Dopo cinque anni di silenzio, i Car Seat Headrest propongono un concept album che tratta lo studio universitario come territorio di scoperta, in uno sforzo collettivo – e di finzione non biografica – mai così evidente per Will Toledo e compagni
Quella dei Car Seat Headrest, progetto più prolifico e famoso del cantautore americano Will Toledo, è una storia musicale che inevitabilmente si lega a più riprese con elementi ricorrenti: il suo creatore, l’indie rock e internet. Da una parte il forte senso autobiografico dei lavori della band, il cui leader ha spesso intriso i brani di racconti di sé esplorando la sua natura queer, il proprio disagio provinciale contrapposto alla scoperta dei grandi centri urbani statunitensi e conseguentemente l’isolamento, la debolezza e i passaggi amorosi che hanno puntellato la sua vita. Poi c’è la questione squisitamente musicale, che ha permesso a Toledo e compagni di imporsi in una nicchia molto specifica che sentiva il bisogno – a inizio anni ’10 – di un ritorno alle suggestioni indie à la Pavement e che in questo gruppo hanno trovato un rifugio. Attraverso internet, infine, i linguaggi della poetica musicale del musicista sono riusciti ad abbracciare persino le nuove generazioni, le quali hanno trovato in essi dei riferimenti per autodeterminarsi.
La carriera di Toledo, dunque, si lega a doppio filo con la sua vita personale. Attraverso le esperienze che hanno segnato i suoi trentatré anni, ne raccoglie e descrive i dettagli in modo strettamente personale. La musica dei Car Seat Headrest, in particolare, è una sorta di diario che il musicista ha usato per tenere traccia di ciò che gli succede. Ovviamente, però, un gruppo musicale è un’esperienza collettiva e il contributo che le persone che dal 2015 fanno parte attiva della band hanno via via segnato i brani con le loro unicità. Ne è un esempio l’edizione del 2018 dell’album del 2010 Twin Fantasy sottotitolata (Face to Face), un completo riarrangiamento del disco per includere i nuovi componenti nella creazione e nella realizzazione. Un lavoro pensato per indicare che ora quel progetto appartiene a più persone, pur rimanendo con un preciso punto di partenza che risiede nel suo autore.
È in questa ottica, quella collettiva e condivisa, che va letto l’ultimo sforzo creativo dei Car Seat Headrest, intitolato The Scholars. Non soltanto per il contributo decisamente più attivo rispetto al passato – con tutta la band che partecipa vocalmente in modo attivo, e non solo ai cori – ma anche nell’impostazione del lavoro e nella storia che racconta. The Scholars è una rock opera, un album pensato per presentare una progressione narrativa che lega un brano all’altro e li rende interdipendenti tra di loro per poter essere compresi a pieno. I quattro personaggi principali sono studenti e studentesse della Parnassus University, un’accademia fittizia in bilico tra rigore scientifico e misticismo esoterico, che il narratore onnisciente racconta descrivendo emozioni, momenti e contesti. Citando le parole di Will Toledo al podcast How Long Gone, «se tiri fuori qualcosa da The Wall non necessariamente spaccherà. Ha bisogno di quel contesto specifico. Mi piace quando riesco a fare una canzone che ha anche una sua individualità». Infatti, se da un lato l’artista punta a una delle sue ispirazioni principali –insieme a Ziggy Stardust di David Bowie –, dall’altro contestualizza il disco nell’epoca dello streaming, dove è necessario che i brani conservino un proprio senso anche se presi singolarmente.
In quest’octtica, forse, la storia di The Scholars risulta a volte troppo frammentata e complessa per poter permettere alle canzoni di vivere individualmente. Nonostante il gruppo spesso si prenda il suo tempo all’interno dei singoli brani per farli evolvere, con la maggior parte delle tracce che superano i dieci minuti di durata riuscire a stare dietro al mondo che viene dipinto può risultare faticoso, specie se non si conosce il quadro completo e non si ha una soglia dell’attenzione molto alta. Però, se chi ascolta si dedica in modo attivo a seguire quanto raccontato, il progetto immediatamente sboccia e rivela un impegno straordinario. Le situazioni in cui i Car Seat Headrest posizionano luoghi e personaggi come pedine su una scacchiera richiama una teatralità fondamentale per questo tipo di opere, una cura del dettaglio pensata appositamente per snocciolare ragionamenti universali, collettivi e trasversali sull’esistenza. Uno sforzo che presenta una nuova anima della band e del suo leader, capaci di unirsi collettivamente e superare per una volta i ritmi autobiografici del passato.
Questa ricerca di una collettivizzazione delle caratteristiche principali dei Car Seat Headrest risulta anche nella componente sonora di The Scholars, che va a braccetto con la narrazione di fondo. Le suite evolvono lentamente, introducendo gli strumenti centellinandoli progressivamente in funzione dei momenti più rilevanti della storia. I brani più brevi condensano invece concetti più minimali, perché funzionali al punto della storia principale in cui sono posizionati.
Tra slacker rock e dance punk, ancora una volta Will Toledo e soci dimostrano una capacità di saper dosare gli arrangiamenti molto prominente: niente è fuori posto o eccessivo, ma tutto è strettamente collegato alle necessità specifica di un brano. In The Scholars sono presenti i momenti musicali più audaci dell’intera carriera della band, come la complessa suite da diciotto minuti Planet Disperation, il cui lento e compassato passaggio dalla stesura di piano e batteria a un vero e proprio inno punk rock crea il climax narrativo con cui fare il punto su dove si è arrivati, preparando chi ascolta al finale della storia. Anche se, come già detto, è difficile tessere una sinossi della narrazione che attraversa il disco, soprattutto perché si tratta di un racconto da scoprire, interpretare e fare proprio.
Dopo cinque anni, i Car Seat Headrest tornano sulle scene con quello che è musicalmente il loro lavoro più impegnato, impegnativo e riassuntivo della loro evoluzione. Dal diario personale di Will Toledo a una coscienza condivisa tra tutte le persone che ne fanno parte, attraverso una storia che non li riguarda direttamente ma che li vede coinvolti come una sorta di Deus ex-machina.