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Use your voice. Ogni presa di posizione è preziosa

svg5 October 2025MagazinePaolo Albera

Gli artisti che si espongono per la libertà della Palestina fanno una cosa importante, perché trasformano le piccole voci del pubblico in una voce grande, che ha più possibilità di essere ascoltata. In questi due anni tanti musicisti si sono espressi, mostrando impegno e coinvolgimento, talvolta rischiando qualcosa a livello professionale. Questo è un personale omaggio a tutti coloro che chi scrive ha visto personalmente, o di cui ha appreso le iniziative. Sarebbe impossibile fare un elenco completo, ma vale come ringraziamento per tutti quanti gli artisti che ciascuno di noi ha osservato prendere una posizione


Subito dopo il 7 ottobre 2023, un nuovo vento gelido iniziò a soffiare. Personalmente, la prima occasione in cui me ne accorsi fu il C2C: il collettivo palestinese BLTNM, che avrebbe dovuto esibirsi, dovette dare forfait perché gli era vietato uscire dalle frontiere. La direzione del festival solidarizzò con gli artisti e con la causa della libertà della Palestina. Fu un atto non così scontato, dato che in quei giorni si respirava un’atmosfera irreale e vigeva una specie di embargo su tutte le opinioni che potessero gettare la minima ombra su Israele, benché colpevole di decenni di colonialismo – per usare un eufemismo – illegale. 

La solidarietà per la Palestina è sempre stata diffusa negli ambienti artistici e culturali, ma si stava trasformando in qualcosa di più di semplici orientamenti personali. Il massacro a Gaza turbava l’opinione pubblica e metteva alla prova anche le coscienze più moderate e conservatrici. La parola “genocidio” era ancora tabù e veniva giudicata come un’esagerazione ideologica – lo «stop al genocidio» pronunciato da Ghali a Sanremo 2024 fu molto criticato –, diversamente da adesso che è un fatto accertato dall’ONU. Molti artisti erano coscienti che stava accadendo qualcosa di terribile e iniziarono a testimoniare al loro pubblico la propria posizione. Da allora, l’onda non si è più fermata. 

Il momento preciso in cui mi accorsi che la solidarietà per Gaza stava salendo sui palchi importanti fu con il «Viva Palestina» scandito più volte da Joe Talbot degli Idles, nel lungo tour dell’album TANGK. Tutta la scena post-punk oltremanica non esitava a schierarsi. Fece discutere il caso dei Murder Capital, che scelsero di cancellare due concerti in Germania perché non gli veniva permesso di mostrare la bandiera palestinese sul palco. Poi venne il momento della famosa frase proiettata sui maxischermi dai Fontaines D.C., «Israel is committing genocide. Use your voice», una sintesi perfetta come meglio non si poteva, che è diventata l’immagine iconica dell’ultima estate live. 

Gli importanti palchi internazionali sono ora attenzionati anche dalla politica e dalle forze dell’ordine. Kneecap e Bob Vylan, che a Glastonbury hanno contestato duramente Israele, si sono visti cancellare diverse date nel mondo e revocare i visti per gli Stati Uniti. In particolare, Mo Chara dei Kneecap è stato arrestato per terrorismo (e ora rilasciato) per aver provocatoriamente esposto in un altro concerto la bandiera di Hezbollah e inneggiato ad Hamas. 

Per fronteggiare gli attacchi esterni della politica e quelli interni al mercato discografico, i Massive Attack insieme a Brian Eno, Fontaines D.C. e Kneecap hanno formato un sindacato per proteggere gli artisti dalle intimidazioni interne all’industria musicale. Inoltre hanno aderito, insieme a 400 artisti, a No Music for Genocide, iniziativa che prevede la rimozione della propria musica dalle piattaforme nel territorio di Israele. E poi c’è Roger Waters che da sempre si esprime per la causa, invitando a disertare i palchi di Tel Aviv e scontrandosi duramente con chi non aderisce al boicottaggio. 

La causa per la Palestina è diventata in breve tempo simbolo di pace, libertà, giustizia, umanità: tutto ciò che il mondo attuale sta perdendo. In Italia eventi di solidarietà hanno raccolto l’adesione di tanti artisti indipendenti, da Nessun Dorma in diverse città italiane alle decine di eventi locali nati dal basso. Ognuno di questi è importante per far sentire la presenza, ma anche per dare il proprio contributo economico per associazioni come Medici Senza Frontiere e molte altre che provano a salvare più vite possibile. 

Ormai ovunque trovi la bandiera palestinese sai che puoi sentirti a casa: sia quando la vedi al festival Alta Felicità accanto a quella No Tav durante un live dei Queen Of Saba, sia quando la vedi a Jazz Is Dead! con Alabaster De Plume che la regge con sé mentre suona il sassofono, sia quando la scorgi a Ypsigrock tra i cori «Free-Free-Palestine» di Maruja e Lambrini Girls. Il ringraziamento va non solo agli artisti, ma anche ai festival che sanno di avere un ruolo importante nella sensibilizzazione del pubblico. 

E ora sono i giorni della Global Sumud Flotilla, spedizione che nel tentativo di raggiungere Gaza con aiuti umanitari ha dato una lezione esemplare di coraggio e valore. La prima volta che ne sentii parlare fu quando i Calibro35 dissero che avrebbero donato alla missione tutti gli utili del loro merchandise estivo. Pochi clic e scoprivo che un pugno di artisti stava dando il proprio sostegno e, grazie alla loro testimonianza, vedevo nascere la storia straordinaria a cui il mondo sta assistendo ora. L’album Exploration l’avrei comprato lo stesso, ma alla luce di questo sono ancora più contento di averlo fatto, quella sera di fine agosto a Borgate dal Vivo

I nomi che ho scritto sono una piccola parte: sono tratti dalla mia esperienza personale di frequentatore di concerti. Ognuno ha visto le testimonianze dei suoi artisti di riferimento: milioni di musicisti in tutto il mondo, dai big agli emergenti, si stanno esprimendo per la giustizia e la libertà, sia sul palco che fuori. Forse è l’epoca in cui i musicisti tornano a influenzare le persone per cambiare il mondo? La loro voce è importante; la nostra voce è piccola, ma dobbiamo unirla alla loro.

Paolo Albera

Scrivo di musica per chi non legge di musica.

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