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Un sabato pomeriggio al Sonic Alps: tra Stoner Rock e Alpi Apuane

Abbiamo passato il sabato pomeriggio al Sonic Alps, un bellissimo festival nel cuore delle Alpi Apuane. La cronaca di un pomeriggio psichedelico all’insegna di birre tiepide, formaggi del territorio, natura dominante e musica eccezionale


Come tutte la trasferte migliori, anche la nostra comincia in un afoso parcheggio della LIDL. Non conoscendo bene la situazione in cui ci troveremo, abbiamo deciso di equipaggiarci al meglio, riempiendo lo zaino di lattine di birra scrausa, tramezzini al tonno e due tranci di pizza che, scopriremo in seguito, essere praticamente dolce. Dai 4 che dovevamo essere a prendere parte a questa missione, ci siamo chiaramente ritrovati in due. Come ai vecchi tempi. «Come ai vecchi tempi»: è la frase che ci ripetiamo mentre percorriamo, con la macchina scassata di mia madre, il ripidissimo e tortuoso tratto di strada che collega la Lunigiana alla Garfagnana. cercando di non vomitare a causa delle curve troppo strette. A differenza dei “vecchi tempi”, però, la nostra destinazione non è un concerto punk in notturna. La nostra meta è infatti il Sonic Alps Fest, un festival Psychedelic-Doom-Stoner Rock organizzato, da ormai due anni, nel cuore delle Alpi Apuane che, tra l’altro, offrono uno scenario a dir poco perfetto per questi generi musicali.

L’evento è ospitato dal Rifugio Donegani, una bellissima struttura gestita, di fatto, da un enorme pastore cecoslovacco di nome Arturo o Ignazio che si aggira tra le varie stanze cercando di scroccare cibo nonostante il cubitale cartello che porta attaccato al collo in cui si dice, per l’appunto, di non dargli da mangiare. Anche la scelta dell’orario pomeridiano per i concerti, oltre a essere funzionale per la location mozzafiato, conferma quello che noi più-che-trentenni sosteniamo ormai da qualche anno: i concerti che finiscono alle 3 di notte sono ormai démodé.

E così, dopo un bel tagliere di ottimi prodotti locali, una bottiglia di bianco della casa, due chiacchiere con la simpaticissima proprietaria del rifugio al nono mese di gravidanza e due carezze ad Arturo o Ignazio, ci incamminiamo lentamente fuori per assistere ai concerti che si svolgono nello spiazzo davanti al rifugio, letteralmente davanti a una serie di vette montuose. Anche la composizione del pubblico è interessante e per nulla scontata: attorno ai tavoloni di legno siedono infatti, nella più totale armonia, escursionisti del sabato capitati lì quasi per caso, vecchi capelloni pieni di tatuaggi e toppe dei Black Flag, padri con passeggini, volti noti della scena underground locale e fumatori di erba in fissa con il doom metal. Quando un pubblico così variegato riesce a coabitare per ore all’interno dello stesso spazio, significa non solo che l’evento è sicuramente di qualità, ma anche che il “purismo” della scena sta fortunatamente andando a scomparire.

I gruppi presenti in cartellone sono invece quattro e tutti italiani: Supercaos, Temple Of Deimos, Oreyon e Sonic Wolves.

Ad aprire le danze sono i Supercaos, gruppo spezzino di recente nascita formato da due chitarre, basso e batteria e che vede al suo interno la presenza del batterista dei Fall Out, leggenda dell’hardcore italiano che non ha certamente bisogno di presentazioni. I Supercaos propongono una sorta di stoner rock dalle venature punkeggianti che non risulta mai banale o ripetitivo – il rischio principale di questo genere – ed è reso ancora più psichedelico dall’ipnotica voce della cantante.

I Temple Of Deimos, che vantano anche un pezzo scritto insieme a Nick Oliveri, ricordano i Queens Of The Stone Age, sia per l’estrema varietà musicale ma anche per l’impronta caratterizzante, due elementi molto difficili da bilanciare tra loro. Estrema capacità tecnica, eccezionale tenuta di palco e attitudine tipica della provincia post-industriale: ecco gli elementi che compongono questo gruppo attivo dal 2010 e che è stato un vero piacere sia vedere che ascoltare.

Se devo essere sincero, gli Oreyon erano il motivo principale per cui ho accettato di portare una Fiat Qubo su fatiscenti stradine montuose per oltre un’ora e mezza. E devo dire che il gioco è valso molto più della candela. Il gruppo mezzo ligure mezzo australiano prodotto dalla Heavy Psych Sound si conferma, come al solito, ben al di sopra delle aspettative. Un doom particolare, intervallato da lunghi stacchi psichedelici e caratterizzato dal suono cupo e potente tipico del genere. Se pensate che tutto ciò veniva ascoltato con una montagna di sfondo, potrete forse farvi una minima idea dello spirito che ha caratterizzato la giornata.

Chiudono la giornata i Sonic Wolves. Il trio di Alessandria sembra davvero composto da tre vecchi “lupi sonici” – due lupi e una lupessa, per l’esattezza – che propongono uno stoner rock di qualità molto influenzato dal garage. L’esperienza musicale del gruppo è perfettamente percepibile non solo nella tecnica, ma anche nella grande capacità di mescolare melodie “vintage” con innovazioni stilistiche a dir poco originali.

La nostra giornata si conclude con un salto al banchetto del merch e l’ennesima carezza a Ignazio o Arturo. Sono le 19 passate, i concerti sono finiti e ci aspetta un’altra ora e mezza di macchina. Valutiamo se ritornare l’indomani, ma la vediamo abbastanza difficile: vuoi che la macchina serve a mia madre, vuoi che le previsioni danno un discreto diluvio per tutto il pomeriggio e vuoi che – purtroppo o per fortuna – non sono più “i vecchi tempi”. E che non lo sono si vede soprattutto dal fatto che ci è perfino avanzata una lattina di birra.

Brando Ratti

Classe 1990, nasco e cresco a Massa, patria della Farmoplant ma anche dei genitori di Piero Pelù. Dottorando, ho un certo feticismo per le sottoculture, la musica underground, i filosofi presi male, i videogiochi presi bene, i film brutti e i libri belli. Nonostante il cognome, ho paura dei topi.

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