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Radici e ali: il live di Massimo Silverio è musica per l’anima

Delicato e al tempo stesso graffiante, tra modernità e tradizione: il cantautore e musicista friulano ha fatto letteralmente viaggiare il pubblico di Spazio 211, portandolo a esplorare i paesaggi e le atmosfere della sua Carnia


Delicato e graffiante, radici e ali, modernità e tradizione. Potremmo andare avanti con gli ossimori per ore, ma non sarebbero mai troppi per descrivere l’immaginario che Massimo Silverio riesce a creare con la sua arte sonora: il cantautore e musicista, protagonista ieri sera da Spazio 211 a Torino, ha fatto viaggiare il pubblico presente, portandolo a esplorare i paesaggi e le atmosfere della sua Carnia – la parte orientale nord-occidentale della provincia di Udine, in Friuli Venezia Giulia – con un live profondamente intimo e suggestivo.

Musica per l’anima, verrebbe da dire: una musica che, partendo quasi in sordina per poi aprirsi in modo potente e liberatorio, tocca le corde più profonde dell’animo umano grazie a un crescendo di note che fonde con maestria il folklore dei testi e il progresso dei suoni. Musica che basta ascoltare a occhi chiusi per essere trasportati immediatamente tra le montagne, i torrenti, le valli e gli animali della terra d’origine; ad arricchire il tutto, quel cantato carnico-inglese in grado di trasformarsi in idioma a sé stante grazie alle influenze dei paesi immediatamente confinanti.

A creare questo tappeto sonoro tanto innovativo quanto popolare perché radicato a solidi principi, sono state ovviamente le persone che lo hanno costruito. Prima di tutto lui, Massimo Silverio: nonostante l’apparente timidezza, grazie agli strumenti presenti sul palco ha saputo superare ogni barriera comunicativa con gli avventori, creando un legame solido e viscerale. Chitarra elettrica principalmente, suonata in modo contrastante tanto attraverso arpeggi accarezzati quanto attraverso accordi ampi e potenti. Violoncello poi, vero e proprio elemento in più del set. Un mood coronato da una voce con un timbro variegato e suadente, in grado di farsi essa stessa strumento musicale.

Gran parte del merito spetta comunque anche ai due compagni d’avventura di Silverio sul palco di Spazio211, entrambi torinesi e quindi in casa per la serata. Stiamo parlando di Manuel Volpe ai synth e alle elettroniche, produttore dell’album d’esordio Hrudja e già noto ai cultori del circuito underground con la Rhabdomantic Orchestra, e Nicholas Remondino alla batteria, altro nome di spicco della scena grazie alle collaborazioni con Vieri Cervelli Montel e altri. I due, accompagnati da una strumentazione invidiabile, hanno dato il proprio fondamentale contributo per rendere il concerto ancora più potente; da segnalare, tra gli stratagemmi utilizzati, la chicca del piatto suonato con l’archetto del violoncello.

E il pubblico? Il pubblico, raccolto ma numeroso, è stato letteralmente investito da tanta ridondanza musicale, incollato con le orecchie alle casse alla ricerca di una connessione emotiva. Rigorosamente a bocca chiusa, in silenzio, nell’intenzione di trasmettere i decibel al cervello e al cuore per farli penetrare direttamente in fondo all’anima. Una ridondanza che, in ogni caso, ha saputo fare della sua essenzialità primordiale un valore aggiunto: ridotta all’osso, potremmo dire.

Per tutti i motivi appena elencati, possiamo permetterci di annoverare il concerto di Massimo Silverio – ma la critica, in questo, è abbastanza unanime – come una delle esperienze live da fare almeno una volta nella vita se ci si vuole disconnettere dal mondo frenetico delle metropoli occidentali o se  si va cercando un’introspezione profonda. Lo diciamo qui, a scanso di equivoci: la sua musica non è per tutti – e ci mancherebbe –, ma è sicuramente musica di tutti, perché capace di riportarci all’essenza degli elementi: musica di terra, acqua, aria e fuoco.

 

foto di Giorgia Mirabile 

Marco Berton

Giornalista non convenzionale: scrivo di diversity per lavoro e di musica per passione. Ossessionato da camicie e maglioni hipster, credo che la normalità non esista e che un altro mondo sia possibile.

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