I Been Stellar, band di New York che attinge a piene mani dal sound della sua città, arriva finalmente in Italia, a Milano al Circolo Arci Bellezza. Un concerto dal pubblico variegato, bellissimo e imperfetto come lo stesso disco d’esordio della band, Scream from New York, NY. Imperfetto, perché un esordio può sempre migliorare; bellissimo, perché ammettiamolo, il fascino delle chitarre distorte non muore mai
È un mercoledì pomeriggio, tardo pomeriggio. Fuori è già buio da un po’ e sta iniziando a fare sensibilmente freddo. Anziché prepararsi per il solito calcetto infrasettimanale, ci si prepara per una trasferta in terra lombarda, direzione Circolo Arci Bellezza, Milano: suonano i Been Stellar.
Ecco, chi sono i Been Stellar? Sono un gruppo semplice, oserei dire. Uno di quei gruppi di cui, ogni tanto, ci si torna ad innamorare. Due chitarre, un basso e una batteria. Non c’è bisogno d’altro. Arrivano da New York, quest’anno è uscito il loro primo disco – Scream from New York, NY – e quest’estate sono stati il gruppo spalla dei Fontaines DC nelle loro date americane. Sono in tour in Europa da inizio novembre, hanno iniziato con Amsterdam e, al ritmo di più o meno una data al giorno, sono finalmente arrivati anche in Italia.
L’ Arci Bellezza di Milano è un bel posto. Non sto banalizzando e non mi mancano le parole: l’Arci Bellezza di Milano è proprio bello. L’entrata dalla strada si apre su un piccolo corridoio che conduce ad un patio esterno, arredato con tavolini e murali alle pareti. Per il bar e la sala concerti bisogna salire una piccola rampa di scala, poi si è dentro. La prima sala è quella del bar e sembra un locale d’altri tempi, con la parete a specchio dietro il bancone. Per informazione: i prezzi sono accessibili anche per chi non è di Milano. Poi, la sala concerti. Personalmente, una delle migliori, almeno esteticamente, che abbia mai visto. Varcandone la soglia, si ha l’impressione come di entrare in un teatro, uno di quelli arrabattati e arrangiati all’interno di un posto che teatro non è. Il palco è grande, ma non grandissimo e la sala, contro ogni aspettativa, è abbastanza piena.
Dopo una ventina di minuti d’attesa, la band sale sul palco. Non so bene cosa aspettarmi e non so molto di loro. Ma so, in compenso, perché mi trovo lì a vederli. Oltre alla nostalgia per la semplicità a cui accennavo poco fa, il loro sound è interessante. Non sono di New York, ma si sono conosciuti e formati lì e, inevitabilmente, questo loro primo disco attinge da tutto quello che New York è stata – da qui la coolness non coolness del titolo: gli Strokes, gli Interpol, gli LCD Soundsystem, la scena di New York di inizio millennio che tanto, anzi, tantissimo ha dato a tutti quegli artisti che stiamo ascoltando ora. Poi, ammettiamolo, se una band nasce, cresce e fiorisce nella Grande Mela, qualcosa vorrà pur dire. Perché New York è una città speciale, tanto in positivo quanto in negativo; è una città che nel corso dei decenni ha dato i natali ad artisti e band immensi, ma è anche una città da sempre in grado di cristallizzarsi, crogiolandosi nell’aura del suo passato illustre mentre il “nuovo” vola altrove. I Been Stellar, però, hanno preso tutto quello che di buono c’era da prendere da questa città.
Sul palco sono in cinque: batteria, due chitarre, basso e voce. Partono forte. La batteria suona dura, sporca, come se ci trovassimo a un live dei Velvet Underground – guarda caso, di nuovo New York –. Il primo pezzo in scaletta è la title track del disco, Scream from New York, NY. Sguardi e pensieri di tutta la sala, me lo sento, sono su Sam Slocum, frontman della band. Il suo modo di cantare, di urlare tutto ciò che ha dentro sul microfono, contorcendosi, muovendosi e ascoltandosi prende a piene mani da quel Dio sceso in terra che è Julian Casablancas; però, senza autotune. Suonano come se fosse la loro ultima data: senza pause, le chitarre arrivano dritte in faccia al pubblico. E che pubblico. L’età è molto variegata. Si va dai giovani ventenni ai cinquantenni che li conoscono come se fossero il gruppo con cui sono cresciuti fin da adolescenti. Davanti a me ho una coppia, anche loro sui cinquanta, che muove testa e corpo a tempo in ogni brano. Lei in particolare, caschetto fresco di messa in piega, si diverte a far ballare quei capelli. È sempre bello e interessante trovarsi in queste situazioni, in cui un vero e proprio target di pubblico non esiste. Però, al contempo, queste situazioni suscitano in me una riflessione: dove sono i giovani? Attenzione, lungi da me dilungarmi in discorsi da boomer ; si tratta, per l’appunto, di una semplice riflessione. Sì, di giovani ce ne sono, ma sono quelli della mia, della nostra bolla; quelli che impazziscono per i dischi dei Fontaines DC e ascoltano post-punk da mattina a sera. Parliamo, però, di una nicchia, di pochi eletti. Non è la prima volta che mi ritrovo a concerti come questo, in cui chi suona è giovane e parla di cose da giovani – che brutta espressione, chiedo scusa – ma poi sotto palco si ritrova un pubblico per lo più anziano. Lo so, probabilmente non è questa la sede giusta per affrontare un discorso così complicato e articolato, ma la domanda in me sorge spontanea e al pensiero, come sempre, mi incupisco.
Ma torniamo al live: i Been Stellar, dall’alto di un palco illuminato da splendidi giochi di luci, stanno regalando uno spettacolo di rara bellezza. In chiusura All In One, con le sue schitarrate ruggenti, possenti, assolute. È stato tutto così veloce. Zero fronzoli, zero pause. L’album suonato per intero più qualche bis alla fine. Dieci pezzi e poco più. Oggettivamente, non ci sono molte critiche da fare, forse soltanto una, indirizzata però alla scenografia: la batterista, Laila Wayans, era completamente ricoperta dal fumo. Praticamente non si vedeva mai, la si poteva solo ascoltare.
In conclusione, Scream from New York, NY e Been Stellar portano in dote una verità, forse banale o forse no, che questo live ha confermato. Anzi, due: la prima è che si può esordire soltanto una volta; la seconda, che gli esordi non sono mai perfetti. Un esordio comporta per l’artista tutta una serie di emozioni che possono spingerlo a ragionare su quello che davvero vorrebbe fare, anziché limitarsi ad assecondare quello che il pubblico si aspetterebbe. Il disco dei Been Stellar è imperfetto sotto più punti di vista: il primo, quello che più salta agli occhi – anzi, alle orecchie – è la sua tracotanza. Si tratta di un album il cui suono vuole arrivare dritto nella testa di chi ascolta. È impetuoso, è troppo diretto. Più semplicemente, è un disco adolescenziale, giovanile. Allo stesso tempo, però, è proprio grazie a questo suono così “invadente” che la musica di questa band risulta così affascinante. Ascoltandoli in cuffia e guardandoli sul palco, si percepisce immediatamente quanto questo gruppo abbia talento e appare lampante quale sia il margine di miglioramento. La sensazione è una sola: se solo trovassero il modo di lasciare più spazio a ciò che davvero vogliono raccontare, magari rinunciando all’ossessione per la velocità che li porta a rincorrere i bpm scanditi a razzo dalla batteria, potrebbero tranquillamente regalare al pubblico qualcosa di indimenticabile.
A fine concerto, i ragazzi della band si recano al banchetto del merch per vendere qualche cd e per scambiare due chiacchiere con i presenti. Li osservo e, dentro di me, li ringrazio. Torno a casa felice, in macchina riascolto il loro disco. Che bellezza.