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Who Let The Dogs Out: il grido di battaglia delle Lambrini Girls

Il primo album delle Lambrini Girls è un affronto a muso duro contro le ingiustizie sociali che continuano a dilaniare un mondo sempre più caotico, in cui la musica si fa strumento politico per esprimere il proprio essere presenti e coscienti


Nate nel 2020, in pieno lockdown a Brighton, le Lambrini Girls sono figlie della rabbia che una nuova generazione di artisti e artiste non ha più intenzione di reprimere; orde di band le cui chitarre non suonano ma martellano, le cui voci non cantano ma strillano. Band che sanno cosa vuol dire coprire un ruolo politico – in quanto individui dotati di un cervello e soprattutto di una coscienza – con le proprie canzoni, il cui messaggio non è più un qualcosa da leggere fra le righe. Al contrario, parliamo di band i cui testi sono quanto di più semplice e diretto ci sia: testi viscerali, da urlare con tutto il fiato che si ha in corpo.

Nell’esordio sulla lunga distanza della creatura incazzata di Phoebe Lunny e Lilly Macieira-Bosgelmez c’è tutto questo. Who Let The Dogs Out – no, non è la hit dei Baha Men – è un album che si presenta come un pugno in faccia. Scritto e registrato in pochissimo tempo – complici gli estenuanti tour che però hanno aiutato la band ad ampliare il proprio pubblico –; un lavoro che, per descriverlo in pochissime parole, presenta il marciume post punk poetico e impegnato degli Idles in salsa riot grrrl, movimento chiave del femminismo nella musica, le cui pioniere e icone sono state realtà quali Bikini Kill e Bratmobile. Ma so bene che al duo di Brighton una definizione del genere starebbe stretta. In fondo le etichette non piacciono a nessuno, specialmente agli artisti, che non vogliono essere altro se non sé stessi. E le Lambrini Girls lo sono. Lo è Phoebe Lunny, la cui furia vocale, che a primo impatto potrebbe ricordare una versione british di Amy Taylorfrontwoman degli Amyl and the Sniffers –, è un mezzo al servizio di testi estremamente personali, ma nei quali è facile riconoscersi.

Da Nothing Tastes As Good As It Feels, che parla di disordine alimentare, a Special Different, che affronta il tema delle neurodivergenze – sempre secondo la visione in prima persona della cantante e chitarrista –, l’album non si perde in inutili metafore e simbolismi: il punk non ne ha bisogno. E non c’è bisogno di cincischiare quando il mondo brucia sempre più in fretta e la violenza imperversa senza ritegno ovunque. Le Lambrini Girls sono una band impegnata, che sostiene la causa palestinese senza paura delle conseguenze dirette o indirette di un certo music business. Nel narrare i drammi di una generazione, non cade mai nel vittimismo; i messaggi sono semplici ma non semplicisti.

Dieci brani che in poco meno di mezz’ora alternano rabbia e ironia, quest’ultima mai fine a sé stessa, ma anzi al servizio di una feroce critica a ciò che continua a non funzionare in una società che vorrebbe definirsi civile. Ne è un esempio Big Dick Energy, in cui ci si lancia anche nello spoken word più incazzato, che si pone come affronto face to face volto a ridicolizzare sessismo e machismo. Un altro bersaglio delle Lambrini Girls sono i figli delle star e il nepotismo, esplicitato senza mezzi termini nella crudissima Filthy Rich Nepo Baby dal fuzz di basso sporco e dalla chitarra sferragliante che, musicalmente parlando, sono leitmotiv della maggior parte dei brani, come nelle magnifiche Company Culture e Love – quest’ultima una sorta di instant classic moderno –.

Questo gusto per la lacerazione del suono è perfettamente coerente col malessere di fondo dal quale scaturisce la necessità di imporsi nelle orecchie e soprattutto nella testa, nelle budella dell’ascoltatore, che non può rimanere indifferente dinnanzi a cotanta energia. Who Let The Dogs Out è il manifesto a favore di una missione più grande. Un grido di battaglia contro le ingiustizie, volto a svegliarci dal sonno della ragione anche se in malo modo. Perché dietro l’apparente retorica delle Lambrini Girls c’è l’amara consapevolezza che forse non abbiamo ancora realmente capito quanto in fretta ci stiamo consumando.

Marco Nassisi

Per me scrivere di musica vuol dire trovare una scusa per ascoltarne tanta, scoprirne di nuova e fare un po' d'ordine nella testa.

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