In bilico tra synth pop e cantautorato, con una spruzzata di anni ’70 e ’80, italiani e non. Con il secondo album Dulce, Luca Di Cataldo ci porta in un mondo fatto di piccole e simboliche storie quotidiane
«Il vento ti muove la foto sbiadita che guardi sul muro»: basterebbero le prime parole e le prime note della prima strofa di Cicale, pezzo d’apertura di Dulce, per descrivere molto dell’immaginario di Viaggi Andromeda, progetto in italiano del cantautore e musicista Luca Di Cataldo. Basterebbe, ma non è sufficiente, perché questo secondo album ci porta ancora più a fondo in un mondo fatto di piccole e simboliche storie quotidiane.
Dulce, arrivato a due anni di distanza da Inventario e dopo significative esperienze nazionali e internazionali (su tutte la collaborazione con Auroro Borealo nel progetto Sumeri, sfociata poi nell’album Willkommen Rimini), conferma le buone sensazioni dell’esordio continuando a muoversi in bilico tra synth pop e cantautorato, con una spruzzata di anni ’70 e ’80 italiani (e non), seguendo la lezione di Colapesce e Dimartino. Si gioca in casa anche per quanto riguarda l’etichetta: a pubblicarlo, infatti, è stata la Talento (co-fondata dallo stesso Di Cataldo) con la produzione di Edoardo Elia.
Seguendo la stessa descrizione fatta da Viaggi Andromeda, potremmo definire Dulce come un concentrato di amore cosmico per cuori infranti (e nostalgici, aggiungiamo noi) ma sufficientemente vivi. A rendere il tutto ancora più peculiare, sia nei testi che nelle melodie, ci pensa l’evidente e dichiarata passione per i cartoni animati, per i paesaggi e per le creature spaziali; aggiungete un timbro vocale che richiama in modo inequivocabile il mai troppo celebrato Ivan Graziani, un giusto equilibrio tra sintetizzatori e chitarre ed il gioco è fatto.
Ritmi alti fin dalle prime battute: detto in apertura di Cicale, si prosegue con la voglia di tornare indietro ed evadere di Voce 13 («Io mi voglio ricordare dei giorni passati così / Nel mare a Fregene / Rinascere insieme / Dentro un’estate al cherosene / Questa volta io ti porto via se vuoi») e con l’onirica Con gli occhiali da sole («Voglio parlare ancora un po’ degli alieni / E morire come piace a me (…) Con i mostri nel sonno che girano intorno soltanto se dormo»).
Dopo l’intermezzo romanticamente acustico di RGB («E io ti aspetto / perché il mondo da cui mi stai sorridendo lo vedevo dallo specchio / Molto presto sul terrazzo ci sarà di nuovo un fiore / Basta scegliere il colore»), i battiti tornano a salire con la surrealmente esistenziale Little Tony («Ma tu sei matto dimmi quanto costumi / Puoi regalarmi una vacanza ad Ostuni / Per camminare ancora sui carboni / Di un lungomare sorvegliato dai droni») e soprattutto con Sogno pianura, vetta rock dell’album.
Degna di nota anche la successiva Interstella, ballata elettronica che celebra un amore (forse) perso e rimpianto («Volevo parlarti di casa / Ma adesso che siamo lontani / Non resta che qualche ricordo / Di ieri, di oggi e domani»). La nostalgia sale a livelli esponenziali per il gran finale, celebrato da una cover della sigla di Conan il ragazzo del futuro perfettamente fedele all’originale; dopo tutti questi stimoli, qualche lacrimuccia sicuramente non esiterà a scendere dai visi di “ragazzi e ragazze”, di ieri e di oggi.
In definitiva, Dulce è un disco che suona molto bene e non annoia mai, rappresentando nel migliore dei modi l’anello di congiunzione tra passato e presente senza la pretesa di diventare indimenticabile. Pur non inventando nulla, Viaggi Andromeda è senza ombra di dubbio un progetto musicale creato e portato avanti con tutti i crismi del buon vecchio indie pop da gente che sa fare egregiamente il proprio lavoro.