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Sing Street: è bello stare bene con la musica

Nella Dublino degli anni ‘80, la storia dell’adolescente Conor e della sua band, fondata esclusivamente per conquistare una ragazza, si fa manifesto di una generazione che si è formata trovando una via di fuga nella bellezza della scrittura di una canzone, cercando la propria identità fra sgangherate ma sincere derivazioni, figlie del fascino verso le icone pop dell’epoca. La leggerezza e la grazia, tutte anglosassoni, con le quali John Carney racconta la musica come medicina ai problemi quotidiani delle persone semplici è il leitmotiv della sua filmografia, e Sing Street non fa eccezione


Nel 2016 esce il documentario Oasis: Supersonic ed è memorabile il momento in cui i fratelli Gallagher affermano di aver iniziato a fare musica perché non ne potevano più di vedere Phil Collins in cima alle classifiche. Nello stesso anno arriva Sing Street, un film di finzione. Qui il protagonista Conor, giovane dublinese in piena crisi adolescenziale, innamorato di Raphina, più grande di lui e già impegnata, confessa il suo tormento al fratello maggiore Brendan, il quale gli chiede che musica ascolta il fidanzato della ragazza. Conor fa il nome dei Genesis e Brendan afferma senza esitazione che allora non avrà alcun problema a conquistarla, perché «nessuna donna può amare veramente un uomo che ascolta Phil Collins».

Sing Street parte dalla Dublino del 1985, dalla crisi economica, dai problemi di Conor nella nuova scuola in cui si è appena trasferito – tra bulli e bigotti – e in casa, che è l’arena delle accese discussioni tra mamma e papà. In questo senso, Brendan diventa un mentore e gli viene in soccorso con la musica. Tra i due c’è un sincero rapporto di affetto e lieve invidia fraterna: alla base c’è stima e voglia di sostenersi per reggere il peso delle difficoltà familiari. Il maggiore – ovvero il fattone che ha mollato il college – vede nel fratellino tutto ciò che lui non ha potuto/voluto essere. È però colui che ha aperto il sentiero che ora Conor può seguire con la libertà tipica del secondogenito. E Conor sa che deve molto a Brendan. Lo ammira. Non importa se il mondo lo considera un fallito. Ecco perché lo ascolta quando quest’ultimo gli dice che per conquistare Raphina deve creare una band. E lo ascolta anche quando gli dice che non è possibile fare colpo su di lei suonando cover. Certo, non privo di esitazioni; in fondo, Conor e i nerd sfigatelli sbandati che ha raccattato non sanno suonare. Ma se è per questo neanche i Sex Pistols sapevano suonare, dice Brendan. Perché nel rock ‘n’ roll si deve rischiare di rendersi ridicoli.

È così che nascono i Sing Street, come piano di Conor per attirare l’attenzione di Raphina. In tale impresa c’è tutta l’ingenuità dell’amore, vissuto dal giovane adolescente con l’intensità di chi sembra disposto a tutto pur di raggiungere il proprio obiettivo. Non importa se hai un manager – il piccolo e lentigginoso Darren – che non sa cosa debba fare un manager e dei musicisti improvvisati, sprovveduti, privi di una direzione. Bisogna trovare uno stile: ecco venire in soccorso le mode musicali ed estetiche del momento. È l’era d’oro dei Duran Duran, il cui leader Simon Le Bon, manco a dirlo, è il sogno di ogni ragazzina. Il loro capolavoro Rio è già uscito e i loro videoclip fanno da trend setter. Ecco come nasce il primo singolo – magnificamente confuso ma affascinante – della giovane e sbandata band di Conor: The Riddle Of The Model è anche e soprattutto un pretesto per chiedere a Raphina, aspirante modella, di partecipare al video musicale, che è un insieme sconclusionato di abiti e trucchi colorati ed eccentrici. E lei accetta, perché è impossibile rimanere indifferenti di fronte a cotanta intraprendenza e determinazione.

Pian piano comincia ad affinarsi il sound. Up è un certamente ispirato all’orecchiabilità delle melodie degli a-ha, che in quello stesso 1985 avevano esordito con Hunting High and Low. Insomma, l’album di Take on Me. E il film prosegue grazie al regista John Carney – autore di altre opere altamente sottovalutate come Once (2006) e Being Again (2013) – e alla sua capacità di filmare e raccontare la musica come nessun altro, soprattutto il processo creativo che ci sta dietro. Ad aiutarlo è il suo passato da musicista, che gli permette di narrare come nasce una canzone e rappresentare l’impatto fisico ed emotivo con il quale questa entra nelle vite delle persone, a volte salvandole.

È quello che succede a Conor, nella decade di band come Spandau Ballet – dalla quale esce To Find You, dalle tinte new romantic – e Cure. Questi ultimi, nel film risultano molto importanti per inquadrare il personaggio di Raphina, che incarna la felice tristezza – o la triste felicità – di Robert Smith e della sua icona. Inoltre, è proprio la loro In Between Days – che Conor scopre ovviamente grazie a Brendan – a portare i Sing Street a scrivere due pezzi sfacciatamente new-wave/jangle pop come Girls e soprattutto A Beautiful Sea, che per certi versi potrebbero essere contenute in The Head on the Door, uscito proprio nel 1985.

Ma la hit del film è senza ombra di dubbio Drive It Like You Stole It, in cui è evidente il riferimento a Daryl Hall & John Oates, al loro sound e in particolare alla loro Maneater. I due brani condividono il piglio dance rock, in cui tastiere e synth regnano sovrani, accompagnati dalla stessa sezione ritmica sincopata e dal groove magnificamente eighties, che pulsa nelle vene e ispira il movimento del corpo sul dancefloor.

Non può che colpire la straordinaria coesione sonora tra tutte le canzoni originali, ideate e scritte dallo stesso John Carney con Gary Clark, le quali, nonostante le numerose differenze relative alle altrettante numerose ispirazioni, colpiscono per il loro sapore che sa essere nostalgico senza scadere nella ruffianeria. Sono i piccoli passi di Conor alla ricerca della propria identità.

In Sing Street la musica è protagonista assoluta della storia. È il motore delle azioni dei personaggi, che si lasciano coinvolgere dal suo potere trascinante e seduttivo. È in perfetta simbiosi con un immaginario estetico che all’oggi è perfettamente radicato nella memoria collettiva. Bastano infatti pochi suoni per ricondurre una determinata canzone a una determinata epoca.

Ed è bello quando, nonostante i quintali di film visti e di musica ascoltata, una storia sulla carta semplice, tra ironia e malinconia, nella grazia sgraziata di un romanzo di formazione, è ancora in grado di coinvolgerti e appassionarti in tutta la sua magia.

Marco Nassisi

Per me scrivere di musica vuol dire trovare una scusa per ascoltarne tanta, scoprirne di nuova e fare un po' d'ordine nella testa.

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