve accettare la realtà delle cose, resosi conto che la felicità è una sensazione di un momento e che non ci possiamo fare nulla.
L’unica cosa che ci resta dopo la ribellione, l’agitazione compulsiva e la cassa a tutto spiano è un piccolo, debole senso di tenerezza che si condensa in Paura, paura. Come nella copertina dell’album, secondo Arssalendo ci teniamo per la punta delle dita ed è importante non mollare la presa, ovunque stiamo andando. Puoi chiamare se hai paura, perché dobbiamo proteggere quello spicchio di vita che riusciamo a condividere nonostante tutto: questa è intimità.