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Low Desert Punk che sa di salsedine: il live di Brant Bjork a Livorno

La leggenda dello stoner rock è approdata ieri sera alla Fortezza Nuova di Livorno. Il racconto del live tra cozze fritte, profumo di mare, vibrazioni psichedeliche, accordi punk e atmosfere desertiche


La prima cosa che si nota passando davanti alla Fortezza Nuova di Livorno è la celebre scritta «MSI Fuorilegge», vergata negli anni ’70 da alcuni militanti della sinistra extraparlamentare. Ma, al di là della scritta – che i livornesi provvedono a ripassare ogni quattro-cinque anni – e le imponenti mura tardo cinquecentesche, l’interno del “Baluardo di San Francesco” racchiude un bellissimo (e freschissimo) parco in cui il profumo del salmastro si mescola a quello del polpo grigliato.

Ed è proprio in mezzo a questi stand gastronomici in cui si friggono cozze e si versano pinte di vino bianco che si può notare il vecchio Brant Bjork sgranocchiare un gamberone insieme agli altri membri del gruppo.

Ho sempre avuto la convinzione che eventi specifici possano verificarsi solamente in luoghi ben precisi: per assistere a un’autentica messa gospel, ad esempio, dovrete necessariamente recarvi in una Chiesa Battista di Harlem, piuttosto che in una chiesa evangelica di Stoccolma. Allo stesso modo, se volete vedere un gruppo di americani cresciuti in piena guerra fredda e propaganda anti-sovietica che banchetta tranquillamente sopra delle tovagliette di carta con stampata una falce e martello gigante, dovrete necessariamente recarvi a Livorno. E possiamo immaginarceli, questi rockers più o meno attempati, mentre pensano che se il socialismo è mangiare pesce fresco in un castello vista mare prima di un live, allora non è così male come lo si racconta.

Come da locandina, il live comincia – puntualissimo – alle 21:00. A fare gli onori di casa sono i Mr. Bison – validissima band che spazia dal progressive al blues, passando per lo space rock – formatasi nel 2009 a Cecina (LI). Oltre a spaziare benissimo da un genere all’altro, il quartetto si destreggia anche con cambi di strumenti: uno dei chitarristi che, improvvisamente, inizia a suonare una tastiera e il bassista (e cantante) che alterna continuamente le quattro corde alle sei. Il gruppo, che ormai da un po’ di anni è prodotto dalla celebre etichetta Heavy Psych Sounds Records, è anche estremamente tecnico e regala attimi di virtuosismi tipici del genere che però non risultano mai pesanti o stucchevoli. Sicuramente, anche il fatto di “giocare in casa” e aprire ad una leggenda come Brant Bjork ha portato i suoi frutti: i Mr. Bison tengono il palco alla perfezione e fanno divertire il pubblico che, in buona percentuale, conosce personalmente i ragazzi sul palco. Tra un assolo di chitarra e un complesso passaggio di batteria, infatti, mi è capitato anche di ascoltare una discussione sul quartiere di provenienza del batterista.

I Mr. Bison chiudono con un pezzo davvero psichedelico ed ecco che, quasi per magia, la proiezione gigante della copertina di Echoes From The Universe, ultima fatica del gruppo, lascia spazio a un paesaggio desertico molto kitsch in cui svettano palme, catene montuose e silhouette di animali indefiniti in sottofondo: è arrivato il momento del Brant Bjork Trio composto, oltre che dal mostro sacro dello stoner rock, da Ryan Gut alla batteria e Mario Lalli al basso.

Brant è la semplicità fatta a persona. Si presenta sul palco con la bandana di ordinanza, la camicia aperta, sorride al pubblico, mormora un «tutto bene?» e attacca a suonare. Per tutta la durata del live, le interazioni con il pubblico sono ridotte al minimo: nessun maldestro tentativo di intrattenimento, nessun banale elogio alla cultura culinaria italiana e nessun solipsismo irritante. Siamo a un concerto rock e si comunica unicamente attraverso la musica, cosa che il Trio riesce perfettamente a fare. Un’altra cosa che salta all’occhio è la totale assenza di una scaletta scritta. È infatti Brant a dare gli accordi iniziali, quando possibile, o a sussurrare agli altri due il titolo del prossimo pezzo e, quando la cosa non funziona, ci pensa Mario Lalli a gridare – con quel caratteristico accento yankee – «Who’s next?» . I brani suonati toccano tutti i dischi registrati dal 1999 ad ora quasi in ordine cronologico: si comincia con i lavori più recenti per poi concludere con Jalamanta, a mio avviso uno dei dischi più belli fatti da Bjork. Il live sembra avere un grande ed unico flow omogeneo, intervallato soltanto dai continui sorsi di birra bevuti dal batterista e dai litri di acqua gelata che Brant si versa sulla testa per sopportare il caldo estivo o, più semplicemente, perché fa davvero molto rock’n’roll.

Per un’ora e mezzo di live, le duecento persone presenti al concerto si muovono e ballano al ritmo della Low Desert Music, certificata dal basso pompato con un bellissimo e potentissimo overdrive, dalla batteria con il doppio timpano e dalla caratteristica chitarra effettata con qualche distorsore e un pedale wah-wah. Il Trio ci regala anche una finta uscita – che fa molto primi anni duemila – per poi tornare sul palco e suonare gli ultimi tre pezzi, salutando Livorno con un semplicissimo «Buonanotte!».

In vita mia non ho mai creduto in Dio. Ma poter stare sottopalco a vedere Brant Bjork suonare in uno stato di semi trance mi ha fatto riflettere. Perché se Dio fosse davvero un fricchettone americano ribelle dai lunghi capelli ricci che ha ripudiato la mentalità turbocapitalista del self-made man per suonare rock in compagnia dei propri amici, di una birra gelata e di una canna, forse non ci crederei comunque. Ma sicuramente il mondo sarebbe di gran lunga migliore.

Brando Ratti

Classe 1990, nasco e cresco a Massa, patria della Farmoplant ma anche dei genitori di Piero Pelù. Dottorando, ho un certo feticismo per le sottoculture, la musica underground, i filosofi presi male, i videogiochi presi bene, i film brutti e i libri belli. Nonostante il cognome, ho paura dei topi.

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