Il duo romano infuoca la festa di Radio Rock con uno spettacolo che non lascia spazio a cellulari alzati, ma solo a bocche spalancate e mosh pit caciaroni
I Calzeeni aprono le danze con energia da vendere. Il power trio porta dal vivo dei brani super incazzati: veloci sfoghi gridati in lingua italiana accompagnati da parti strumentali suonate fortissimo. Continuano senza sosta, aumentando il tiro a ogni canzone. La sala si riempie di un pubblico sempre più sbalordito da una performance travolgente; vicino a me si sentono persone esclamare «ahó, forti sti Carzini!». In quel momento mi rendo conto che la band romana ha in pugno lo spettacolo e può lasciarsi andare a siparietti più o meno studiati tra una canzone e l’altra. Il finale è ancora più forte, Marco butta giù l’asta del microfono contorcendosi insieme a Michele, mentre alla batteria Dimitri raggiunge una velocità e una potenza degni del migliore punk hardcore; la gente è calda, alcuni tentano un pogo che si spegne ancor prima di nascere, ma una cosa è certa: i Calzeeni hanno spaccato. Loro lo sanno, il pubblico pure.
Una breve attesa ci separa dai Bud Spencer Blues Explosion, storica band romana composta da Adriano Viterbini e Cesare Petulicchio, veterani della scena musicale italiana.
Dal pubblico si sentono già urla adulatorie, mentre le luci si spengono e un’immagine vulcanica appare in fondo al palco.
Il duo apre il concerto con quattro brani che ci portano cronologicamente al presente. Da Hey Boy Hey Girl a Giocattoli, da E Tu? fino a Stranidei, ripercorriamo quattro album dal 2009 al 2023, anno di uscita dell’ultimo lavoro in studio, Next Big Niente, in cui la band ha probabilmente raggiunto il picco della sperimentazione sonora.
La complessa produzione in studio viene fedelmente riportata sul palco, grazie a una serie di sequenze, tappeti sonori ed effetti che vengono abilmente controllati da Cesare o Adriano, amalgamandosi al playing di due musicisti che sanno imbrigliare il tempo come pochi.
Il live prosegue con Hamburger, per poi ributtarsi in Miku 5, Medioriente e Insynthesi, sempre tratte da Next Big Niente. Magistrali improvvisazioni fungono da ponti tra le canzoni, conferendo una dinamica unica allo spettacolo. Si passa da momenti di pura energia e sogni lisergici, a botta e risposta delicati, dove i due musicisti sembrano sfiorare appena i loro strumenti.
La loro musica arriva sottoforma di pulsazioni lente, sincopate, intervallate da cascate di note aliene e fill annodati.
Testa china e capelli che ondeggiano tra i riflessi dei riflettori, il corpo di Cesare si muove come spinto da un mantra, leggero e costante. I nervi delle braccia si tendono per alternare ritmi circolari e impeti fulminei sul kit.
La chitarra di Adriano sembra provenire da un delirio cyberpunk, la sua presenza scenica è magnetica: i suoni che escono dallo strumento e le parti che incastra tra le linee vocali sono un complicato rompicapo che il pubblico segue a bocca aperta.
I Bud Spencer dimostrano una padronanza eccezionale della dimensione live, al punto da far sembrare semplice il controllo di suoni che normalmente verrebbero associati alla computer music.
Le trame del blues vengono pervase da ambienti e sonorità elettroniche, che contaminano quei groove solidi e serrati come un virus informatico che si diffonde in un vecchio sistema, creando glitch, distorsioni, alterazioni improvvise.
Poi raggi laser, loop, reverse, ripetizioni: a volte sembra di assistere a un concerto di musica dubstep, con scariche elettriche, sirene e tutto il resto.
Nonostante ciò, la loro esibizione è la quintessenza della musica suonata. Ogni nota, ogni battito e ogni suono prodotto sono il risultato di una profonda interazione umana, qualcosa che le macchine non potranno mai riprodurre con la stessa autenticità.
La sinergia tra i due è talmente evidente che sembra quasi abbiano un legame neuronale, una connessione che va oltre la semplice esecuzione musicale. La loro capacità di creare e mantenere un’atmosfera così intima e coinvolgente, nonostante il volume devastante che esce dagli impianti, è straordinaria.
A un certo punto mi accorgo di qualcosa di molto raro: il pubblico non ha quasi mai il cellulare in mano. Intorno a me vedo gente che ascolta con attenzione o che partecipa attivamente con poghi sfrenati, piuttosto che distrarsi con i telefoni. Questo dimostra quanto l’esibizione sia travolgente, tanto da non lasciare spazio a comportamenti tipici dei concerti moderni.
Avvicinandosi alla fine, dopo un’interpretazione tra l’ambient e il noise di Vandali, il duo esegue Mi Sento Come Se, rompendo ogni atmosfera fluttuante con un riff distortissimo e un groove impetuoso. Adriano saluta, ringrazia. I romani scendono tra gli applausi e i fischi, mentre una sequenza di chitarra risuona ancora nella sala. Il viaggio è finito.
Un’esperienza di musica dal vivo immersiva, consigliata a chi vuole vivere uno spettacolo completo di una delle poche band italiane che non ha paura di sperimentare e, soprattutto, suona da paura!