I primi due giorni del festival ospitano Colapesce Dimartino ed Explosions In The Sky, insieme a una line-up ricercata ed eterogenea. Castelbuono si riempie di turisti e amanti della musica dal vivo, dimostrando per l’ennesima volta di essere un gioiello da preservare a tutti i costi
In una caldissima giornata sicula, mi metto in macchina in direzione Castelbuono. Come tanti altri partecipanti, alloggio in un paese vicino ma nonostante questo i collegamenti sembrano tutt’altro che semplici. Decido quindi di prendere l’autostrada, che dovrebbe garantirmi di arrivare mezz’ora prima dell’inizio del Festival. Come non detto. In uno dei pochi caselli “funzionanti” della Sicilia, purtroppo, si riscontra un problema e mi tocca passare un’ora e mezza in coda per percorrere pochi chilometri.
Approdo a Castelbuono in ritardissimo e anche se non sono ancora neanche le 19 i parcheggi sono un miraggio. Dopo un’impervia salita, mi affaccio tutto trafelato al bellissimo Chiostro di San Francesco, ma ormai gli artisti di The Sound Of This Place 2024 erano a fine performance, per non parlare dei No Windows che avevano già finito da un pezzo.
Non mi resta che aspettare l’inizio dello spettacolo all’Ypsi Once Stage in Piazza Castello.
L’atmosfera in paese è vibrante, tanti turisti stranieri e appassionati di musica da tutta Italia si godono un gioiellino siciliano caratterizzato da vicoli tortuosi suggestivi e piazze che sembrano una cartolina. Tutto il centro è adibito a festa, la musica invade i rioni passando per le strade con festoni e manifesti targati Ypsigrock. Piazza Castello si trasforma in un’enorme arena che ospita un palco degno di nota. Sulla cima di una gradinata con due accessi laterali svetta un imponente castello costruito nel XIV secolo a difesa dell’antico casale, chiamato proprio Ypsigro ovvero, in bizantino, “luogo fresco”: da qui il nome del festival. Ai lati della piazza sono presenti aree merch, bar e food. Il pubblico è già disposto lungo le gradinate che si sviluppano su vari livelli di altezza, garantendo una visione ottimale anche da seduti.
Durante l’attesa le persone si comportano come in una grande festa di paese; tra chiacchere e risate gli Oracle Sisters salgono sul palco e accendono la serata dolcemente. Una scaletta che tiene la dinamica sempre costante, con ballad e melodie dal gusto retrò. Andamenti semplici, assoli essenziali con chitarre ispirate agli anni ’70, grandi accordi di pianoforte e armonie a più voci che ricordano tanto i parigini Papooz. La band, anch’essa con base a Parigi, parla al pubblico in inglese, francese e tanto italiano, rivelandosi super efficacie per scaldare gli animi del parterre che inizia finalmente a riempirsi. Durante Tramp Like You il gruppo interagisce col pubblico, invitandolo a ondeggiare con le mani tese in aria e legando definitivamente con le prime file, le quali addirittura, durante il lungo outro finale, fanno partire il primo dei tanti crowd surfing.
In men che non si dica, la bellezza della tradizionale piazza italiana si sposa perfettamente con una vibe da festival internazionale, creando un’atmosfera fantastica, in una location più unica che rara. Dovunque ci si sposti, l’acustica è gradevole e ogni postazione consente uno scorcio diverso sul palcoscenico, permettendo allo spettatore di muoversi liberamente per la venue senza perdersi niente della performance. Sul castello vengono proiettati dei visual, che insieme all’istallazione della scritta “Ypsigrock” creano una perfetta continuità con lo spettacolo sul palco, avvolgendo il pubblico a 360 gradi.
Gli Egyptian Blue ingranano subito un’altra marcia e ci restano fino a fine spettacolo. Dopo alcuni problemi tecnici con un amplificatore la band di Brighton non si scoraggia e spettina tutti con canzoni veloci e suoni grezzi. L’interazione col pubblico è quasi assente, la musica è giustamente l’unica a comunicare facendo impazzire il pubblico che si abbandona a poghi e cori. Il sound della band è sicuramente attuale con qualche influenza più indie rock di conterranei come i Foals. Ritmi incessanti e martellanti costringono il cantante a togliersi la camicia dal caldo, mentre il chitarrista si accende una sigaretta, fotografando così un’istantanea dell’attitude tipica di una band post punk inglese.
Nonostante l’inizio sia caratterizzato da un pubblico ancora in fermento per la precedente performance, i Jadu Heart conquistano lentamente la scena grazie a un’esibizione che sa combinare energia e delicatezza in modo impeccabile. Personalmente, emergono come il progetto musicalmente più interessante della serata, grazie a una serie di brani dal groove trascinante, in cui la voce vellutata e leggera di Diva si alterna a momenti di grande intensità, raggiungendo dinamiche quasi gridate. Questo contrasto permette di mantenere sempre alta l’attenzione degli spettatori, sebbene siano presenti sviluppi articolati che rendono ogni canzone un vero e proprio viaggio sonoro. Uno degli elementi più interessanti è l’uso del violino, che si rivela uno strumento mutevole e sperimentale nelle mani della violinista, compagna di viaggio di Diva Sachy Jeffrey e di Alex Headford. Da sequenze melodiche delicate a tappeti sonori sospesi, passando per l’uso del pizzicato, il violino contribuisce a creare atmosfere eteree che, se inizialmente non conquistano subito il pubblico, alla fine lo seducono completamente.
Colapesce e Dimartino vengono accolti da fischi e urla, i volti del pubblico si accendono di entusiasmo: la piazza esplode di energia. Alle loro spalle, una band straordinaria composta da Enrico Gabrielli (Calibro 35), Nicolò Carnesi, Giordano Colombo, Adele Altro (Any Other) e Alessandro Trabace.
Fin dai primi istanti, con la luce che sfiora di taglio la spiaggia mise tutti d’accordo, l’energia dei due artisti è palpabile, nonostante Colapesce sia infortunato a una gamba. La scaletta è un susseguirsi di successi, durante i quali il pubblico canta ogni ritornello a squarciagola. Ogni dettaglio del concerto è stato curato nei minimi particolari: siparietti comici, intermezzi spettacolari, passaggi strumentali esplosivi e un’esecuzione acustica di Majorana in cui il duo ha mostrato tutta la sua intimità e complicità.
Non manca, poi, qualche battuta politica: nell’introduzione di Ragazzo di destra, ad esempio, la canzone viene descritta come un ritratto dell’Italia contemporanea. Trova spazio anche un riferimento alla politica locale, con una frecciatina a chi finanzia il festival, escludendo ironicamente la Regione. In segno di rassegnazione verso l’attuale governo, la band inserisce una cover di Bandiera Bianca: inutile dire che il pubblico impazzisce, agitando decine di magliette in segno di partecipazione.
L’esibizione si conclude con un lungo applauso, accompagnato dai ringraziamenti ai tecnici e all’organizzazione. La partecipazione del pubblico è stata totale, confermando ancora una volta il valore di due degli artisti più rilevanti del panorama musicale italiano, in una delle collaborazioni più apprezzate di sempre.
Al secondo giorno Castelbuono sembra ancora più gremita. Finalmente riesco a raggiungere l’Ypsi & Rock Stage al Chiostro di San Francesco dove, in mezzo a un perimetro colonnato, si erge un piccolo palco che sta per ospitare Marta Del Grandi e Julie Byrne. All’interno del deambulatorio è stato collocato un bar che serve cocktail per conto di uno degli sponsor del festival: Molinari. Quando le cantautrici iniziano a suonare purtroppo la piazza si divide in due fazioni: chi è rapito dalla loro voce dolce e intima e chi invece chiacchiera come in pizzeria, apparentemente indifferente. Nonostante questo, l’emozione della performance è riuscita a farsi strada, catturando l’attenzione anche in mezzo al caos e arrivando fino alle file più lontane.
L’atmosfera è sempre allegra e super chill, anche Colapesce Dimartino in borghese riescono a unirsi all’audience. Intanto, in piazza, un signore con la chitarra intrattiene decine di persone che iniziano a ballare in mezzo ai turisti che si godono un aperitivo. L’impressione è di trovarsi a una festa di paese, o almeno fino a quando i Chalk salgono sul palco. Il clima cambia drasticamente: suoni distorti dal gusto industrial, noise e post-punk. Il trio si muove in maniera spettacolare, coinvolgendo fin da subito il pubblico che inizia a pogare. Mantra ipnotici, droni di synth profondi e cupi mandano in trance l’audience che sembra spiazzata da questo inizio spettacolo, ma non è ancora niente in confronto a quello che accadrà con i Model/Actriz.
La band newyorkese originaria di Boston si esibisce in uno spettacolo che sembra voler usare tutto il volume dell’impianto e tutto lo spazio della venue. Cole Haden inserisce nello spettacolo tematiche di genere queer, con testi come «as a gay person working in a genre that’s not very outwardly gay», intonati indossando gonna e scarpe col tacco. La sua libertà non si limita al figurativo: durante tutto lo show si muove per la piazza, anche a 30 metri dal palco o scalando il cornicione delle gradinate, interagendo continuamente con membri del pubblico in situazioni al limite della performance teatrale. La band impazzisce e incita mosh pit continui. Ritmi insistenti e testi ripetitivi, bassi martellanti e chitarre stridenti sfociano poi in momenti al limite del trash con cassa dritta, che trasportano tutti in un locale gay berlinese. Il gran finale pieno di noise e feedback, grida disperate e distorsioni; poi, finalmente, gridano a squarciagola «Free Palestine» (per ora gli unici artisti a esporsi sul palco dell’Ypsigrock 2024).
Lo stage sembra esploso dopo i Model/Actriz. Ho subito pensato che sarebbe stato difficile per la band successiva, senza contare però che stiamo parlando dei Royel Otis. Gli australiani riescono a portare con allegria una ventata di divertimento e positività che diventa dopo poco euforia collettiva, soprattutto grazie ai loro singoli più famosi o alla cover Murder On The Dancefloor di Sophie Ellis-Bextor. Uno stile inconfondibile, canzoni cantate all’unisono che sono dei veri e propri anthems, chitarre sbarazzine e ritornelli super coinvolgenti. La piazza si scatena davanti a un’esibizione che mette tutti di buon umore. La loro musica sembra infondere gioia a tutto il target dell’audience: c’è chi balla, chi salta, chi poga, chi canta spensierato. La voce di Otis, così particolare e coinvolgente, sembra fanciullesca e malinconica al tempo stesso, soprattutto quando il duo suona Linger dei The Cranberries, insieme alle voci di tutti i presenti. Insomma, i Royel Otis hanno spaccato e ora le luci si stanno nuovamente accendendo per gli Explosions In The Sky.
La band, headliner della serata, fin dall’inizio cattura l’attenzione lodando la Sicilia e il Festival in un sorprendente italiano, per poi lasciare spazio a ciò che più li ha resi celebri: far parlare la propria musica. Le atmosfere che creano sono semplicemente spettacolari, con tappeti sonori che si dispiegano in veri e propri paesaggi cinematografici. È impossibile non chiudere gli occhi e lasciarsi trasportare, ognuno perso nel proprio film mentale.
La serata è resa ancora più magica dalla vicinanza alla notte di San Lorenzo: mentre la band esegue crescendo mozzafiato e stacchi onomatopeici, il cielo regala lo spettacolo di qualche stella cadente. I muri di suono sono potentissimi, con volumi così alti da far vibrare anche le ultime file, creando la sensazione di fluttuare nel cosmo. Un’esperienza suggestiva e unica, capace di trasportare gli spettatori in un’altra dimensione, sospesa tra la terra e il cielo.