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Una stella che danza: MezzoSangue apre il Viscerale tour al Bunker

MezzoSangue inaugura al Bunker il tour del nuovo album Viscerale portando sul palco un live potente, crudo, senza compromessi. Abbracciato da un pubblico affettuoso, il rapper romano è incalzante e, tramite la maschera, si fa portavoce di un messaggio sociale, esistenziale e politico


Ogni volta che vado al Bunker già so che sarà una serata speciale. Speciale perché il Bunker è urban all’ennesima potenza, a metà tra il clubbing underground più spinto e lo spazio artistico multifunzionale, un luogo che fa del post-industrial la sua anima e che negli anni è stato interpretato da decine di artisti e writer del calibro di Zed-1 e MP5. Speciale, poi, perché la programmazione musicale è sempre senza compromessi: al Bunker trovi lamate hardcore, junglee drum and bass da ballare fino allo sfinimento – che serate! -, afro-tropical, techno cupa. Insomma, come si dice, il Bunker is not for the faint of heart (ed è per questo che noi torinesi lo amiamo).

Il rapper romano MezzoSangue non poteva quindi che inaugurare qui, in questa Mecca metropolitana dell’underground, il suo Viscerale tour: quella del Bunker è infatti la prima di una serie di date che vedranno l’artista esibirsi su diversi palchi italiani tra cui Estragon, Alcatraz e Orion a Roma con una doppietta di date.

Viscerale è un album profondamente diverso dai precedenti, perché diversi sono l’intenzione e il modo con cui è nato: il concept è estremamente spontaneo – raccontare qualcosa che arriva da dentro, viscerale appunto – e, per realizzarlo, MezzoSangue ha scelto di decostruire le strutture: la forma è libera perché libero è il flusso di pensieri che percorre la tracklist. Tuttavia, pur essendo un album che nasce da dentro, Viscerale non è una confessione intimista, perché mantiene in tutto il suo sviluppo la forte dimensione sociale e collettiva che innerva il lavoro del rapper.

Anche i testi di MezzoSangue non sono for the faint of heart, non sono pezzi che si ascoltano come sottofondo distratto in macchina, perché MezzoSangue è un liricista nel senso più vero della parola, i suoi pezzi sono densi e sostenuti da una rete di riferimenti filosofici e, più in generale, culturali importanti che richiedono un ascolto immersivo e attento. Senza compromessi, senza strizzare l’occhio a logiche di marketing o al rap mainstream: MezzoSangue è un artista colto e tridimensionale, con una capacità d’analisi puntuta come una lama. In un mondo sempre più superficiale, la profondità – soprattutto quando si esplica in maniera così diretta e franca – può spaventare, ma non qui, non stasera, non noi.

Nell’attesa che finisca il soundcheck, ci sediamo sugli spalti e chiacchieriamo con due ragazzi, Mario e Alessandro, che sono qui per il concerto di Mezzo – come lo chiamano affettuosamente i fan – dalla mattina. Mario segue MezzoSangue da tredici anni, parliamo di tante cose e anche di Sete, l’album prima di Viscerale, un disco che da alcuni fan non è stato compreso ma che – come ci dice Mario – in realtà è solo sperimentale, perché è normale che un artista dopo tanto tempo abbia voglia di esplorare altri percorsi e perché «Mezzo è tante cose», per capirlo bisogna ogni tanto avventurarsi fuori dalla propria comfort zone (Mario, se ci stai leggendo, sei un grande!).

Incontriamo Luca Ferrazzi, aka MezzoSangue, nel pomeriggio subito dopo il soundcheck: ci accoglie con l’immancabile maschera che lo accompagna ormai dagli inizi della sua carriera, fondamentale statement personale e politico tramite il quale l’artista invita il suo pubblico a lasciar stare la persona e concentrarsi solo sulle parole, parole che attraverso la maschera diventano parole di tutt*, il grido di tutt*.

Lo stage è costruito come un campo di fiori psichedelici e piante, visual e allestimento ricordano infatti la copertina intima dell’album, una sorta di spazio interiore in cui l’artista ci conduce, scolpito da un sistema importante di backlight che crea ogni volta un’atmosfera diversa. Si parte con Viscerale, Idiocracy – con una capra rossa un po’ smarrita sullo schermo – e Flowricoltura; Mezzo si esibisce di fronte a un tappeto di mani alzate ed è chiaro fin da subito che la sua fan base gli è molto affezionata, lo accompagnano in coro per tutta la sera, sostenendolo, rappando assieme a lui, cantando a memoria i testi.

L’artista è estremamente presente sul palco e la performance è ad alto voltaggio sempre; i testi di MezzoSangue sono lamate: non si parla solo di ordine piramidale e complicità nel mantenere questo ordine (Out of my mind), ma anche di narcosi mediatica collettiva: «lo schiavismo non è morto mai, guarda, s’evoluto / Ha tolto fruste e ha messo le TV» (Senza Dio né Stato), lo stesso tipo di critica verso l’omologazione e il sonno dei media che troviamo in Merge et Libera («fine anni Ottanta, la tele sbanca /Ti entra in casa con un passa e non vedi l’arma»). Questo è uno dei testi più densi di tutto l’album (assieme a Pronoia, che amo particolarmente), perché qui Mezzo ci parla dell’individualismo contemporaneo, di una solitudine che spinge a consumare senza ritegno (riempirsi di cose perché non si riesce sopportare il vuoto, come dice in Flowricoltura), di una retorica della libertà che si alza come vessillo contro il diverso finché non ci si accorge di aver adorato idoli vuoti e di essere rimast* sol*. Ne abbiamo parlato durante l’intervista, nel momento stesso in cui si nomina qualcosa, lo si individua nel senso di conferire a una certa realtà un tratto distintivo e questa distinzione separa creando fratture incolmabili. «È il contatto che viene meno» (Merge et Libera) e in un mondo di relazioni liquide, interazioni veloci e fungibili, forse l’antidoto è proprio recuperare una dimensione collettiva in cui tutt* ci riconosciamo – indistint* – come parte di una stessa umanità.

I fan non mollano un secondo, dagli spalti partono grida di sostegno – «sei mio padre!» – e quando il live termina con l’assolo di batteria di un carichissimo G. La Spada, collaboratore di Mezzo e producer – tra i vari – di Viscerale, il pubblico lo richiama sul palco per l’encore.

Dopo aver parlato di amore, coraggio e fede, questo bis è dedicato alla musica, con Musica Cicatrene e Nevermind. Il live si chiude con un invito bellissimo di Mezzo, «continuate a sentire le cose come le sentite», non rinunciate mai a essere viscerali. Mi viene in mente un verso di Diventa quello che sei, presente in scaletta stasera, la nietzschiana celebrazione del caos: dobbiamo amare il caos dentro di noi, proteggerlo e coltivarlo, perché solo così potremo generare una stella che danza.

 

foto di Alessandro Aimonetto

Chiara Correndo

CCCP, drum'n'bass e Ornella Vanoni. Made in Turin.

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