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Spirali sonore: esplosioni elettriche per la seconda giornata di Apolide

Musica, energia e una line-up che è un caleidoscopio musicale fatto di contaminazioni, viaggi tropical-psichedelici e sinuosità elettroniche in cui gli artisti vengono abbracciati dall’energia della comunità, il cuore pulsante di Apolide


(Articolo scritto in collaborazione con Veronica Vair)

Il cielo splende azzurro oggi su Ivrea: già dal primo pomeriggio i battiti sono alti e il maltempo di ieri non ha fermato l’onda di entusiasmo ed energia che circonda questa XXI edizione di Apolide, storico festival itinerante organizzato da To Locals in collaborazione, dal 2019, con l’Associazione Culturale Hiroshima Mon Amour.

Quest’anno ancora di più Apolide si riconferma incubatore di progetti e di idee proponendo un’offerta musicale di spessore con una line-up freschissima ed esplosiva.

Nel verdissimo contesto del Parco Dora Baltea si alternano sui due stage artisti noti ed emergenti del panorama musicale nazionale e internazionale che portano sul palco performance esplosive, messaggi di lotta e progetti musicali in cui si sperimentano nuovi linguaggi, strumenti e orizzonti sonici.

Parade 78: un palco tutt’altro che piccolo!

Ad aprire le danze di questo secondo giorno di festival – o meglio, primo effettivo all’interno del bellissimo parco – è il progetto Cagne di Sara Santi – voce dei Queen Of Saba, che suoneranno questa sera sullo stesso palco – e Ava Hangar: un dialogo tra due performer drag che che indaga i temi dell’identità, della  fragilità, del travestitismo e dell’attivismo queer. Sullo sfondo, una musica estemporanea si offre come colonna sonora ideale per questo scambio a cuore aperto.

Successivamente è stata la musica a prendere spazio. Il primo a salire sul palco è stato Stasi, davvero una bella scoperta: una voce grintosa accompagnata da sonorità che spaziano tra l’elettronica e l’hyperpop, con un mood a metà tra Frah Quintale e gli Iside; a seguire Stramare: testi interessanti e glitch sonori in una performance carica d’intensità. Tra una birra e l’altra, mentre addentavo il mio panino, una cassa diritta mi scuote i timpani, sono i Dame Area: duo barcellonese che mi ha fatta letteralmente alzare dalla panca per raggiungere il pogo, con un sound techno e un’attitudine punk che hanno infuocato lo stage. Con il calar del sole – e l’accendersi delle suggestive luci sul palco – è il turno dei Kin’Gongolo Kiniata: direttamente dal Congo, con strumenti fabbricati dai musicisti in persona, hanno reso Apolide un melting pot di culture diverse a ritmo funky.

Connessione e pulsazioni sul Main Stage

A inaugurare il Main Stage invece c’è Ellie Cottino, artista che porta sul palco tutta la spinta innovativa dell’underground torinese e il suo potentissimo rap femminista. Barre che si susseguono compatte e veloci a comporre testi arrabbiati che denunciano la tossicità del patriarcato (Apologia della Troia) e testi d’amore per le sorelle e per la crew (La mia gente) che ci ricordano che l’hip hop è unità e che la lotta si fa tutt* assieme. Nemmeno un problema tecnico con la strumentazione surriscaldata riesce a fermare Ellie che continua a rappare, sostenuta da un pubblico estremamente presente e caldo che si scatena su Due Milioni di Vite.

La giornata scivola verso la golden hour e arrivano sul palco a rinfrescare il pubblico dal caldo pomeridiano i Parbleu, portando una ventata di groove tropicale. Un cocktail effervescente quello proposto da Andres Balbucea e Andrea De Fazio – già batterista per i Nu Genea – che, in perfetta sinergia con altri sei artisti sul palco, mescolano caldi ritmi afrobeat, dub caraibico, disco music e avvolgenti geometrie jazz.

I ritmi solari e mediterranei dei Parbleu lasciano il posto alle volute elettroniche di Giorgio Pesenti, aka okgiorgio, che con i suoi bpm incalzanti ci trascina in un ballo scatenato, aperto dal nuovo singolo ok :/. Sperimentazioni, incursioni psichedeliche, trame fatte di arpeggi, distorsioni, glitch e vocals stranianti portano il pubblico di Apolide nelle stanze scure di un club underground e nella luce calda di una spiaggia dove la festa non finisce mai.

Travolti dall’onda di okgiorgio e dall’energia del secondo stage, aspettiamo con trepidazione l’esibizione dell’artista headliner della serata, Cosmo, che atterra sulle ali del cavallo bianco sul palco della sua città, Ivrea. Ed ecco che esplode la festa, in questa performance che è pulsazione, carne, etere, movimento e connessione totale tra pubblico e artista.

In scaletta brani del nuovo album – come Gira che ti gira in apertura e Talponia – e pezzi amatissimi del suo repertorio come Mango, L’ultima festa o Le voci durante il quale il profilo di Pan Dan, «la madonna di Ivreatronic» che per l’occasione si trasforma nella ballerina di un dark cabaret, è ritagliato da luci viola e visual psichedelici.

È una festa collettiva quella celebrata da Cosmo in cui ritmiche incalzanti, trance e linee di basso viscerali si mescolano a trame dilatate e intimiste. Su Sei la mia città Cosmo scende dal palco e si avvicina al pubblico: è fusione e connessione con la sua comunità che non smette di ballare sotto una pioggia di acqua e luci.

Il messaggio chiude questo live potentissimo, un viaggio nelle galassie sonore di Cosmo: pubblico e artista intonano assieme «tutto qui, solo questo, io ti amo, ti amo, ti amo» in un canto corale che sfuma nella notte. L’artista lascia il palco, ma il pubblico continua a cantare, lo chiama e allora lui torna per cantarla ancora una volta, ancora assieme.

Con l’arrivo della mezzanotte il palco si svuota ma la festa non finisce: dopo un giro al merch per spendere gli ultimi token – la moneta ufficiale del festival – è il momento di salutare l’area verde del parco per dirigersi verso lo Zac, venue adibita agli after party. Come ogni Apolide che si rispetti non poteva mancare l’Ivreatronic, il collettivo artistico di dj e producer eporediesi: se già al live Cosmo ci aveva invitato a tenere cellulari in tasca per godersi al meglio lo show, in questo contesto è stato d’obbligo seguire la stessa regola. Ed è così che la serata giunge al termine, accompagnati dai bassi che scuotono i nostri corpi, ci si abbandona completamente alla musica aspettando la fine della notte.

Si chiude così, con questo momento di immersione sensoriale totale e comunione, una seconda giornata all’insegna dell’idea di Processo Continuo che informa lo spirito dell’evento, un processo evolutivo e di crescita che riverbera l’attitudine da sempre curiosa di questo vero e proprio boutique festival, sostenibile, creativo e attento alle sperimentazioni.

 

foto di Natalia Menotti

Chiara Correndo

Film asiatici. CCCP. Negroni corretto con amaro lucano. Oasis o Blur? Blur. Made in Turin.

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