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Molto più che indie rock: il sorprendente esordio dei KEG

L’album d’esordio della band britannica Fun’s Over si può tranquillamente annoverare tra i debutti (fin qui) più interessanti del 2025, soprattutto per l’abilità di contaminare in modo innovativo post punk, synth pop e jazz 


Avete mai sentito parlare dei KEG? Se non vi è mai capitato, questo è decisamente il momento giusto per rimediare! Già, perché il loro primo album Fun’s Over si può tranquillamente annoverare tra i debutti (fin qui) più interessanti del 2025, soprattutto per l’abilità del gruppo britannico di contaminare in modo innovativo l’indie rock con elementi post punk, synth pop e jazz.

La band è formata da ben sette elementi  provenienti da diverse zone dell’Inghilterra ma artisticamente formati tra Brighton e Londra , con un assortimento completo di strumenti, esperienze e attitudini musicali  che spaziano dal rock all’hip-hop – in grado di forgiarne al meglio il suono: stiamo parlando di Albert Haddenham (voce), Joel Whitaker (basso), Will Wiffen (sintetizzatori), Frank Lindsay (chitarre), Jules Gibbons (chitarre), Charlie Keen (trombone) e Johnny Pyke (batteria). Tutto il potenziale dei KEG, racchiuso in questa miniera sonora ma non solo, è esploso dopo gli EP Assembly e Girders proprio grazie a Fun’s Over, uscito venerdì 14 marzo per la Alcopop! Records; il disco è stato autoprodotto con la collaborazione di Toby Burroughs dei Pozi.

Ad accompagnare questo vero e proprio puzzle strumentale, così complesso nella sua pur apparente immediatezza, è l’ironia dissacrante e dolceamara: a partire dal titolo, che invoca la fine del divertimento a fronte di un album che fa di tutto tranne che annoiare, fino ad arrivare a canzoni in grado di spaziare tra tematiche forti come il dolore, il futuro, il tempo e l’amore senza perdere la leggerezza. Questo mood è riassunto alla perfezione dalla presentazione fatta dalla stessa etichetta sul proprio sito ufficiale: «I KEG ti invitano nel cervello di un uomo sconcertato pieno di gioia e ansia, riuscendo ad affinare il proprio equilibrio tra caos e ordine».

Musicalmente parlando, le intenzioni dei KEG con Fun’s Over sono chiare fin da Photo Day, prima traccia in grado di fondere un suadente sottofondo di trombone a chitarre taglienti in un crescendo solenne. Trombone che resta minimo comune denominatore dell’album praticamente in tutti i pezzi: la sua presenza si fa notare e apprezzare senza diventare troppo ingombrante, sia laddove si alterna al canto parlato di Father Charles, sia laddove fa da contraltare ai synth come in I’d Fly Tip for You.

Nonostante alcuni elementi comuni, i cambi di tempo e atmosfera sono comunque molti, repentini e spesso presenti all’interno di una stessa canzone: uno degli esempi più calzanti di questa tendenza è rappresentato da Strangers – dove il solito trombone viene fatto sobbalzare tra ritmi jazz e punk – e dalle successive Plain Words e St Michael, arricchite da synth ripetitivi e melodici come nella migliore tradizione post punk e synth pop.

Dopo minuti decisamente intensi, ad abbassare i battiti per qualche istante ci pensa l’interludio parlato di Mr and Mrs Raleigh. Non dobbiamo illuderci, però, perché questo non è altro che un brevissimo diversivo per farci tornare rapidamente sulle montagne russe con una sequenza di quattro pezzi da consumare tutta d’un fiato: Giving Up Fishing, Sate the Worm, Skybather e (soprattutto) la frenetica Ferryman. La sintesi perfetta di tutto l’album, come in un’apoteosi finale portata da una filosofia più che da uno stile, trova sfogo nell’ultima traccia Kayaking.

Con un disco d’esordio come Fun’s Over, i KEG hanno deciso di osare, accollandosi tutto il rischio di risultare ridondanti, stucchevoli e alla lunga noiosi. Invece, la band è riuscita ad amalgamare gli elementi classici dei generi di riferimento in modo innovativo e mai banale, nonostante la scelta di pubblicare ben tredici canzoni con una lunghezza media di gran lunga superiore rispetto ai pezzi indie rock a cui siamo abituati. Il risultato è ampiamente godibile e perfettamente coerente con la definizione di caos e ordine contenuta nella presentazione dell’album.

Marco Berton

Giornalista non convenzionale: scrivo di diversity per lavoro e di musica per passione. Ossessionato da camicie e maglioni hipster, credo che la normalità non esista e che un altro mondo sia possibile.

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